A GUARDARE ALLE COLLINE PAGINA 1082 DEL 25 AGOSTO 2019
























































Di cosa parliamo in questa pagina.



















L'ALLEANZA NAZIONALE PD-5S PREFIGU5RA LE ALLEANZE REGIONALI
Da ottobre fino a primavera c’è una sfilza di elezioni regionali di peso, in grado di modificare non solo la geografia politica dello Stivale, in termini federali, ma anche gli schemi a livello nazionale. La tentazione è un accordo Pd-M5s e il messaggio in senato di Conte è un sigillo in ceralacca
Lontano dal cuore della crisi politica, estranee al “giorno di Conte”, pedine a riposo nello scacchiere governativo. Nel bestiario comune dell’agostano divorzio pentastellato mancano loro: le Regioni. Citate di sfuggita durante la seduta in senato e assenti nella debacle dei giorni che l’hanno preceduta, come se si volesse nascondere una profetica evidenza.
La tentazione è una e una soltanto, quella giallo-rossa. E il messaggio del premier uscente ha risuonato come un sigillo in ceralacca. Da ottobre fino a primavera c’è una sfilza di elezioni regionali di peso, in grado di modificare non solo la geografia politica dello Stivale – consegnando le chiavi del Paese, in termini federali, alla Lega -, ma anche gli schemi a livello nazionale. Umbria, Calabria, Emilia Romagna e Toscana sono chiamate alle urne, e il dialogo Pd-M5S prende le forme del Leviatano di Hobbes: simbolo del potere solo grazie al suo scheletro rappresentato come un gigante costituito da tanti singoli individui, in questo caso le regioni. (...)

SE CE N'E' UNO C'E' SPERANZA ANCHE PER I NOSTRI
No, dico, vedete davvero un Antonio Misiani senatore PD da Bergamo in Parlamento da 13 anni seduto alla scrivania di Quintino Sella oppure –più vicini a noi – di un Carlo Padoan o del morituri te  salutant Giovanni Tria?. Va bene che Misiani esce dal liceo classico Sarpi e poi dalla Bocconi e in Parlamento è sempre stato nella Commissione bilancio, tesoro e programmazione o della Commissione bicamerale per la semplificazione della legislazione e quindi di  bilanci dello stato se ne intende ma forse ci fosse un libro, anche solo un libriccino, un incarico universitario, una collaborazione a qualche  rivista o giornale non guasterebbe.
Già abbiamo avuto come bergamaschi e come ministro delle politiche agricole quel bravo pulcino bagnato che è Maurizio Martina da Calcinate –una delle sedi storiche del Consorzio Agrario dove si produceva parecchia sementi del mais italiano venduto dai CAP- perito agrario e la laureato in scienze politiche di cui si sono già dimenticate le opere e Valeria Fedeli, trevigliese di nascita e residenza, lavoro a Milano e Roma, eletta in Toscana, una carriera dentro il sindacato partendo dalla scuola dell'infanzia e ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca del Governo Gentiloni. A mio avviso la parlamentare col più bel colore (artificiale) dei capelli e fondatrice nel 2013 del comitato femminista Se non ora, quando? per denunciare il "modello degradante ostentato da una delle massime cariche dello Stato, lesivo della dignità delle donne e delle istituzioni". Assieme alla Boschi ed alla Boldrini sono state il terzetto perennemente mirate dai "veri maschi" della stampa e del parlamento italiano. (...)


















































le immagini sottostanti possono essere abbastanza grandi: pazienza!























ADAMELLO
DAI CORNI DI PREMASSONE







UNA VERITA' PER CHI 
LA VUOLE CREDERE




































































































































































































L'ALLEANZA NAZIONALE PD-5S PREFIGU5RA LE ALLEANZE REGIONALI

Da ottobre fino a primavera c’è una sfilza di elezioni regionali di peso, in grado di modificare non solo la geografia politica dello Stivale, in termini federali, ma anche gli schemi a livello nazionale. La tentazione è un accordo Pd-M5s e il messaggio in senato di Conte è un sigillo in ceralacca
Lontano dal cuore della crisi politica, estranee al “giorno di Conte”, pedine a riposo nello scacchiere governativo. Nel bestiario comune dell’agostano divorzio pentastellato mancano loro: le Regioni. Citate di sfuggita durante la seduta in senato e assenti nella debacle dei giorni che l’hanno preceduta, come se si volesse nascondere una profetica evidenza.
La tentazione è una e una soltanto, quella giallo-rossa. E il messaggio del premier uscente ha risuonato come un sigillo in ceralacca. Da ottobre fino a primavera c’è una sfilza di elezioni regionali di peso, in grado di modificare non solo la geografia politica dello Stivale – consegnando le chiavi del Paese, in termini federali, alla Lega -, ma anche gli schemi a livello nazionale. Umbria, Calabria, Emilia Romagna e Toscana sono chiamate alle urne, e il dialogo Pd-M5S prende le forme del Leviatano di Hobbes: simbolo del potere solo grazie al suo scheletro rappresentato come un gigante costituito da tanti singoli individui, in questo caso le regioni.
Le molte fumate nere che hanno caratterizzato il dossier dell’autonomia regionale differenziata, hanno anche posto, nel corso dei 14 mesi, su fronti opposti M5S e Lega: i nodi da sciogliere riguardano in particolare il cosiddetto costo medio e il Vas, acronimo di Valutazione ambientale strategica, su sovraintendenze, autostrade, ferrovie, porti e scuole. A metà luglio Conte disse chiaramente sì alle autonomie, ma in modo parziale, ovvero senza scuola – la linea dei cinquestelle in materia di istruzione è da sempre contraria all’applicazione del regionalismo a questo settore – e per certi versi senza sanità.
Nel frattempo, il 27 ottobre, dopo le dimissioni di Catiuscia Marini, in Umbria si vota e il Pd sembra aver già agganciato il M5s pur di scongiurare una vittoria di Salvini. Stessa storia in Calabria, dove però il M5s è arrivato primo alle Europee, gettando altra carne al fuoco e mettendo il Pd con le spalle al muro. Il contratto, in questa terra, è piuttosto complicato, in quanto il caso Mario Oliverio infastidisce i vertici del Pd romano e mette a rischio la presenza di un deputato dem alle prossime elezioni. Il governatore uscente è al centro di inchieste giudiziarie e allo stesso tempo nomi forti candidabili non sono ancora comparsi. L’intesa con i 5 stelle, quindi, è difficile ma non impossibile.
È bene ricordare che il coronamento di trent’anni di lotta del Carroccio si racchiudono nella realizzazione di vere regioni-stato, finanziariamente indipendenti, al Nord. Strizzando tuttavia, in quest’ultimo periodo, l’occhio anche alle roccaforti rosse che, per gloria e onore, possono sempre tornare utili nel carnet leghista.

A maturare l’idea che un governo sostenuto da M5S e Pd possa concretizzare i feudi regionali, c’è inoltre l’affaire Toscana ed Emilia Romagna. Il rischio di perdere due delle storiche regioni di sinistra è per il Pd un timore più forte di qualsiasi compromesso a obtorto collo.
Il sindaco di Bologna Virginio Merola ha già lanciato qualche segno di apertura, anche se il rapporto tra i due partiti è molto complesso. A fine luglio sono andate in scena le prime prove di governo a larga maggioranza, con un voto congiunto in consiglio regionale su una legge anti omofobia.
Nella patria di Dante, invece, saranno i pentastellati a dover bussare alla porta del governatore uscente. Le statistiche parlano di una distribuzione dell’elettorato a macchia di leopardo: fonte fin da subito di dinamiche e strategie, ma soprattutto, di aperture a coalizioni. Il primo a lanciare nel centrosinistra una proposta è stato proprio il governatore attuale Enrico Rossi che ha detto chiaramente che il Pd deve guardare a liste civiche regionali, per trattenere e rinforzare un bacino di elettori con ampio spettro di influenza. Non a caso la regione Toscana giocherà un ruolo fondamentale anche per Matteo Renzi: nella quale è rappresentata la sua forza politica, non solo da chi fa a lui riferimento in Regione e in Parlamento, ma dai tanti comitati nati con l’ultima Leopolda.
Insomma, l’alternativa è quella delle urne sicure che chiede Salvini, con una dovuta correlazione alle regioni. Il centrodestra stringe i ranghi tra Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, capaci di portarsi a casa nelle scorse elezioni baluardi comunisti come Pisa e Cascina. Nel 2013 il centrosinistra amministrava 10 capoluoghi toscani su 11, oggi appena 3. L’algoritmo per arrivare al governo nazionale, per giunta, non può che passare da quello locale.
Se immolarsi, però, sarà un prezzo politico affrontabile per le due fronde, c’è un rischio evidente che grava sul futuro del possibile contratto. Chi si intesterà la battaglia sulle autonomie regionali? Le scelte del 2001, con l'approvazione della riforma del Titolo V della Costituzione, e le mosse del 2018, con la Pre-Intesa siglata da Bressa a nome del governo Gentiloni, che ha aperto una breccia alle rivendicazioni delle regioni del Nord, candidano lo schieramento dei Democratici.
Forse per evitare emulazioni dell’autonomia “fai-da-te” di Zaia, anarchico nelle decisioni prese sulle assunzioni di medici e operatori sanitari negli ospedali veneti, forse per attuare una versione all’emiliana, quella più “soft”, il sentiero stretto apre a un approccio Pd-M5s in grado di garantire equità nelle concessioni e una stretta nella forbice che divide le proposte di Veneto e Lombardia da quelle del centro Italia.
Se non altro è quello che ha voluto far passare anche Conte nelle comunicazione di ieri: «Il progetto di autonomia differenziata - ha notificato l'ex premier nell’Aula del Senato - andrà doverosamente completato come stavamo facendo, senza però sacrificare i principi di solidarietà sociale e coesione nazionale».
La strada è spianata. Il possibile accordo Pd-M5S si può fare, da Nord a Sud, nel locale e sul nazionale. Il modello nasce dall’Emilia-Romagna, con una autonomia da cui resta fuori la scuola e per cui già diversi ministri 5 Stelle hanno espresso sentiti apprezzamenti.

Piero Mecarozzi


SE CE N'E' UNO C'E' SPERANZA ANCHE PER I NOSTRI

No, dico, vedete davvero un Antonio Misiani senatore PD da Bergamo in Parlamento da 13 anni seduto alla scrivania di Quintino Sella oppure –più vicini a noi – di un Carlo Padoan o del morituri te  salutant Giovanni Tria?. Va bene che Misiani esce dal liceo classico Sarpi e poi dalla Bocconi e in Parlamento è sempre stato nella Commissione bilancio, tesoro e programmazione o della Commissione bicamerale per la semplificazione della legislazione e quindi di  bilanci dello stato se ne intende ma forse ci fosse un libro, anche solo un libriccino, un incarico universitario, una collaborazione a qualche  rivista o giornale non guasterebbe.
Già abbiamo avuto come bergamaschi e come ministro delle politiche agricole quel bravo pulcino bagnato che è Maurizio Martina da Calcinate –una delle sedi storiche del Consorzio Agrario dove si produceva parecchia sementi del mais italiano venduto dai CAP- perito agrario e la laureato in scienze politiche di cui si sono già dimenticate le opere e Valeria Fedeli, trevigliese di nascita e residenza, lavoro a Milano e Roma, eletta in Toscana, una carriera dentro il sindacato partendo dalla scuola dell'infanzia e ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca del Governo Gentiloni. A mio avviso la parlamentare col più bel colore (artificiale) dei capelli e fondatrice nel 2013 del comitato femminista Se non ora, quando? per denunciare il "modello degradante ostentato da una delle massime cariche dello Stato, lesivo della dignità delle donne e delle istituzioni". Assieme alla Boschi ed alla Boldrini sono state il terzetto perennemente mirate dai "veri maschi" della stampa e del parlamento italiano.
In effetti oggi come oggi un governo con dentro il PD è sostanzialmente COSTRETTO  dare un posto se non ministeriale perlomeno da sottosegretario ad un eletto in terra bergamasca visto che con la rielezione di Gori  sindaco della città, il PD un risultato positivo l'ha ottenuto nella foresta di sconfitte  negli enti locali che ha accumulato.
L'approdo di Misiani nella compagine governativa riapre le speranze dei pulcinotti curnesi che Vivere Insieme di Curno ha messo in lista come richiamo giovanile, vuoi per i cattolici cattolici quelli veri con Marco Battaglia, maturità classica (80/100) Liceo Vescovile sant'Alessandro, Bergamo (Italia) e Laurea Triennale e Magistrale in Politiche Europee ed Internazionali Università Cattolica del Sacro Cuore. Non c'è solo un consigliere delegato (Battaglia) ma c'è addirittura un assessore Andrea Curto, di famiglia socialista (suo padre fu anche assessore  ai tempi della prima repubblica) con un semplice Diploma in Indirizzo Informatico all'I.I.S. Guglielmo Marconi di Dalmine.
Va detto che le madamine della giunta hanno ridotto il ruolo dei due giovanotti a quello dei vescovoni sugli altari alle feste grandi dal momento che l'assessore ha un incarico che vale  praticamente zero mentre il consigliere  delegato brilla per la sua assenza. Tanto é vero che pure la sindaca ha ritenuto di doverlo bypassare nella sua funzione di comunicatore.
Nella storia dei partiti fondatori della prima repubblica  -dc, pci, psi- e che hanno sostanzialmente governato assieme dall'avvento del centro commerciale con la finta di un assessore  all'urbanistica "indipendente" dopo lo schianto politico giudiziario subito da chi – Arnoldi- aveva trasformato il paese bello da vivere nel centro commerciale provinciale è sempre accaduto che le forze giovanili che non condividevano quelle operazioni venivano chi indirizzate nella carriera sindacale  chi premiate con assunzioni negli enti pubblici in maniera che non stessero nelle locali sezioni dei partiti della prima seconda e terza repubblica a nasare troppo i traffici politici dei dirgenti locali su ordine di quelli provinciali e nazionali.
Di lunedì mattina 27 agosto non sappiamo se  vedrà la luce un governo 5S-PD ma non stupisce che ci sia un coto di favorevoli nel paese bello di vivere dal momento che perse di botto  le speranze di lavoro e carriera con Renzi, ecco che si riaprono con Misiani . Insomma finchè c'è vita c'è speranza.