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DIMAIO E DIBATTISTA SONO ARRIVATI A FINE CORSA
M5s, così come quelle tra Giorgetti e Borghi, sono il segnale che il
tempo di questa maggioranza e di questa fase politica volge al termine.
Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista si stanno combattendo per la
leadership del Movimento 5 stelle. È atroce doverlo dire, ma il destino
dell’Italia dipende dallo scontro fra questi due fancazzisti che
avevano affascinato fior di intellettuali e giornalisti di sinistra,
nonché cantanti e attori.
Sappiamo che gli italiani di oggi sono imprevedibili. Non sappiamo,
infatti, quanto questo scontro influirà sul voto al M5s. È certo che
finora, senza quello scontro, i grillini hanno perso una camionata di
voti. Altri elettori potrebbero scappare. A sinistra, dove non mancano
mai gli autolesionisti, in tanti stanno decidendo se sia più giusto
tifare per il fancazzista al governo o per quello “andino”. (...)
L'ISOLAMENTO EUROPEO DI SALVINI E' L'INIZIO DELLA SUA FINE
Tradito dagli amici sovranisti che non sostengono le sue ricette economiche, il vicepremier è destinato a un rapido declino.
Il successo di Matteo Salvini in Europa e in Italia è stato creato
dagli sbagli di chi non ha saputo dare agli italiani una lettura
credibile e una politica sostenibile dell’immigrazione, errori
nazionali ed errori europei.
E la crisi del capo della Lega sta arrivando perché l’uomo forte della
politica italiana è sui temi economici più che isolato nella Ue, senza
un Paese amico che lo sostenga nelle sue rivendicazioni fondamentali, e
senza nessun leader al potere, o ragionevolmente in grado di giungervi
presto, che come lui voglia disfarsi dell’euro e di altro.
IL CAPO DELLA LEGA RISCHIA DI RIMANERE STRITOLATO
Salvini in Europa è in una morsa strategica che rischia di stritolarlo:
non può più chinare il capo davanti a Bruxelles e ingoiare una
finanziaria 2020 scritta come quella 2019 a quattro mani con la
Commissione e il Consiglio, e non può, da solo, tenere testa
all’Unione, dire che va stravolta e che è ormai un retaggio del
passato, senza visione e senza leadership. La “fatiscente” Ue , che con
Londra e il difficile dossier Brexit troppo fatiscente non si è
dimostrata, potrebbe sempre rispondere con un «prego, accomodatevi» e
additare l’uscita. L’inusitata procedura di infrazione non sarebbe che
il primo passo. (...)
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DIMAIO E DIBATTISTA SONO ARRIVATI A FINE CORSA
M5s, così come quelle tra Giorgetti e Borghi, sono il segnale che il
tempo di questa maggioranza e di questa fase politica volge al termine.
Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista si stanno combattendo per la
leadership del Movimento 5 stelle. È atroce doverlo dire, ma il destino
dell’Italia dipende dallo scontro fra questi due fancazzisti che
avevano affascinato fior di intellettuali e giornalisti di sinistra,
nonché cantanti e attori.
Sappiamo che gli italiani di oggi sono imprevedibili. Non sappiamo,
infatti, quanto questo scontro influirà sul voto al M5s. È certo che
finora, senza quello scontro, i grillini hanno perso una camionata di
voti. Altri elettori potrebbero scappare. A sinistra, dove non mancano
mai gli autolesionisti, in tanti stanno decidendo se sia più giusto
tifare per il fancazzista al governo o per quello “andino”.
DI BATTISTA È UNA VOCE SENZA MENTE
La mia opinione è che dalla torre vanno buttati tutti e due e tutti
loro, colleghi giornalisti loro mentori per primi, ed eviterei di
guardare a Di Battista come all’uomo nuovo che potrebbe riportare il
grillismo fuori dall’egemonia salviniana. Di Battista è zero
carbonella. Semplicemente è una voce senza mente, un rumore di fondo
della politica italiana. Se dovesse arrivare il momento del dialogo con
i 5 stelle, cosa che continuo a ritenere non necessario, è bene lasciar
perdere queste mezze calzette e guardare ai quei dirigenti grillini che
hanno popolo dietro di sé, popolo e non Marco Travaglio.
GIORGETTI SQUARCIA IL VELO SU BORGHI E I CAZZARI AL GOVERNO
La verità di questo lunedì nero per la nuova maggioranza, che fa
rimpiangere i peggiori governi della storia repubblicana, sta nel fatto
è che tutto sembra essere stato messo in discussione con la prevalenza
di elementi di verità («fattuale», direbbe Feltri-Crozza) come i
ragionamenti di Giancarlo Giorgetti che non è solo l’uomo forte del
governo, il personaggio che sa di essere circondato da ignoranti, ma
soprattutto conoscitore profondo della Lega, e del suo popolo che pur
con tutti i suoi difetti sa che si parte dal lavoro. È come se questa
Italia stesse iniziando a toccare il fondo del proprio percorso
politico e voglia, almeno come primo atto, liberarsi dei venditori di
idee usate. Giorgetti l’ha fatto con l’economista (definizione
generosa) Claudio Borghi e i tanti cazzari che vivono alle spalle della
Lega.
IL TEMPO DEGLI SCAPPATI DI CASA AL GOVERNO VOLGE AL TERMINE
Siamo ad un punto della vicenda italiana che non solo sono scomparsi i
partiti, tranne la Lega, ma d’improvviso ne potranno nascere altri. I
partiti sono figli di una necessità storica. C’è stato il tempo dei
grandi partiti di massa che hanno fatto dell’Italia repubblicana un
grande Paese. Poi hanno sbagliato gravemente ma sono stati l’episodio
politico più dignitoso della nostra storia recente. In seguito c’è
stato il fenomeno Silvio Berlusconi, l’illusionista anticomunista che
non sapeva governare. Ora ci sono quattro scappati di casa che hanno
raccolto l’indignazione popolare. Il loro tempo sta finendo. Chi i
sostituirà ? Una nuova forza di destra? Un partito di sinistra fatto
come Dio comanda (cioè poche cose: lavoro, democrazia, solidarietà)? Un
rassemblement di centro ? Può accadere tutto.
SALVINI VERRÀ STRITOLATO DAI SOVRANISTI EUROPEI, DA PUTIN E DA TRUMP
Non viviamo più in una situazione che ha un suo rumore di fondo, che
vive sulla spinta di un moto popolare. Siamo nell’area del disincanto e
chi darà la tachipirina agli italiani prenderà l’intero malloppo.
Capite bene come i Di Mai e i Di Battista siano, a questo punto delle
cose, totalmente fuori gioco. Così come il premier Giuseppe Conte
imbozzolato nel suo eterno stupore di provinciale. Che Matteo Salvini
sembri quel topolino della famosa barzelletta della marcia degli
elefanti che diceva all’alto topo che camminava appresso a lui nel
cuore del rumore di fondo provocato dalla marcia dei pachidermi: «Lo
vedi che stiamo facendo un bel casino?». Salvini cammina fianco a
fianco a mostri che lo distruggeranno. Volete l’elenco? I sovranisti
europei, Vladimir Putin e soprattutto il mitico Donald Trump che cerano
servitori non alleati e persino il ministro dell’Interno italiano è
troppo bravo ragazzo per gente come lui. Ecco, qui si dovrebbe
collocare l’iniziativa della sinistra. Poche cose, dette bene, molto
popolo. Per ora si vede niente di tutto questo, ma perché non sperare?
Peppino Caldarola
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L'ISOLAMENTO EUROPEO DI SALVINI E' L'INIZIO DELLA SUA FINE
Tradito dagli amici sovranisti che non sostengono le sue ricette economiche, il vicepremier è destinato a un rapido declino.
Il successo di Matteo Salvini in Europa e in Italia è stato creato
dagli sbagli di chi non ha saputo dare agli italiani una lettura
credibile e una politica sostenibile dell’immigrazione, errori
nazionali ed errori europei.
E la crisi del capo della Lega sta arrivando perché l’uomo forte della
politica italiana è sui temi economici più che isolato nella Ue, senza
un Paese amico che lo sostenga nelle sue rivendicazioni fondamentali, e
senza nessun leader al potere, o ragionevolmente in grado di giungervi
presto, che come lui voglia disfarsi dell’euro e di altro.
IL CAPO DELLA LEGA RISCHIA DI RIMANERE STRITOLATO
Salvini in Europa è in una morsa strategica che rischia di stritolarlo:
non può più chinare il capo davanti a Bruxelles e ingoiare una
finanziaria 2020 scritta come quella 2019 a quattro mani con la
Commissione e il Consiglio, e non può, da solo, tenere testa
all’Unione, dire che va stravolta e che è ormai un retaggio del
passato, senza visione e senza leadership. La “fatiscente” Ue , che con
Londra e il difficile dossier Brexit troppo fatiscente non si è
dimostrata, potrebbe sempre rispondere con un «prego, accomodatevi» e
additare l’uscita. L’inusitata procedura di infrazione non sarebbe che
il primo passo.
SALVINI IN EUROPA TRADITO DAGLI AMICI AUSTRIACI E UNGHERESI
In patria l’ascesa di Salvini, tutta immigrazione e sicurezza, è
compiuta; anche prima di un voto politico l’attuale vicepremier è già
il padrone di Roma. Ha raddoppiato in percentuale nel voto europeo del
26 maggio i suffragi ottenuti alle Politiche del marzo 2018 ed è
passato da cinque a 28 eurodeputati. Tuttavia, se non dimostra qualità
(per il momento nascoste), siamo già all’inizio del declino. Una grossa
falla nella strategia in Europa di Salvini di affrancamento dalla Ue e
dall’euro si era aperta nell’autunno scorso quando gli amici sovranisti
d’Austria, zona euro, e d’Ungheria, si sono sfilati sulla questione del
debito italiano.
Il primo a dire a Salvini in Europa che l’Italia doveva avere i conti
in regola è stato a ottobre 2018 l’amico sovranista austriaco, il
cancelliere Sebastian Kurz. E a novembre con un secco «le regole
dell’Unione Europea ci sono e vanno rispettate» si è aggiunta la voce
di Zoltan Kovacs, ministro e portavoce del premier ungherese Viktor
Orban, lo stesso Orban che a Milano ad agosto 2018 aveva definito
Salvini «il mio eroe, il mio compagno di destino».
IL BOOM DEI SOVRANISTI IN UE NON C’È STATO
La falla si è molto ampliata con il voto complessivo per
l’europarlamento di fine maggio 2019, nonostante gli eurodeputati
leghisti più che quadruplicati. Sono stati smentiti i pronostici
salviniani (e di Luigi Di Maio) di raddoppio e più dei seggi sovranisti
complessivi. C’erano 156 deputati sovranisti di vario tipo
nelll’europarlamento del 2014 e ce ne sono 178 in quello del 2019 con i
22 in più tutti leghisti e il vero balzo ci fu 5 anni fa rispetto agli
89 del 2009. Sempre una forza notevole, ma fermi per ora alle posizioni
del 2014, non fosse per l’exploit italiano. Manca quindi la massa
d’urto per cercare di cambiare la Ue partendo dal parlamento. E
cambiare la valutazione dei criteri di deficit e debito.
LE TEORIE ECONOMICHE DELLA LEGA MINANO LA NOSTRA CREDIBILITÀ
La spesa a debito, con la promessa che questo rilancerà l’economia, non
è facile per chi già ha un debito molto alto. Da qui deriva l’istinto
salviniano, al quale si cerca di dare giustificazione teorica, di
uscita dall’euro; una Banca d’Italia di nuovo sovrana e costretta a
sottoscrivere il debito pubblico sarebbe, dice Claudio Borghi Aquilini,
«la soluzione di gran parte dei nostri problemi». Salvini è più che
d’accordo. I minibot sono stati pensati per arrivare a questo. Siamo
alla neuro, alla totale ignoranza di quanto un abbondante materiale
storico dimostra, e cioè che sarebbe invece la svilimento della moneta
e la fine di ogni credibilità economica, Argentina peronista docet.
IL VICEPREMIER CERCA IN TRUMP UNA SPONDA PERICOLOSA
Resta Donald Trump, come il viaggio di Salvini a Washington di metà
giugno (ha visto il vice Mike Pence e il segretario di Stato Mike
Pompeo), e il grande significato politico che il capo della Lega stesso
ha voluto attribuirgli, dimostrano. Non sarebbe la prima volta che Roma
parla con Washington per far intendere a Parigi, a Berlino e altrove
che non possono troppo sottovalutarla. Ma quella di Donald Trump è una
sponda americana troppo dichiaratamente anti Ue e anti euro. Al momento
non ci sono i margini per convivere con Bruxelles, ammesso Salvini lo
voglia, ed essere contemporaneamente vero amico dell’attuale inquilino
della Casa Bianca. Trump ha raccolto il testimone di una vecchia
America a lungo più che minoritaria e per tradizione anti europea e si
è schierato pubblicamente per la più dura delle Brexit possibili e per
lo sfascio, se gli riesce, dell’intera Ue. A noi conviene stare più con
Trump e meno con Bruxelles? Certe partite occorre saperle giocare, e
soprattutto devono avere premesse realistiche.
L’EUROPA DIVISA È DESTINATA A NON CONTARE NULLA
Oggi l’Europa della Ue ha con 512 milioni di abitanti (il Regno Unito
non è ancora uscito e vedremo se uscirà e come) molto meno di un decimo
della popolazione mondiale, contro il 25% di 70 anni fa, e già prima
del 2050 nessuna nazione europea, neppure la più popolosa, la Germania,
arriverà all’1% della popolazione mondiale. L’Italia sarà attorno allo
0,5%. E con questa demografia dove vogliamo andare? Come pensiamo di
contare nel mondo se non facendo sentire per quanto e dove possibile
una voce comune europea? La voce europea non esiste perché è solo
franco-tedesca? Diventiamo il capofila di quelli che vogliono un’Europa
meno franco-tedesca. Ma non si procede con sfide verbali e la parola
“letterine” pronunciata stortando la bocca.
L’ATTACCO DI TRUMP A DRAGHI, UN MONITO PER CHI NON VUOLE L’UE
Senza sminuire l’importanza costante del rapporto con Washington (e con
Wall Street), Trump o non Trump, un episodio di cronaca dovrebbe
suggerire a Salvini qualche riflessione. Martedì 18 giugno Mario Draghi
annunciava da Sintra, in Portogallo, che la Bce è pronta a un nuovo
round di politica monetaria accomodante, quanto mai utile soprattutto
all’Italia; l’euro scendeva, le Borse salivano, e Trump protestava
accusando la Ue di concorrenza sleale. Dove sta l’interesse italiano,
con Draghi o con Trump? Con chi sta Salvini, con l’Europa e la Bce o
con Trump? È chiaro ormai come il sole che il presidente degli Stati
Uniti vorrebbe sfasciare la Ue per non avere una controparte
commerciale più grossa di lui mentre sarebbe così bello mettere
nell’angolo ogni Paese europeo costretto a trattare da solo con il
gigante Usa. Per questo Trump fa il possibile perché ci sia una very
hard Brexit.
L’ITALIA A TRAZIONE LEGHISTA RESTA SOLA
E Salvini in questa partita come pensa di difendere gli interessi
italiani? Cancellando 70 anni di politiche europee? Dicendo, come
scrive il suo alter ego Giancarlo Giorgetti, che con Brexit, Trump e il
voto italiano del 4 marzo 2018 è partito «un processo unico segnato dal
cambiamento di tutta l’azione politica»? Certo, si tratta di segnali
chiari, ma cambiamento in che senso, e di quale azione politica? Il
futuro è con Washington, scrive Giorgetti, peraltro aspirante
commissario Ue con un portafoglio di rango. «E l’Europa non offre
alternative». Salvini farebbe meglio a dire agli italiani con un
discorso chiaro e organico, non via Twitter, dove stanno gli interessi
del Paese. Perché l’euro ce l’hanno in tasca tutti, tanto o poco, e
tutti vorranno sapere come va a finire. In minibot? Intanto Salvini è
solo, e il massimo che può avere da Trump è un «armatevi e partite».
Mario Margiocco
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