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ANDIAMO QUASI BENE, CIOE' MALE
Ai primi di giugno Palazzo Chigi ha fatto presente che «sulla base
delle informazioni ad oggi disponibili, la minor spesa» per questi
interventi «ragionevolmente risulterà pari ad un ulteriore 0,07 per
cento del Pil», ovvero quasi 1,3 miliardi. È pertanto destinato a
restare inutilizzato più del 10% dei circa 11 miliardi messi a
disposizione quest'anno dalla legge di bilancio per reddito di
cittadinanza (7,1 miliardi) e quota 100 (3,9 miliardi).
Le aspettative sulla condotta della politica economica italiana
sembrano cambiate. E c’è un momento preciso in cui questo cambiamento
si è materializzato: quando il governo, dopo tanto apparente
protestare, ha deciso di evitare la procedura europea per debito
eccessivo, accomodando le richieste di correzione del deficit. Si è
così interrotto quel movimento del pendolo che, nell’arco di 10 mesi,
ha portato a modificare gli obiettivi di finanza pubblica ben quattro
volte. Per rimanere al solo 2019: il deficit programmatico era stato
alzato a settembre al 2,4% del Pil, poi riportato a dicembre al 2,04%,
quindi ricollocato ad aprile al 2,4%, infine nuovamente abbassato, oggi
fine luglio, al 2%.
L’oscillazione del pendolo è stata determinata dall’iniziale tentativo
di sospingere il disavanzo in chiave di sostegno dell’economia, salvo
poi ritrovarsi a dover affrontare i vincoli costituiti dalla reazione
dei mercati e dalla volontà della Commissione europea di non accomodare
uno scivolamento del bilancio pubblico italiano. Con l’Assestamento di
bilancio appena approvato, il pendolo torna appunto a oscillare verso
l’esigenza di non allontanarsi dalle regole europee. Il primo anno
della XVIII legislatura- quella del cambiamento– si chiude così
esattamente come si era chiuso il 2017, l’ultimo anno di effettivo
governo dell’economia della XVII legislatura: con una correzione di
bilancio; pari allora allo 0,3% del Pil e oggi portata allo 0,4%.
Questo ritorno in carreggiata- e qui veniamo al mutamento di
aspettative– si sta rivelando portatore di un bonus immediato: la
riduzione dello spread e l’abbassamento dei tassi di interesse, con il
rendimento sui titoli decennali ridisceso all’1,5%, ossia sui valori di
due anni fa. La nuova previsione del Centro Europa Ricerche (Cer),
appena diffusa, viene così ad incorporare una riduzione della spesa per
interessi dai 64,2 miliardi del 2019 ai 62,2 miliardi del 2021 (vedi
grafico 1). Un risultato che pareva irraggiungibile solo tre mesi fa,
tanto che ad aprile, nel Def, il governo programmava per questa voce
una spesa di ben 69,6 miliardi, 7,5 in più di quanto oggi stimato dal
Cer (vedi sempre grafico 1). Di conseguenza, fatto inconsueto. il
deficit futuro risulta più basso nella previsione indipendente del Cer
che nei valori programmatici ufficiali: 1,1% del Pil nel 2021, a fronte
di una stima governativa dell’1,8%. Il quadro di finanza pubblica si fa
dunque meno teso.
Occorre considerare attentamente questo aspetto. Per un Paese come
l’Italia, che spende per gli interessi quasi il doppio di quanto non
spenda per gli investimenti pubblici, è essenziale, per disporre di
spazi di manovra sul bilancio pubblico, poter operare in condizioni di
bassi rendimenti. Aver accettato la correzione richiesta dalla
Commissione ed evitato così la procedura per debito ripristina queste
condizioni e ci restituisce la possibilità di sostenere una politica
per la crescita attraverso il risparmio proveniente dalla spesa per
interessi. Questa sembra essere la logica tornata a prevalere: muoversi
all’interno dei vincoli esistenti, non per aderire a inopportuni
programmi di austerità ma, al contrario, per venire a disporre dei
necessari margini di utilizzo della leva di bilancio.
Nella Nota di aggiornamento del DEF dello scorso settembre, il primo
documento programmatico della XVIII legislatura, redatto dopo
l’euforica “notte del balconcino”, si prospettava per il triennio
2019-21 una crescita cumulata del 4,6%, con un’accelerazione di un
punto e mezzo rispetto agli andamenti tendenziali. Si riteneva
possibile ottenere questa crescita addizionale grazie all’impulso che
il maggior disavanzo avrebbe trasmesso alla domanda. Nel dettaglio, si
stimava di spingere l’incremento cumulato dei consumi al 3,8% e quello
degli investimenti al 10%. Purtroppo, secondo le previsioni del Cer,
questi obiettivi non saranno nemmeno avvicinati. Per il periodo 2019-21
le stime del Cer indicano infatti un incremento cumulato dell’1,4% per
il Pil, dello 0,9% per i consumi, del 3,2% per gli investimenti. Il
risultato cumulato del triennio sarebbe, cioè, inferiore a quanto
conseguito nel solo 2017.
L’assunzione di un orientamento più prudente nella gestione del
bilancio pubblico, concretizzatasi nella trattativa che ha permesso di
scongiurare l’apertura di una procedura di infrazione europea, non è
dunque casuale, ma la razionale conseguenza del fallimento della
strategia economica centrata su misure bandiera quali il reddito di
cittadinanza e quota 100. Tanto che queste misure sono state
definanziate, utilizzando i risparmi ottenuti a riduzione del
disavanzo. Senza che ne risentano le prospettive di crescita.
La questione è che per il trimestre in corso la produzione industriale
sarebbe stata in calo dello 0,7% sul primo, nonostante il recupero
stimato a maggio e giugno (rispettivamente +0,5% e +0,2%). Al contrario
di quanto avvenuto nel primo trimestre, il contributo dell'industria
alla dinamica del Pil nel secondo trimestre è negativo.
Per la Confindustria l'Italia quest'anno non andrà oltre lo 0,1 per
cento. «La dinamica debole dell'industria frena il Pil italiano anche
nei mesi estivi: dopo la stagnazione stimata nel secondo trimestre e
per l'intero 2019 difficilmente si potrà andare oltre una crescita
dello 0,1 per cento sul 2018». È questo il giudizio espresso ieri dalla
consueta nota del Centro studi.
Gli occhi dei previsori sono ormai sul terzo trimestre, anche perché
sul secondo — i cui dati ufficiali usciranno in agosto — quasi tutti i
centri di ricerca concordano per una crescita quasi piatta o peggio. A
fare da "radar" all'andamento del Pil è il dato della produzione
industriale di luglio su giugno in calo dello 0,6 in base alle stime
Confindustria. I motivi? Un ulteriore indebolimento della domanda
interna ed estera nell'ultimo bimestre. Morale: «Nel terzo trimestre si
stima una sostanziale stagnazione della produzione, dopo il calo
rilevato nel secondo ».
Appena pochi giorni fa la conferma del 2019 "piatto" è giunta anche
dall'Fmi. Le ultime stime d'estate di Washington hanno infatti previsto
per quest'anno un Pil dello 0,1 per cento, mentre per il 2020, cruciale
per una difficile manovra di bilancio, la proiezione è stata ridotta,
rispetto a quella precedente di tre mesi fa, di un decimale: scendiamo
così allo 0,8 per cento. Attestati sullo 0,1 ci sono attualmente Upb,
Cer, Bankitalia, Prometeia, Ue, mentre Ref prevede uno — 0,1 per cento.
I dati sono ancora in linea con quelli del governo (+0,2 per cento) ma
l'Italia si conferma il fanalino di coda delle economie del G7 e
dell'Europa.
Arrivata al decimo anno di vita, l’espansione degli Stati Uniti nei
primi tre mesi dell'anno aveva tuttavia marciato al 3,1 per cento.
Nel primo trimestre del 2019 l’economia tedesca, che a fine 2018 aveva
rallentato, è tornata a crescere: il pil ha segnato+0,4% rispetto agli
ultimi tre mesi dello scorso anno. Stando ai dati Eurostat, il dato è
identico alla crescita media dell’Eurozona nello stesso periodo. La Ue
a 28 è invece cresciuta in media dello 0,5%. Entrambi i risultati sono
in progresso dello 0,2% rispetto al trimestre precedente. Rispetto allo
stesso trimestre dell’anno precedente, il pil destagionalizzato è
salito dell’1,2% nell’area dell’euro e dell’1,5% nell’Ue a 28.
L’Italia, con il suo +0,2% che l’ha fatta uscire dalla recessione, si
piazza al penultimo posto tra i partner europei a parimerito con il
Belgio: fa peggio solo la Lettonia che ha visto il pil calare dello
0,3%.
Per la Banca centrale tedesca il rallentamento del settore industriale
in Germania è proseguito nel secondo trimestre e la minaccia della
Brexit ha pesato sulle esportazioni già deboli. la Bundesbank ha
avvertito che il rallentamento del settore industriale in Germania è
proseguito nel secondo trimestre e che la minaccia della Brexit ha
pesato sulle esportazioni già deboli. "Non si riesce ancora a
intravedere una ripresa nel settore delle esportazioni e
dell'industria", ha affermato la Banca centrale tedesca. Un quadro
migliore è emerso per la domanda interna, con livelli di occupazione
ancora in crescita grazie ad aziende che continuano ad assumere nuovi
dipendenti, sebbene a un ritmo più lento.
Il documento riflette l'impressione fornita recentemente da una serie
di indicatori (la fiducia degli investitori tedeschi nell'economia a
luglio è scesa ancora, dopo il crollo di giugno, appesantita anche
dall'inasprirsi dello scontro Usa e Iran, a -24,5; la produzione
industriale a maggio è tornata a crescere dopo lo stop di aprile anche
se al di sotto delle attese: +0,3% su mese quando gli economisti
avevano stimato un aumento dello 0,4% e dopo che in aprile l'attività
dell'industria era crollata dell'1,9%) secondo cui il boom dell'ultimo
decennio della più grande economia europea sarebbe giunto al termine
con fattori come la Brexit e il rischio di una guerra commerciale
Cina-Usa a pesare sulle esportazioni tedesche.
Infine. Il Rapporto annuale dell’Istat per il 2019 sulla situazione
macroeconomica del Paese, sentenzia in modo chiaro che nel secondo
trimestre dell’anno in corso è prevista una forte contrazione del PIL,
al punto che si prevede una differenza negativa rispetto allo stesso
periodo dell’anno precedente.
La previsione relativa all’intero 2019 vede una crescita stimata
attorno allo 0,3%, dimezzata rispetto alle previsioni di inizio anno.
Situazione giustificata dal calo della produzione industriale, che nel
mese scorso ha registrato un -0,7% rispetto al mese precedente, con una
stima sull’anno che si aggira attorno a – 1,5%.
Vero è che anche la vicina Germania – Paese con il quale l’Italia ha
forti relazioni in ambito economico – ha registrato nel mese scorso un
calo della produzione industriale ben peggiore: -2,5% rispetto al mese
precedente.
I motivi del forte calo del PIL sono da ricercarsi in una riduzione
della domanda estera netta (esportazioni al netto delle importazioni),
e in un sostanziale calo della domanda dei consumi. La situazione
potrebbe essere peggiore se non fosse “controbilanciata” dagli
investimenti, che hanno rappresentato finora la componente positiva
della domanda, con un aumento del 3,4% ed un contributo alla crescita
di 0,6 punti percentuali. Investimenti che hanno interessato i settori
trainanti della nostra economia: costruzioni, manifattura e
agroalimentare.
Un fattore che contribuisce negativamente sulla crescita è il crollo
demografico, con conseguente invecchiamento della popolazione e
riduzione della cosiddetta “popolazione attiva” (forza lavoro). Tra il
2015 ed il 2018 la popolazione italiana è diminuita di ben 300.000
unità (+ 2.000.000 la Germania e +760.000 la Francia).
Il Rapporto dell’Istat stima che la popolazione residente nel 2050
risulterà inferiore a quella attuale di circa il 9% (55 milioni nel
2050 contro i 60,4 milioni del 2019), con una percentuale di
ultrasessantacinquenni, quindi popolazione non attiva, che si potrà
aggirare attorno al 45% della popolazione totale. Vale a dire 10 punti
percentuali in più rispetto alla percentuale attuale che si aggira
attorno al 35%. Il rapporto anziani/giovani, che nel 1981 era 62/100,
nel 2018 ha registrato numeri “importanti”: 169/100.
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LE BALLE DEL CLAUDIO PIGA
NON C'E' STATA NESSUNA DELAZIONE
MA UNA SEGNALAZIONE FATTA AL PROTOCOLLO DEL COMUNE
Claudio Piga che si picca di avere fatto il classico e di essere
ingegnere o architetto del Politecnico di Milano (ma gli ingegneri non
conoscono la legislazione urbanisica?) rimette in onda la domanda per
“muovere la bestia” nello stile salviniano: Ma insomma, c'è stata una
delazione anonima o non c'è stata?
La risposta è secca: non c'è stata NESSUNA delazione anonima. Ci sono
state due segnalazioni al Comune firmate dal sottoscritto davanti
all'impiegata del protocollo , in quanto figuravo ancora in quel
momento quale proprietario del fondo.
La prima segnalazioni scritta e firmata dal sottoscritto in comune é
stata nel 1985 relativa alla demolizione abusiva della casetta non
permessa dalle norme allora vigenti ed eseguita dall'impresa incaricata
da AdP & Mazzoleni. La segnalazione partiva dal fatto che NON
essendo ancora stato fatto l'atto notarile di trasferimento
dell'immobile, OGNI opera (eventualmente) abusiva da chiunque
fosse stata eseguita era di responsabilità del proprietario. La
demolizione era abusiva e venne sanata, come da suggerimento dell'avv.
Benedetti, pagando gli oneri relativi.
La seconda segnalazione scritta e firmata dal sottoscritto in comune é
stata del 1989 relativa alla costruzione nella parte di SO del lotto
già recintato dall'AdP di un grande capanno in legno come
deposito attrezzi. Un nostro tecnico aveva rilevato che
AdP-Mazzoleni NON avevano corretto il frazionamento errato (da
loro fatto eseguire a suo tempo da un loro tecnico…) e quindi quella
costruzione figurava ancora su un terreno di mia proprietà, quant'anche
dentro l'area recintata dall'ADP.
Ormai tutta l'attenzione -durata tre anni- dei Curnesi era fissata
sulla prossima apertura primi di ottobre 1991 del centro
commerciale di via Fermi, realizzato per la Curno Shopping Center (una
società della Rinascente- Fiat) da una società della Lega-COOP che ne
resterà comproprietaria per un terzo per alcuni anni finchè non sarà
del tutto ripagata per la costruzione dell'immobile.
Intanto che prendeva forma la grande sagoma del centro
commerciale prendeva corpo anche l'organizzazione locale dei “Verdi per
Curno” e come uno dei principali fondatori dl gruppo, immaginatevi
quanta attenzione ponessi per evitare ogni possibile provocazione da
parte di gente che coi soldi presi poteva “comprare” tutti. Una
violazione edilizia non sarebbe stata proprio un bell'inizio.
Nonostante la vittoria della DC nel 1990 finiranno
tutti male. DC PSI e PCI riusciranno a mandare il comune alle elezioni
anticipate e nel 1993 vincerà la Lega. AdP si ricorderà generosamente
dell'Arnoldi nominandolo capo gabinetto nel proprio ministero dei
lavori pubblici nel primo governo Prodi (dal maggio 1996).
Nel 1990 alle amministrative si presentano anche i “Verdi per Curno” ed
avranno una eletta. Nella campagna elettorale del 1990 invece “qualcuno
perennemente abbronzato e dagli zigomi sagomati col silicone”
comprò con le buone o le cattive gran parte dei candidati della lista
dei Verdi per Curno: chi minacciandolo di licenziamento dove lavorava,
chi guadagnandosi un posto di dottore all'asl, chi un posto di
giardiniere al comune di Bergamo, chi decise di andare a fare il verde
a… Brembate Sopra. Le diciottenni neo elettrici invece si videro
recapitare a casa una rosa rossa firmata da Arnoldi. Era la prima
repubblica che spirava.
Il gran ballo dell'arrivo del centro commerciale si concluderà con la
crisi (1993) del tripartito neanche troppo occulto dc-psi-pci e le
elezioni anticipate. Ormai il centro commerciale era stato costruito.
La Fiat e le Coop rosse avevano raggiunto il loro scopo e quei piccoli
politici indigeni non servivano più. Meritavano un calcio. Arnoldi sarà
condannato per finanziamento illecito della campagna elettorale della
DC quando quella perse le elezioni a vantaggio della Lega. Il sindaco
Gasperini lascerà le penne per un infarto durante un viaggio negli USA.
L'altro democristiano bello (il primo era Arnoldi) non riuscì mai a
diventare sindaco. Qualcun altro che traccheggiava con tutti per
navigare al meglio tra i flutti riuscì ad ammazzarsi con le proprie
mani e scarsa intelligenza. AdP abbandonerà la magistratura per
un'avventura politica ormai finita nelle trasmissioni mattutine e
pomeridiane su improbabili televisioni. Di quegli anni restano Conti e
Benedetti, cugini inossidabili, il primo artefice con la dc prima
e con la lega poi del paese bello da vivere. Di quegli anni resta
(anche) la batosta inflitta al Comune dalla sentenza Leggeri.
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