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MA NON AVEVANO GIA' SCONFITTA LA POVERTA'?
Pur
rimanendo ai livelli massimi dal 2005, nel 2018 la crescita del numero
di nuclei familiari in stato di indigenza assoluta si è arrestata. Ma i
minori in povertà assoluta sono 1,26 milioni, contro gli 1,2 dell'anno
prima. I nuclei in povertà relativa, la condizione di una famiglia di
due componenti che spende in un mese meno della spesa di un italiano
medio, sono invece poco più di 3 milioni
di F. Q. | 18 Giugno 2019
Sono più di 1,8 milioni le famiglie italiane in condizioni di povertà
assoluta, un’incidenza pari al 7%, per un numero complessivo di 5
milioni di individui (8,4% del totale). Lo dicono i dati pubblicati
dall’Istat che spiegano come, pur rimanendo ai livelli massimi dal
2005, la crescita del numero di nuclei familiari in stato di povertà
assoluta si sia arrestata rispetto all’anno prima. Ma l’incidenza della
povertà assoluta – che si conferma più elevata tra le famiglie con un
maggior numero di componenti, tra i giovani e tra gli stranieri –
aumenta non poco tra i bambini dai 4 ai 17 anni. Si trovano in questa
condizione ben 1,26 milioni di minori, contro gli 1,2 milioni del 2017.
Al Sud quasi uno su 6. Per Save the Children “la povertà minorile
rappresenta una piaga diffusa che affligge il presente e il futuro dei
bambini e delle bambine in tutto il Paese e in modo particolare in quei
luoghi dove minori sono le opportunità di crescita e di sviluppo. È
sempre più urgente e indispensabile che la politica lavori a un piano
nazionale di contrasto alla povertà minorile che non può più essere
procrastinato”.
È considerato in povertà assoluta chi spende per consumi meno di una
soglia variabile a seconda dell’area geografica e della tipologia
familiare: per esempio, per un adulto (di 18-59 anni) che vive solo la
soglia è pari a 834,66 euro mensili se risiede in un’area metropolitana
del Nord, a 749,67 euro se vive in un piccolo comune settentrionale, a
563,77 euro se risiede in un piccolo comune del Mezzogiorno. Nel suo
report, l’Istat non rileva variazioni significative per quanto riguarda
la povertà assoluta rispetto al 2017 nonostante una diminuzione della
spesa complessiva delle famiglie in termini reali. Questo perché le
famiglie con minore capacità di spesa, e quindi a maggiore rischio di
povertà, mostrano una tenuta dei propri livelli di spesa, con
conseguente miglioramento in termini relativi rispetto alle altre.
L’intensità della povertà, cioè quanto l’esborso mensile delle famiglie
povere è mediamente sotto la linea di povertà in termini percentuali,
si attesta nel 2018 al 19,4%, un punto sotto rispetto al 20,4% del
2017, da un minimo del 18,0% nel Centro a un massimo del 20,8% al Sud.
I nuclei in povertà relativa, che per l’istituto di statistica è la
condizione di una famiglia di due componenti che spende in un mese meno
della spesa media per persona in Italia, sono invece poco più di 3
milioni (11,8%), per un totale di quasi 9 milioni di persone (15% del
totale).
Il Mezzogiorno si conferma l’area con la più alta incidenza delle
famiglie in povertà assoluta, registrando percentuali del 9,6% nella
parte continentale e del 10,8% nelle Isole. Ben più bassi i numeri
relativi, invece, al Nord-Ovest (6,1%) e al Nord-Est e al Centro,
entrambi al 5,3%. In linea con i numeri degli anni passati, questo fa
sì che, sebbene la quota di famiglie che risiede nel Nord sia maggiore
di quella del Mezzogiorno (47,7% rispetto a 31,7%), anche nel 2018 il
maggior numero di famiglie povere è presente in quest’ultima
ripartizione (45,1% contro 39,3% del Nord). Il restante 15,6% di
famiglie povere si trova, invece, al Centro.
Anche il calcolo in valori assoluti, ossia per singolo individuo, vede
il Mezzogiorno come area più critica del Paese. Proprio lì risiede il
maggior numero di poveri, 2 milioni e 350mila, di cui due terzi nel Sud
e un terzo nelle Isole, il 46,7% del totale, contro il 37,6% delle
regioni del Nord, circa 1 milione e 900mila individui, il 22,7% nel
Nord-ovest e il 14,8% nel Nord-est. L’incidenza di povertà individuale
è pari a 11,1% nel Sud, 12,0% nelle Isole, mentre nel Nord e nel Centro
è molto più bassa, pari a 6,9% e 6,6%. Al Nord i comuni centro delle
aree metropolitane presentano incidenze di povertà (7%) maggiori
rispetto ai comuni periferici delle aree metropolitane e ai comuni
sopra i 50mila abitanti (5,4%) e ai restanti comuni più piccoli (5,7%).
Al Centro, invece, i comuni centro di aree metropolitane presentano
l’incidenza minore (3,5% di famiglie povere contro 5,6% dei comuni
periferici delle aree metropolitane e comuni sopra i 50mila abitanti e
6,4% dei comuni più piccoli). Anche il confronto per tipologia comunale
evidenzia lo svantaggio del Sud e delle Isole: l’incidenza delle
famiglie in povertà assoluta nei comuni centro di aree metropolitane è
pari al 13,6%, valore che raggiunge il 15,7% nel solo Sud.
L’incidenza della povertà assoluta tra i cittadini stranieri è del
30,3%, mentre tra gli italiani si attesta al 6,4. Nel 2018 si conferma
poi un’incidenza di povertà assoluta più elevata tra le famiglie con un
maggior numero di componenti. E’ pari a 8,9% tra quelle con quattro
componenti e raggiunge il 19,6% tra quelle con cinque e più mentre si
attesta attorno al 7% tra le famiglie di 3 componenti, in linea con il
dato medio. La povertà, inoltre, aumenta in presenza di figli
conviventi, soprattutto se minori, passando dal 9,7% delle famiglie con
un figlio minore al 19,7% di quelle con 3 o più figli minori. Anche tra
i monogenitore la povertà è più diffusa rispetto alla media, con
un’incidenza dell’11%, in aumento rispetto all’anno precedente, quando
era pari a 9,1%.
Nel 2018, la povertà assoluta in Italia colpisce 1.260.000 minori
(12,6% rispetto all’8,4% degli individui a livello nazionale).
L’incidenza varia da un minimo del 10,1% nel Centro fino a un massimo
del 15,7% nel Mezzogiorno. Rispetto al 2017 “si registra una
sostanziale stabilità”, scrive l’Istat, ma dai grafici emerge che
l’incidenza è scesa per i bimbi sotto i 3 anni aumentando invece
notevolmente per quelli dai 7 ai 17. Le famiglie con minori in povertà
assoluta sono oltre 725mila, con un’incidenza dell’11,3% (oltre quattro
punti più alta del 7% medio nazionale). La maggiore criticità per le
famiglie con minori emerge non solo in termini di incidenza, ma anche
di intensità della povertà: questa è, infatti, al 20,8% (rispetto al
19,4% del dato nazionale). Le famiglie con minori sono quindi più
spesso povere, e se povere, lo sono più delle altre.
Nelle famiglie con almeno un anziano l’incidenza di povertà è pari al
4,9%, più bassa, quindi, della media nazionale, e scende al 3,2% se si
considerano le coppie in cui l’età della persona di riferimento della
famiglia è superiore a 64 anni (tra quelle con persona di riferimento
tra i 18 e i 64 anni questo valore sale al 5,2%). In generale, la
povertà familiare presenta quindi un andamento decrescente
all’aumentare dell’età della persona di riferimento: le famiglie di
giovani, infatti, hanno generalmente minori capacità di spesa poiché
dispongono di redditi mediamente più contenuti e hanno minori risparmi
accumulati nel corso della vita o beni ereditati. La povertà assoluta
riguarda quindi il 10,4% delle famiglie in cui la persona di
riferimento ha un’età compresa tra 18 e 34 anni, il 4,7% se la persona
di riferimento ha oltre 64 anni.
Istruzione e livelli occupazionali migliori proteggono le famiglie
dalla povertà. La diffusione della povertà diminuisce al crescere del
titolo di studio. Se la persona di riferimento ha conseguito un titolo
almeno di scuola secondaria superiore l’incidenza è pari al 3,8%, si
attesta su valori attorno al 10% se ha al massimo la licenza di scuola
media. Associata al titolo di studio è la condizione professionale e la
posizione nella professione della persona di riferimento: se dirigente,
quadro o impiegato, la famiglia è meno a rischio di povertà assoluta,
con l’incidenza che si attesta intorno all’1,5%. Se la persona di
riferimento è operaio o assimilato, la povertà riguarda il 12,3% delle
famiglie. Tra le famiglie con persona di riferimento in cerca di
occupazione questa quota sale al 27,6%.
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SUICIDIO GRECO
La Grecia ha una popolazione di 10,8 milioni di abitanti (2017). La
Lombardia ne ha 10 milioni (2017). In Grecia hanno votato 5.768milioni
di elettori pari al 57,92%. Il PiL della Grecia nel 2018 è stato di 334
miliardi di dollari, l’Italia di 2.023 e la Lombardia ne fa 410.
I 300 seggi del Parlamento Ellenico vengono distribuiti così: 250 seggi
sono assegnati con il metodo proporzionale con una percentuale minima
(sbarramento) per accedere al Parlamento del 3%; i restanti 50 seggi
sono assegnati automaticamente al partito (non alla coalizione) che
riceve più voti. Per avere la maggioranza parlamentare un partito o una
coalizione dovrebbe controllare 151 seggi su 300. Le schede bianche o
nulle, così come i voti per le forze politiche che non hanno raggiunto
lo sbarramento del 3% non sono conteggiate per l'assegnazione dei seggi.
Ha vinto Kyriakos Mītsotakīs leader del partito conservatore Nuova
Democrazia (avrà 158 seggi in Parlamento: quindi è una maggioranza
autosufficiente) ; secondo è arrivato Alexīs Tsipras leader di SYRIZA,
candidato, per il Partito della Sinistra Europea, e la terza é una
signora Fofi Gennimata presidente del Movimento Socialista Panellenico
(PASOK) dal 2015.
Kyriakos Mītsotakīs ha ottenuto un capolavoro politico: il partito che
insieme al Pasok ha contribuito ad aumentare il debito pubblico greco è
di nuovo al potere dopo soli quattro anni. La classe media impoverita,
i giovani che vogliono stabilità e sicurezza dopo anni di tagli e i
nazionalisti delusi dall’accordo con la Macedonia del Nord hanno
scommesso sulla ricetta magica di questo 51enne ex banchiere che ha
studiato ad Harvard e viene da una delle dinastie politiche più
importanti del Paese.
Nell’autunno 2009 l’allora primo ministro socialista, George
Papandreou, subentrato al governo di centrodestra di Nuova democrazia,
rivelò che i conti pubblici del Paese e le statistiche inviate a
Bruxelles sulla sua situazione economica erano stati truccati.
E che, lungi dal rispettare il parametro di Maastricht del 3%, il
rapporto deficit/Pil si sarebbe attestato quell’anno intorno al 12%.
Un’enormità.
Non era la prima volta che si parlava di conti falsificati ad Atene.
Calcoli falsi dal 1999. La Grecia è entrata nell’euro nel gennaio 2001.
Tre anni dopo, nel novembre 2004, l’allora ministro delle finanze,
George Alogoskoufis, ammise che tutti i parametri di budget presentati
a Bruxelles per entrare nell’euro erano stati truccati e che il deficit
del Paese, almeno dal 1999, non era mai stato al di sotto del 3%.
L’aiuto di Wall Street. Il gioco di prestigio era riuscito grazie al
contributo della banca d’affari americana Goldman Sachs, cui Atene
avrebbe versato 300 milioni di euro per farsi aiutare e truccare i
bilanci, e di altre banche statunitensi, come raccontò nel 2010
un’inchiesta del New York Times.
All’inizio di quello stesso anno, il debito pubblico greco era salito a
350 miliardi di euro, e il governo fu costretto a chiedere quello che
fino a poco prima aveva rifiutato: gli aiuti internazionali.
La Bank for International Settlements presumeva (2009) che le banche
tedesche avessero ca 23,8 miliardi di dollari, e quelle francesi 56,9
miliardi di dollari in titoli greci. E queste erano valutazioni
piuttosto moderate. Se la Grecia fosse andata in bancarotta, queste
banche, su tutte Société Générale e Deutsche Bank, avrebbero dovuto a
loro volta registrare pesanti perdite. Questo i governi francese e
tedesco non potevano permetterlo. Per alcuni anni avevano lucrato
altissimi interessi approfittando degli alti tassi collegati all’alto
debito scommettendo che alla fine sarebbe comunque arrivata la
“copertura” da parte dell’UE.
Primo prestito: 110 miliardi. La Troika – l’insieme dei creditori
rappresentato da Commissione europea, Fondo monetario internazionale e
Banca centrale europea – accordò ad Atene un primo prestito da 110
miliardi di euro, imponendo rigide misure di austerity.
Nel 2012 un nuovo prestito: il fallimento venne evitato solo grazie a un accordo con i creditori. Il resto è storia recente.
I 280 miliardi di euro di aiuti che sono piovuti complessivamente
finora su Atene restano “solo di passaggio” e di fatto rientrati in una
partita di giro nelle tasche delle banche e dei vari fondo salva-stati.
Essi peseranno quindi sulle spalle anche del nuovo esecutivo, che ha le
sue radici in quel gabinetto che per primo truccò i conti subito dopo
le Olimpiadi, per volere del fato spostate dal 1996 al 2004. Dov’era
Zeus quando si compiva questo tragico errore che avrebbe condizionato
per decenni la vita di un paese? Probabilmente se i giochi olimpici si
fossero organizzati davvero nell’anno del centenario la Grecia non
sarebbe mai entrata nella moneta unica perché sarebbe forse fallita
prima. Ma è andata così.
Nei prossimi giorni conosceremo meglio le ragioni di questa drammatica
scelta dei greci verso il partito che già li aveva condotti nella
situazione attuale: sostanzialmente un paese satellite di Germania
Inghilterra e Francia. Dei tedeschi in primis.
In effetti i greci non avevano grandi alternative a meno che si fosse
creata una coalizione tra Coalizione della Sinistra Radicale (SYRIZA),
Schieramento Democratico (DISI), (PASOK - DIMAR) Partito Comunista di
Grecia (KKE), Zoe Konstantopoulou e (forse: é Varoufakis). Ma sappiamo
bene (noi italiani) come il centrosinistra sia più abile e votato alle
divisioni ed alle sconfitte che all’unità.
Il debito del paese ormai è fuori dal mercato del credito, è nei
depositi della BCE e dei Ministeri del Tesoro europei, pertanto Atene
non può più minacciare il sistema finanziario globale. Quindi avanti
Mītsotakīs che è una garanzia (per i creditori).
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