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L'ALLEANZA NAZIONALE PD-5S PREFIGU5RA LE ALLEANZE REGIONALI
Da ottobre fino a primavera c’è una sfilza di elezioni regionali di
peso, in grado di modificare non solo la geografia politica dello
Stivale, in termini federali, ma anche gli schemi a livello nazionale.
La tentazione è un accordo Pd-M5s e il messaggio in senato di Conte è
un sigillo in ceralacca
Lontano dal cuore della crisi politica, estranee al “giorno di Conte”,
pedine a riposo nello scacchiere governativo. Nel bestiario comune
dell’agostano divorzio pentastellato mancano loro: le Regioni. Citate
di sfuggita durante la seduta in senato e assenti nella debacle dei
giorni che l’hanno preceduta, come se si volesse nascondere una
profetica evidenza.
La tentazione è una e una soltanto, quella giallo-rossa. E il messaggio
del premier uscente ha risuonato come un sigillo in ceralacca. Da
ottobre fino a primavera c’è una sfilza di elezioni regionali di peso,
in grado di modificare non solo la geografia politica dello Stivale –
consegnando le chiavi del Paese, in termini federali, alla Lega -, ma
anche gli schemi a livello nazionale. Umbria, Calabria, Emilia Romagna
e Toscana sono chiamate alle urne, e il dialogo Pd-M5S prende le forme
del Leviatano di Hobbes: simbolo del potere solo grazie al suo
scheletro rappresentato come un gigante costituito da tanti singoli
individui, in questo caso le regioni. (...)
SE CE N'E' UNO C'E' SPERANZA ANCHE PER I NOSTRI
No, dico, vedete davvero un Antonio Misiani senatore PD da Bergamo in
Parlamento da 13 anni seduto alla scrivania di Quintino Sella oppure
–più vicini a noi – di un Carlo Padoan o del morituri te salutant
Giovanni Tria?. Va bene che Misiani esce dal liceo classico Sarpi e poi
dalla Bocconi e in Parlamento è sempre stato nella Commissione
bilancio, tesoro e programmazione o della Commissione bicamerale per la
semplificazione della legislazione e quindi di bilanci dello stato se
ne intende ma forse ci fosse un libro, anche solo un libriccino, un
incarico universitario, una collaborazione a qualche rivista o
giornale non guasterebbe.
Già abbiamo avuto come bergamaschi e come ministro delle politiche
agricole quel bravo pulcino bagnato che è Maurizio Martina da Calcinate
–una delle sedi storiche del Consorzio Agrario dove si produceva
parecchia sementi del mais italiano venduto dai CAP- perito agrario e
la laureato in scienze politiche di cui si sono già dimenticate le
opere e Valeria Fedeli, trevigliese di nascita e residenza, lavoro a
Milano e Roma, eletta in Toscana, una carriera dentro il sindacato
partendo dalla scuola dell'infanzia e ministro dell'istruzione,
dell'università e della ricerca del Governo Gentiloni. A mio avviso la
parlamentare col più bel colore (artificiale) dei capelli e fondatrice
nel 2013 del comitato femminista Se non ora, quando? per denunciare il
"modello degradante ostentato da una delle massime cariche dello Stato,
lesivo della dignità delle donne e delle istituzioni". Assieme alla
Boschi ed alla Boldrini sono state il terzetto perennemente mirate dai
"veri maschi" della stampa e del parlamento italiano. (...)
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L'ALLEANZA NAZIONALE PD-5S PREFIGU5RA LE ALLEANZE REGIONALI
Da ottobre fino a primavera c’è una sfilza di elezioni regionali di
peso, in grado di modificare non solo la geografia politica dello
Stivale, in termini federali, ma anche gli schemi a livello nazionale.
La tentazione è un accordo Pd-M5s e il messaggio in senato di Conte è
un sigillo in ceralacca
Lontano dal cuore della crisi politica, estranee al “giorno di Conte”,
pedine a riposo nello scacchiere governativo. Nel bestiario comune
dell’agostano divorzio pentastellato mancano loro: le
Regioni. Citate di sfuggita durante la seduta in senato e assenti
nella debacle dei giorni che l’hanno preceduta, come se si volesse
nascondere una profetica evidenza.
La tentazione è una e una soltanto, quella giallo-rossa. E il messaggio
del premier uscente ha risuonato come un sigillo in ceralacca. Da
ottobre fino a primavera c’è una sfilza di elezioni regionali di peso,
in grado di modificare non solo la geografia politica dello Stivale –
consegnando le chiavi del Paese, in termini federali, alla Lega -, ma
anche gli schemi a livello nazionale. Umbria, Calabria, Emilia
Romagna e Toscana sono chiamate alle urne, e il dialogo Pd-M5S prende
le forme del Leviatano di Hobbes: simbolo del potere solo grazie al suo
scheletro rappresentato come un gigante costituito da tanti singoli
individui, in questo caso le regioni.
Le molte fumate nere che hanno caratterizzato il dossier dell’autonomia
regionale differenziata, hanno anche posto, nel corso dei 14 mesi, su
fronti opposti M5S e Lega: i nodi da sciogliere riguardano in
particolare il cosiddetto costo medio e il Vas, acronimo di Valutazione
ambientale strategica, su sovraintendenze, autostrade, ferrovie, porti
e scuole. A metà luglio Conte disse chiaramente sì alle autonomie,
ma in modo parziale, ovvero senza scuola – la linea dei
cinquestelle in materia di istruzione è da sempre contraria
all’applicazione del regionalismo a questo settore – e per certi versi
senza sanità.
Nel frattempo, il 27 ottobre, dopo le dimissioni di Catiuscia Marini,
in Umbria si vota e il Pd sembra aver già agganciato il M5s pur di
scongiurare una vittoria di Salvini. Stessa storia in Calabria,
dove però il M5s è arrivato primo alle Europee, gettando altra carne al
fuoco e mettendo il Pd con le spalle al muro. Il contratto, in
questa terra, è piuttosto complicato, in quanto il caso Mario Oliverio
infastidisce i vertici del Pd romano e mette a rischio la presenza di
un deputato dem alle prossime elezioni. Il governatore uscente è al
centro di inchieste giudiziarie e allo stesso tempo nomi forti
candidabili non sono ancora comparsi. L’intesa con i 5 stelle, quindi,
è difficile ma non impossibile.
È bene ricordare che il coronamento di trent’anni di lotta del
Carroccio si racchiudono nella realizzazione di vere regioni-stato,
finanziariamente indipendenti, al Nord. Strizzando tuttavia, in
quest’ultimo periodo, l’occhio anche alle roccaforti rosse che, per
gloria e onore, possono sempre tornare utili nel carnet leghista.
A maturare l’idea che un governo sostenuto da M5S e Pd possa
concretizzare i feudi regionali, c’è inoltre l’affaire Toscana ed
Emilia Romagna. Il rischio di perdere due delle storiche regioni
di sinistra è per il Pd un timore più forte di qualsiasi compromesso
a obtorto collo.
Il sindaco di Bologna Virginio Merola ha già lanciato qualche segno di
apertura, anche se il rapporto tra i due partiti è molto complesso. A
fine luglio sono andate in scena le prime prove di governo a larga
maggioranza, con un voto congiunto in consiglio regionale su una legge
anti omofobia.
Nella patria di Dante, invece, saranno i pentastellati a dover bussare
alla porta del governatore uscente. Le statistiche parlano di una
distribuzione dell’elettorato a macchia di leopardo: fonte fin da
subito di dinamiche e strategie, ma soprattutto, di aperture a
coalizioni. Il primo a lanciare nel centrosinistra una proposta è stato
proprio il governatore attuale Enrico Rossi che ha detto chiaramente
che il Pd deve guardare a liste civiche regionali, per trattenere e
rinforzare un bacino di elettori con ampio spettro di
influenza. Non a caso la regione Toscana giocherà un ruolo
fondamentale anche per Matteo Renzi: nella quale è rappresentata la sua
forza politica, non solo da chi fa a lui riferimento in Regione e in
Parlamento, ma dai tanti comitati nati con l’ultima Leopolda.
Insomma, l’alternativa è quella delle urne sicure che chiede Salvini,
con una dovuta correlazione alle regioni. Il centrodestra stringe i
ranghi tra Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, capaci di portarsi a
casa nelle scorse elezioni baluardi comunisti come Pisa e Cascina. Nel
2013 il centrosinistra amministrava 10 capoluoghi toscani su 11, oggi
appena 3. L’algoritmo per arrivare al governo nazionale, per
giunta, non può che passare da quello locale.
Se immolarsi, però, sarà un prezzo politico affrontabile per le due
fronde, c’è un rischio evidente che grava sul futuro del possibile
contratto. Chi si intesterà la battaglia sulle autonomie
regionali? Le scelte del 2001, con l'approvazione della riforma
del Titolo V della Costituzione, e le mosse del 2018, con la Pre-Intesa
siglata da Bressa a nome del governo Gentiloni, che ha aperto una
breccia alle rivendicazioni delle regioni del Nord, candidano lo
schieramento dei Democratici.
Forse per evitare emulazioni dell’autonomia “fai-da-te” di Zaia,
anarchico nelle decisioni prese sulle assunzioni di medici e operatori
sanitari negli ospedali veneti, forse per attuare una versione
all’emiliana, quella più “soft”, il sentiero stretto apre a un
approccio Pd-M5s in grado di garantire equità nelle concessioni e una
stretta nella forbice che divide le proposte di Veneto e Lombardia da
quelle del centro Italia.
Se non altro è quello che ha voluto far passare
anche Conte nelle comunicazione di ieri: «Il progetto di
autonomia differenziata - ha notificato l'ex premier nell’Aula del
Senato - andrà doverosamente completato come stavamo facendo, senza
però sacrificare i principi di solidarietà sociale e coesione
nazionale».
La strada è spianata. Il possibile accordo Pd-M5S si può fare, da Nord
a Sud, nel locale e sul nazionale. Il modello nasce
dall’Emilia-Romagna, con una autonomia da cui resta fuori la scuola e
per cui già diversi ministri 5 Stelle hanno espresso sentiti
apprezzamenti.
Piero Mecarozzi
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SE CE N'E' UNO C'E' SPERANZA ANCHE PER I NOSTRI
No, dico, vedete davvero un Antonio Misiani senatore PD da Bergamo in
Parlamento da 13 anni seduto alla scrivania di Quintino Sella oppure
–più vicini a noi – di un Carlo Padoan o del morituri te salutant
Giovanni Tria?. Va bene che Misiani esce dal liceo classico Sarpi e poi
dalla Bocconi e in Parlamento è sempre stato nella Commissione
bilancio, tesoro e programmazione o della Commissione bicamerale per la
semplificazione della legislazione e quindi di bilanci dello
stato se ne intende ma forse ci fosse un libro, anche solo un
libriccino, un incarico universitario, una collaborazione a
qualche rivista o giornale non guasterebbe.
Già abbiamo avuto come bergamaschi e come ministro delle politiche
agricole quel bravo pulcino bagnato che è Maurizio Martina da Calcinate
–una delle sedi storiche del Consorzio Agrario dove si produceva
parecchia sementi del mais italiano venduto dai CAP- perito agrario e
la laureato in scienze politiche di cui si sono già dimenticate le
opere e Valeria Fedeli, trevigliese di nascita e residenza, lavoro a
Milano e Roma, eletta in Toscana, una carriera dentro il sindacato
partendo dalla scuola dell'infanzia e ministro dell'istruzione,
dell'università e della ricerca del Governo Gentiloni. A mio avviso la
parlamentare col più bel colore (artificiale) dei capelli e fondatrice
nel 2013 del comitato femminista Se non ora, quando? per denunciare il
"modello degradante ostentato da una delle massime cariche dello Stato,
lesivo della dignità delle donne e delle istituzioni". Assieme alla
Boschi ed alla Boldrini sono state il terzetto perennemente mirate dai
"veri maschi" della stampa e del parlamento italiano.
In effetti oggi come oggi un governo con dentro il PD è sostanzialmente
COSTRETTO dare un posto se non ministeriale perlomeno da
sottosegretario ad un eletto in terra bergamasca visto che con la
rielezione di Gori sindaco della città, il PD un risultato
positivo l'ha ottenuto nella foresta di sconfitte negli enti
locali che ha accumulato.
L'approdo di Misiani nella compagine governativa riapre le speranze dei
pulcinotti curnesi che Vivere Insieme di Curno ha messo in lista come
richiamo giovanile, vuoi per i cattolici cattolici quelli veri con
Marco Battaglia, maturità classica (80/100) Liceo Vescovile
sant'Alessandro, Bergamo (Italia) e Laurea Triennale e Magistrale in
Politiche Europee ed Internazionali Università Cattolica del Sacro
Cuore. Non c'è solo un consigliere delegato (Battaglia) ma c'è
addirittura un assessore Andrea Curto, di famiglia socialista (suo
padre fu anche assessore ai tempi della prima repubblica) con un
semplice Diploma in Indirizzo Informatico all'I.I.S. Guglielmo Marconi
di Dalmine.
Va detto che le madamine della giunta hanno ridotto il ruolo dei due
giovanotti a quello dei vescovoni sugli altari alle feste grandi dal
momento che l'assessore ha un incarico che vale praticamente zero
mentre il consigliere delegato brilla per la sua assenza. Tanto é
vero che pure la sindaca ha ritenuto di doverlo bypassare nella sua
funzione di comunicatore.
Nella storia dei partiti fondatori della prima repubblica -dc,
pci, psi- e che hanno sostanzialmente governato assieme dall'avvento
del centro commerciale con la finta di un assessore
all'urbanistica "indipendente" dopo lo schianto politico giudiziario
subito da chi – Arnoldi- aveva trasformato il paese bello da vivere nel
centro commerciale provinciale è sempre accaduto che le forze giovanili
che non condividevano quelle operazioni venivano chi indirizzate nella
carriera sindacale chi premiate con assunzioni negli enti
pubblici in maniera che non stessero nelle locali sezioni dei partiti
della prima seconda e terza repubblica a nasare troppo i traffici
politici dei dirgenti locali su ordine di quelli provinciali e
nazionali.
Di lunedì mattina 27 agosto non sappiamo se vedrà la luce un
governo 5S-PD ma non stupisce che ci sia un coto di favorevoli nel
paese bello di vivere dal momento che perse di botto le speranze
di lavoro e carriera con Renzi, ecco che si riaprono con Misiani .
Insomma finchè c'è vita c'è speranza.
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