LE TRATTATIVE ENTRANO NEL VIVO:
L'ITALIA CHI L'HA VISTA?
Le trattative per le nomine europee entrano nel vivo.
Nelle prossime settimane si decideranno tutte le presidenze che
contano, dalla Commissione al Parlamento: l'Italia continua ad avere un
ruolo piuttosto marginale
Questa settimana entreranno nel vivo le trattative per rinnovare le
principali cariche istituzionali dell’Unione Europea, iniziate nei
giorni successivi alle elezioni europee. Finora sui negoziati sono
trapelate pochissime informazioni, e sui quotidiani sono circolati
molti nomi diversi. Nei prossimi giorni però qualcuno dovrà uscire allo
scoperto: giovedì 20 si terrà la riunione del Consiglio Europeo, cioè
l’organo che raduna tutti i capi di governo e di stato dell’UE, che
all’ordine del giorno avrà proprio le nuove nomine europee, mentre
nella plenaria del Parlamento Europeo che si terrà il 2 luglio dovrà
essere nominato il nuovo presidente dell’aula.
Le principali cariche che andranno rinnovate sono quattro, e verranno
assegnate alla fine di un complesso gioco di incastri che le riguarda
tutte e quattro. Da qui all’autunno verranno rinnovati il presidente
della Commissione (cioè il governo dell’UE), del Consiglio Europeo, da
non confondersi col Consiglio dell’Unione Europea, del Parlamento e
della Banca Centrale. Le nomine verranno decise dalla maggioranza che
governerà i lavori della prossima legislatura, e che quasi sicuramente
comprenderà Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi. Alla difficoltà di
mettere d’accordo quattro famiglie politiche diverse, si aggiunge il
fatto che le nomine dovranno anche rispettare criteri geografici –
bisogna cercare di non scontentare nessuno dei paesi più importanti, né
i blocchi di paesi che si muovono in maniera coordinata – e di genere.
La carica più importante e delicata è certamente quella di presidente
della Commissione Europea, il cui mandato dura cinque anni. Al momento
i Popolari, che nel nuovo Parlamento controllano la maggioranza
relativa col 23,8 per cento dei seggi, continuano a proporre Manfred
Weber, ex capogruppo al Parlamento Europeo nonché candidato alla
presidenza della Commissione (cioè spitzenkandidat) proposto dal
partito alle ultime elezioni.
Il problema è che il sistema informale dello spitzenkandidat, che è
stato istituito nel 2014 e prevede che il partito europeo che ha
ottenuto più seggi possa indicare il presidente della Commissione
Europea, viene dato praticamente per morto: sia perché diversi leader
europei non hanno intenzione di lasciare in mano a un organo poco
controllabile come il Parlamento Europeo una decisione così delicata –
su tutti, Emmanuel Macron – sia perché in fondo il Partito Popolare ha
preso meno di un quarto dei voti e difficilmente potrà pretendere di
scegliere da solo il nuovo presidente.
Di conseguenza in queste settimane si è parlato spesso di alcuni nomi
di compromesso. Su tutti quello di Margrethe Vestager, la commissaria
alla Concorrenza uscente: che però fa parte dei Liberali, che al
Parlamento controllano poco più di un centinaio di seggi. Molti
ritengono che alla fine il presidente dovrà essere in qualche modo
espressione dei Popolari, se non il loro candidato ufficiale: si fa il
nome di Michel Barnier, capo dei negoziatori europei di Brexit e
appartenente all’ala più centrista del partito, oppure di Kristalina
Georgieva, economista bulgara ex vicepresidente della Commissione fra
il 2014 2016 e oggi direttrice generale della Banca internazionale per
la ricostruzione e lo sviluppo.
Qualche settimana fa David Carretta, corrispondente di Radio Radicale
dalle istituzioni europee, aveva scritto che Georgieva «riempie molte
delle caselle necessarie per trovare un punto di equilibrio nella
nomina del successore di Juncker»: «Donna, europeista entusiasta e
ottimista, proveniente da un paese dell’est, con una solida esperienza
internazionale, indipendente ma considerata vicina al Partito popolare
europeo».
Se la presidenza della Commissione andrà davvero ai Popolari, quasi
sicuramente i Socialisti e i Liberali si spartiranno le altre due
principali cariche politiche in ballo: la presidenza del Parlamento e
quella del Consiglio.
Sulla prima, pare ci sia una specie di pre-accordo fra Popolari e
Liberali per eleggere un Popolare alla Commissione Europea e un
Liberale alla presidenza del Parlamento: stando a Politico,
quest’ultima toccherebbe a Guy Verhofstadt, ex primo ministro del
Belgio e capogruppo uscente dei Liberali in Parlamento, che si dice
punti da tempo alla presidenza dell’aula. Ma sembra che Verhofstadt non
sia in buoni rapporti col presidente francese Emmanuel Macron, il
leader di fatto dei Liberali, che secondo i giornali preferirebbe
spendere il suo capitale politico per nominare il sostituto di Mario
Draghi alla Banca Centrale Europea (per questa ragione vari candidati
alla carica sono francesi).
Nei giorni scorsi si era parlato della possibilità che fossero i Verdi
a esprimere la presidenza del Parlamento Europeo, dato che un po’ a
sorpresa stanno partecipando ai negoziati per definire le priorità
legislative della maggioranza del nuovo Parlamento Europeo, che
dovrebbero essere diffuse a giorni.
Se ai Popolari andrà la Commissione e ai Liberali o ai Verdi il
Parlamento, i Socialisti potrebbero esprimere il presidente del
Consiglio Europeo, una carica molto influente e tuttavia gravosa
rispetto alle altre in ballo, perché slegata dalle istituzioni più
laboriose come Commissione e Parlamento: di recente il presidente della
Commissione Europea uscente Jean-Clude Juncker ha ammesso che avrebbe
preferito presiedere il Consiglio Europeo. Per questa ragione nei
giorni scorsi diversi quotidiani italiani – Repubblica su tutti –
avevano scritto che l’incarico era stato offerto a Enrico Letta,
esponente del Partito Democratico italiano e soprattutto ex presidente
del Consiglio, prerequisito considerato piuttosto rilevante per
presiedere l’istituzione.
E quindi?
Il Financial Times ha scritto che al momento il Consiglio Europeo del
20 giugno potrebbe finire in quattro modi. Primo: uno stallo, che non
porta a una decisione su nessuna delle nomine in ballo: «nessun
candidato sarebbe definitivamente fuori, ma qualcuno potrebbe uscirne
meglio di altri». In quel caso un accordo sulla presidenza del
Parlamento – la scadenza più imminente da rispettare – sarà
probabilmente trovato al di fuori delle riunioni ufficiali nei giorni
immediatamente precedenti. Al momento sembra la soluzione più
probabile, scrive il Financial Times.
Il Consiglio potrebbe invece decidere di resuscitare il sistema dello
spitzenkandidat e assegnare un mandato informale a uno dei tre
candidati principali – Weber per i Popolari, Frans Timmermans per i
Socialisti e Vestager per i Liberali – per provare a mettere insieme
una maggioranza al Parlamento Europeo, che dovrà approvare la loro
nomina. I leader europei potrebbero invece decidere di discutere certe
nomine prima di altre, nel caso risultasse più semplice: come ad
esempio la presidenza del Consiglio Europeo o della Banca Centrale, che
non necessitano di alcuna approvazione del Parlamento. Ma lo stesso
Financial Times spiega che le trattative e i veti reciproci fra le
varie famiglie politiche – che esistono anche all’interno del Consiglio
– renderanno comunque complicata la scelta, esattamente come nel caso
delle presidenze di Commissione e Parlamento.
Infine c’è la possibilità che il Consiglio del 20 giugno finisca «in
maniera cruenta»: «il tentativo guidato da Macron di far fuori Weber
potrebbe avere come effetto collaterale quello di far fuori gli altri
spitzenkandidaten, e anche un paio di altri candidati francesi che al
momento fanno finta di non essere interessati. Ma i leader vorranno
evitare un tale spargimento di sangue (politico) al più importante
tavolo politico europeo», e di conseguenza potrebbero scegliere di
rinviare la discussione alla settimana prossima.
E l’Italia?
Come ipotizzato da diversi giornali negli ultimi giorni, sta giocando
un ruolo decisamente marginale. L’Italia è infatti l’unico paese
dell’Europa occidentale – oltre al Regno Unito, che però è un caso a sé
– in cui le elezioni europee sono state stravinte da un partito
euroscettico e di destra radicale, la Lega, che non fa parte delle
famiglie politiche che gestiranno la prossima legislatura europea. Il
Movimento 5 Stelle, che assieme alla Lega fa parte della maggioranza
che esprime il governo italiano, in Europa è così isolato che sta
facendo fatica a unirsi a un gruppo parlamentare nel nuovo Parlamento
Europeo.
Al momento due delle quattro cariche di cui parlavamo sono detenute da
italiani: Mario Draghi alla presidenza della BCE e Antonio Tajani a
quella del Parlamento Europeo. Nel calcolo potremmo aggiungere Federica
Mogherini, attuale Alto rappresentante degli affari esteri e
vicepresidente della Commissione Europea. Da qui a novembre, sembra
difficile che le tre cariche possano rimanere nelle mani di un
italiano, sia per ragioni politiche sia per la naturale rotazione nella
gestione del potere. L’unica che ancora potrebbe essere in ballo, per
le ragioni che elencavamo prima, è la presidenza del Consiglio Europeo.
Sembra inoltre che alcuni esponenti del governo italiano, su tutti il
segretario della Lega Matteo Salvini, stiano concentrando i loro sforzi
per riservare all’Italia un incarico rilevante nella prossima
Commissione Europea (che per le leggi europee deve avere un commissario
per ciascun paese dell’UE). Si parla soprattutto di uno dei due
incarichi economici, che in questa legislatura si sono spartiti il
lettone Valdis Dombrovskis e il francese Pierre Moscovici.
Tuttavia è improbabile che il nuovo presidente decida di assegnare un
incarico così delicato a un politico espresso dall’attuale governo
italiano, che quindi probabilmente non appartiene alle famiglie
politiche che governano la legislatura europea. Ogni commissario deve
inoltre passare una severa audizione del Parlamento Europeo, dove la
maggioranza è nettamente europeista e potrebbe bloccare candidati
eccessivamente legati a partiti euroscettici: dall’altra parte,
candidando un profilo più tecnico come ad esempio quello degli attuali
ministri Giovanni Tria e Enzo Moavero Milanesi, il governo potrebbe
ritenere di non sentirsi adeguatamente rappresentato.
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PARTE MALE LA NEO ASSESSORA MARCHESI
Oggi c'è un articolo di (quasi) una pagina con l'intervista alla
neo assessora Marzia Marchesi su L'Eco ed una pagina web. Marzia
Marchesi non è una neofita della politica ed esce dalla scuola dei
comunisti. Ha frequentato l'Istituto Magistrale “Paolina Secco Suardo”
a Bergamo, diplomandosi nel 1984; poi il corso di Scienze Politiche
all'Università Statale di Milano, laureandosi nel 1990. Attualmente è
insegnante presso una scuola primaria. Consigliere circoscrizionale a
Bergamo tra il 1990 e il 1995, consigliere comunale dal 2007 al 2009
con l'amministrazione Bruni e dal 2012 al 2014 con l'amministrazione
Tentorio. Presidente del Consiglio comunale con la giunta Gori uno e
adesso ha sostituito la nuvoletta Leyla Ciagà non rieletta con un
pacchetto di deleghe: verde pubblico, edilizia residenziale pubblica,
affari generali, educazione alla cittadinanza, pace, legalità e
trasparenza, pari opportunità.
Indubbiamente il carattere e la volontà per reggere tutte quelle
incombenze assessorili c'è, resta il fatto che –parliamo di verde e
arredo urbano collegato- il settore verde del comune non é in
buone mani e proprio l'articolo lo dimostra. Anzi, siccome noi siamo
maliziosi nel leggere le notizie, diciamo anche che questa
operazione mediatica é una furbata di corto respiro. Siccome la sua
predecessora aveva brillato nella sua insufficienza, ecco che la neo
assessora fa il lancio: dio mio che bella la città fiorita!. E poi
mette la foto delle aiuole davanti alla prefettura (guarda il caso! Ma
anche li ci sarebbe parecchio da dire) e le aiuole coi gigli lungo
quella bellissima autostrada che é… via Carducci. Vero che quei gigli e
il resto delle erbe da brico center le ha ordinate la sua predecessora
ma – vedi p.e.le aiuole di Colle Aperto- negli uffici comunali preposti
all'arredo verde della città forse ci sono delle sostanziose carenze
culturali e progettuali da rimediare. Rimediare a come il Comune di
Bergamo ha distrutto il suo verde negli ultimi 40 anni e non é
all'altezza di fare una “città fiorita” sarà un'impresa
irrisolvibile in cinque anni. Avete visto quel pisciatoio per
cani che è la fioriera di Piazza Mascheroni DOPO che hanno distrutto
quello che era stato lasciato a settembre scorso?. Chissà se i
consiglieri comunali di Bergamo sanno che i gigli di san Giovanni
e le tuberose in genere fioriscono UNA SOLA volta all'anno mentre le
aiuole debbono essere “fiorite pulite curate irrigate- per almeno 8-9
mesi l'anno. Non due-tre giorni e poi caputt. Sarebbe il caso che il
Gori 2 facesse un concorso internazionale per l'arredo verde della
città (o perlomeno dei “biglietti da visita”): il bello é che a
settembre ci sono “i maestri del paesaggio” manifestazione nemmeno
troppo sotterraneamente «odiata» dalla politica.
RUMENTA A TARIFFA PUNTUALE: ASSEMBLEA PUBBLICA IL 24 GIUGNO.
La consigliera delegata alla rumenta, la prosindaca Serra assieme alla
sindaca Gamba convocano una “assemblea pubblica di presentazione del
progetto raccolta differenziata & tariffa puntuale” per lunedi 24
giugno. E'la prima sull'argomento e l'avviso precisa che “nel
mese di settembre sono previste ulteriori assemblee per chi fosse
impossibilitato a presenziare a questo primo incontro il calendario
completo è consultabile sul sito del Comune”. Peccato che alle ore 18
di martedi 18 giugno sul sito del comune non sia pubblicato quel
calendario.
Trattasi di un passaggio fondamentale per il miglioramento della
raccolta della rumenta nostrana ma da quel che si legge
abbastanza limitato. Facciamo un sorriso leggendo che per i
Curnesi “ Inoltre è stata istituita la figura del "RUMENTOLOGO",
con cui si può fissare un appuntamento gratuito per "mettere mano al
sacco della spazzatura" e imparare a fare una corretta separazione”. Il
che non è da sottovalutare visto che di ****ologi o ****ologhi ne
abbiamo già a disposizione qualche dozzina aggratis via ATS ed a
pagamento. Già immaginiamo una pioggia di determinazioni a distribuire
soldini a pioggia.
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