A GUARDARE ALLE COLLINE PAGINA 1034 25 GIUGNO 2019






























































Di cosa parliamo in questa pagina.



















DIMAIO E DIBATTISTA SONO ARRIVATI A FINE CORSA
M5s, così come quelle tra Giorgetti e Borghi, sono il segnale che il tempo di questa maggioranza e di questa fase politica volge al termine.
Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista si stanno combattendo per la leadership del Movimento 5 stelle. È atroce doverlo dire, ma il destino dell’Italia dipende dallo scontro fra questi due fancazzisti che avevano affascinato fior di intellettuali e giornalisti di sinistra, nonché cantanti e attori.
Sappiamo che gli italiani di oggi sono imprevedibili. Non sappiamo, infatti, quanto questo scontro influirà sul voto al M5s. È certo che finora, senza quello scontro, i grillini hanno perso una camionata di voti. Altri elettori potrebbero scappare. A sinistra, dove non mancano mai gli autolesionisti, in tanti stanno decidendo se sia più giusto tifare per il fancazzista al governo o per quello “andino”. (...)

L'ISOLAMENTO EUROPEO DI SALVINI E' L'INIZIO DELLA SUA FINE
Tradito dagli amici sovranisti che non sostengono le sue ricette economiche, il vicepremier è destinato a un rapido declino.
Il successo di Matteo Salvini in Europa e in Italia è stato creato dagli sbagli di chi non ha saputo dare agli italiani una lettura credibile e una politica sostenibile dell’immigrazione, errori nazionali ed errori europei.
E la crisi del capo della Lega sta arrivando perché l’uomo forte della politica italiana è sui temi economici più che isolato nella Ue, senza un Paese amico che lo sostenga nelle sue rivendicazioni fondamentali, e senza nessun leader al potere, o ragionevolmente in grado di giungervi presto, che come lui voglia disfarsi dell’euro e di altro.
IL CAPO DELLA LEGA RISCHIA DI RIMANERE STRITOLATO
Salvini in Europa è in una morsa strategica che rischia di stritolarlo: non può più chinare il capo davanti a Bruxelles e ingoiare una finanziaria 2020 scritta come quella 2019 a quattro mani con la Commissione e il Consiglio, e non può, da solo, tenere testa all’Unione, dire che va stravolta e che è ormai un retaggio del passato, senza visione e senza leadership. La “fatiscente” Ue , che con Londra e il difficile dossier Brexit troppo fatiscente non si è dimostrata, potrebbe sempre rispondere con un «prego, accomodatevi» e additare l’uscita. L’inusitata procedura di infrazione non sarebbe che il primo passo. (...)


















































































































































































DIMAIO E DIBATTISTA SONO ARRIVATI A FINE CORSA

M5s, così come quelle tra Giorgetti e Borghi, sono il segnale che il tempo di questa maggioranza e di questa fase politica volge al termine.

Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista si stanno combattendo per la leadership del Movimento 5 stelle. È atroce doverlo dire, ma il destino dell’Italia dipende dallo scontro fra questi due fancazzisti che avevano affascinato fior di intellettuali e giornalisti di sinistra, nonché cantanti e attori.
Sappiamo che gli italiani di oggi sono imprevedibili. Non sappiamo, infatti, quanto questo scontro influirà sul voto al M5s. È certo che finora, senza quello scontro, i grillini hanno perso una camionata di voti. Altri elettori potrebbero scappare. A sinistra, dove non mancano mai gli autolesionisti, in tanti stanno decidendo se sia più giusto tifare per il fancazzista al governo o per quello “andino”.

DI BATTISTA È UNA VOCE SENZA MENTE
La mia opinione è che dalla torre vanno buttati tutti e due e tutti loro, colleghi giornalisti loro mentori per primi, ed eviterei di guardare a Di Battista come all’uomo nuovo che potrebbe riportare il grillismo fuori dall’egemonia salviniana. Di Battista è zero carbonella. Semplicemente è una voce senza mente, un rumore di fondo della politica italiana. Se dovesse arrivare il momento del dialogo con i 5 stelle, cosa che continuo a ritenere non necessario, è bene lasciar perdere queste mezze calzette e guardare ai quei dirigenti grillini che hanno popolo dietro di sé, popolo e non Marco Travaglio.

GIORGETTI SQUARCIA IL VELO SU BORGHI E I CAZZARI AL GOVERNO
La verità di questo lunedì nero per la nuova maggioranza, che fa rimpiangere i peggiori governi della storia repubblicana, sta nel fatto è che tutto sembra essere stato messo in discussione con la prevalenza di elementi di verità («fattuale», direbbe Feltri-Crozza) come i ragionamenti di Giancarlo Giorgetti che non è solo l’uomo forte del governo, il personaggio che sa di essere circondato da ignoranti, ma soprattutto conoscitore profondo della Lega, e del suo popolo che pur con tutti i suoi difetti sa che si parte dal lavoro. È come se questa Italia stesse iniziando a toccare il fondo del proprio percorso politico e voglia, almeno come primo atto, liberarsi dei venditori di idee usate. Giorgetti l’ha fatto con l’economista (definizione generosa) Claudio Borghi e i tanti cazzari che vivono alle spalle della Lega.

IL TEMPO DEGLI SCAPPATI DI CASA AL GOVERNO VOLGE AL TERMINE
Siamo ad un punto della vicenda italiana che non solo sono scomparsi i partiti, tranne la Lega, ma d’improvviso ne potranno nascere altri. I partiti sono figli di una necessità storica. C’è stato il tempo dei grandi partiti di massa che hanno fatto dell’Italia repubblicana un grande Paese. Poi hanno sbagliato gravemente ma sono stati l’episodio politico più dignitoso della nostra storia recente. In seguito c’è stato il fenomeno Silvio Berlusconi, l’illusionista anticomunista che non sapeva governare. Ora ci sono quattro scappati di casa che hanno raccolto l’indignazione popolare. Il loro tempo sta finendo. Chi i sostituirà ? Una nuova forza di destra? Un partito di sinistra fatto come Dio comanda (cioè poche cose: lavoro, democrazia, solidarietà)? Un rassemblement di centro ? Può accadere tutto.

SALVINI VERRÀ STRITOLATO DAI SOVRANISTI EUROPEI, DA PUTIN E DA TRUMP
Non viviamo più in una situazione che ha un suo rumore di fondo, che vive sulla spinta di un moto popolare. Siamo nell’area del disincanto e chi darà la tachipirina agli italiani prenderà l’intero malloppo. Capite bene come i Di Mai e i Di Battista siano, a questo punto delle cose, totalmente fuori gioco. Così come il premier Giuseppe Conte imbozzolato nel suo eterno stupore di provinciale. Che Matteo Salvini sembri quel topolino della famosa barzelletta della marcia degli elefanti che diceva all’alto topo che camminava appresso a lui nel cuore del rumore di fondo provocato dalla marcia dei pachidermi: «Lo vedi che stiamo facendo un bel casino?». Salvini cammina fianco a fianco a mostri che lo distruggeranno. Volete l’elenco? I sovranisti europei, Vladimir Putin e soprattutto il mitico Donald Trump che cerano servitori non alleati e persino il ministro dell’Interno italiano è troppo bravo ragazzo per gente come lui. Ecco, qui si dovrebbe collocare l’iniziativa della sinistra. Poche cose, dette bene, molto popolo. Per ora si vede niente di tutto questo, ma perché non sperare?

Peppino Caldarola

L'ISOLAMENTO EUROPEO DI SALVINI E' L'INIZIO DELLA SUA FINE

Tradito dagli amici sovranisti che non sostengono le sue ricette economiche, il vicepremier è destinato a un rapido declino.

Il successo di Matteo Salvini in Europa e in Italia è stato creato dagli sbagli di chi non ha saputo dare agli italiani una lettura credibile e una politica sostenibile dell’immigrazione, errori nazionali ed errori europei.
E la crisi del capo della Lega sta arrivando perché l’uomo forte della politica italiana è sui temi economici più che isolato nella Ue, senza un Paese amico che lo sostenga nelle sue rivendicazioni fondamentali, e senza nessun leader al potere, o ragionevolmente in grado di giungervi presto, che come lui voglia disfarsi dell’euro e di altro.

IL CAPO DELLA LEGA RISCHIA DI RIMANERE STRITOLATO
Salvini in Europa è in una morsa strategica che rischia di stritolarlo: non può più chinare il capo davanti a Bruxelles e ingoiare una finanziaria 2020 scritta come quella 2019 a quattro mani con la Commissione e il Consiglio, e non può, da solo, tenere testa all’Unione, dire che va stravolta e che è ormai un retaggio del passato, senza visione e senza leadership. La “fatiscente” Ue , che con Londra e il difficile dossier Brexit troppo fatiscente non si è dimostrata, potrebbe sempre rispondere con un «prego, accomodatevi» e additare l’uscita. L’inusitata procedura di infrazione non sarebbe che il primo passo.

SALVINI IN EUROPA TRADITO DAGLI AMICI AUSTRIACI E UNGHERESI
In patria l’ascesa di Salvini, tutta immigrazione e sicurezza, è compiuta; anche prima di un voto politico l’attuale vicepremier è già il padrone di Roma. Ha raddoppiato in percentuale nel voto europeo del 26 maggio i suffragi ottenuti alle Politiche del marzo 2018 ed è passato da cinque a 28 eurodeputati. Tuttavia, se non dimostra qualità (per il momento nascoste), siamo già all’inizio del declino. Una grossa falla nella strategia in Europa di Salvini di affrancamento dalla Ue e dall’euro si era aperta nell’autunno scorso quando gli amici sovranisti d’Austria, zona euro, e d’Ungheria, si sono sfilati sulla questione del debito italiano.
Il primo a dire a Salvini in Europa che l’Italia doveva avere i conti in regola è stato a ottobre 2018 l’amico sovranista austriaco, il cancelliere Sebastian Kurz. E a novembre con un secco «le regole dell’Unione Europea ci sono e vanno rispettate» si è aggiunta la voce di Zoltan Kovacs, ministro e portavoce del premier ungherese Viktor Orban, lo stesso Orban che a Milano ad agosto 2018 aveva definito Salvini «il mio eroe, il mio compagno di destino».

IL BOOM DEI SOVRANISTI IN UE NON C’È STATO
La falla si è molto ampliata con il voto complessivo per l’europarlamento di fine maggio 2019, nonostante gli eurodeputati leghisti più che quadruplicati. Sono stati smentiti i pronostici salviniani (e di Luigi Di Maio) di raddoppio e più dei seggi sovranisti complessivi. C’erano 156 deputati sovranisti di vario tipo nelll’europarlamento del 2014 e ce ne sono 178 in quello del 2019 con i 22 in più tutti leghisti e il vero balzo ci fu 5 anni fa rispetto agli 89 del 2009. Sempre una forza notevole, ma fermi per ora alle posizioni del 2014, non fosse per l’exploit italiano. Manca quindi la massa d’urto per cercare di cambiare la Ue partendo dal parlamento. E cambiare la valutazione dei criteri di deficit e debito.

LE TEORIE ECONOMICHE DELLA LEGA MINANO LA NOSTRA CREDIBILITÀ
La spesa a debito, con la promessa che questo rilancerà l’economia, non è facile per chi già ha un debito molto alto. Da qui deriva l’istinto salviniano, al quale si cerca di dare giustificazione teorica, di uscita dall’euro; una Banca d’Italia di nuovo sovrana e costretta a sottoscrivere il debito pubblico sarebbe, dice Claudio Borghi Aquilini, «la soluzione di gran parte dei nostri problemi». Salvini è più che d’accordo. I minibot sono stati pensati per arrivare a questo. Siamo alla neuro, alla totale ignoranza di quanto un abbondante materiale storico dimostra, e cioè che sarebbe invece la svilimento della moneta e la fine di ogni credibilità economica, Argentina peronista docet.

IL VICEPREMIER CERCA IN TRUMP UNA SPONDA PERICOLOSA
Resta Donald Trump, come il viaggio di Salvini a Washington di metà giugno (ha visto il vice Mike Pence e il segretario di Stato Mike Pompeo), e il grande significato politico che il capo della Lega stesso ha voluto attribuirgli, dimostrano. Non sarebbe la prima volta che Roma parla con Washington per far intendere a Parigi, a Berlino e altrove che non possono troppo sottovalutarla. Ma quella di Donald Trump è una sponda americana troppo dichiaratamente anti Ue e anti euro. Al momento non ci sono i margini per convivere con Bruxelles, ammesso Salvini lo voglia, ed essere contemporaneamente vero amico dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Trump ha raccolto il testimone di una vecchia America a lungo più che minoritaria e per tradizione anti europea e si è schierato pubblicamente per la più dura delle Brexit possibili e per lo sfascio, se gli riesce, dell’intera Ue. A noi conviene stare più con Trump e meno con Bruxelles? Certe partite occorre saperle giocare, e soprattutto devono avere premesse realistiche.

L’EUROPA DIVISA È DESTINATA A NON CONTARE NULLA
Oggi l’Europa della Ue ha con 512 milioni di abitanti (il Regno Unito non è ancora uscito e vedremo se uscirà e come) molto meno di un decimo della popolazione mondiale, contro il 25% di 70 anni fa, e già prima del 2050 nessuna nazione europea, neppure la più popolosa, la Germania, arriverà all’1% della popolazione mondiale. L’Italia sarà attorno allo 0,5%. E con questa demografia dove vogliamo andare? Come pensiamo di contare nel mondo se non facendo sentire per quanto e dove possibile una voce comune europea? La voce europea non esiste perché è solo franco-tedesca? Diventiamo il capofila di quelli che vogliono un’Europa meno franco-tedesca. Ma non si procede con sfide verbali e la parola “letterine” pronunciata stortando la bocca.

L’ATTACCO DI TRUMP A DRAGHI, UN MONITO PER CHI NON VUOLE L’UE
Senza sminuire l’importanza costante del rapporto con Washington (e con Wall Street), Trump o non Trump, un episodio di cronaca dovrebbe suggerire a Salvini qualche riflessione. Martedì 18 giugno Mario Draghi annunciava da Sintra, in Portogallo, che la Bce è pronta a un nuovo round di politica monetaria accomodante, quanto mai utile soprattutto all’Italia; l’euro scendeva, le Borse salivano, e Trump protestava accusando la Ue di concorrenza sleale. Dove sta l’interesse italiano, con Draghi o con Trump? Con chi sta Salvini, con l’Europa e la Bce o con Trump? È chiaro ormai come il sole che il presidente degli Stati Uniti vorrebbe sfasciare la Ue per non avere una controparte commerciale più grossa di lui mentre sarebbe così bello mettere nell’angolo ogni Paese europeo costretto a trattare da solo con il gigante Usa. Per questo Trump fa il possibile perché ci sia una very hard Brexit.

L’ITALIA A TRAZIONE LEGHISTA RESTA SOLA
E Salvini in questa partita come pensa di difendere gli interessi italiani? Cancellando 70 anni di politiche europee? Dicendo, come scrive il suo alter ego Giancarlo Giorgetti, che con Brexit, Trump e il voto italiano del 4 marzo 2018 è partito «un processo unico segnato dal cambiamento di tutta l’azione politica»? Certo, si tratta di segnali chiari, ma cambiamento in che senso, e di quale azione politica? Il futuro è con Washington, scrive Giorgetti, peraltro aspirante commissario Ue con un portafoglio di rango. «E l’Europa non offre alternative». Salvini farebbe meglio a dire agli italiani con un discorso chiaro e organico, non via Twitter, dove stanno gli interessi del Paese. Perché l’euro ce l’hanno in tasca tutti, tanto o poco, e tutti vorranno sapere come va a finire. In minibot? Intanto Salvini è solo, e il massimo che può avere da Trump è un «armatevi e partite».

Mario Margiocco