CONTRADDIZIONI IN SENO AL POPOLO
OPERAI CHE VOTANO LEGA E 5S E SCIOPERANO CONTRO IL GOVERNO SALVIMAIO
Ieri l'altro un lungo corteo di metalmeccanici del Nord ha attraversato
il centro di Milano per protestare contro il governo. L'impressione che
si aveva guardandoli scorrere non era quella di trovarsi davanti a una
vecchia manifestazione sindacale, con i tamburi di latta, i tanti
megafoni, gli slogan improvvisati il giorno prima o all'alba in
autobus, i cartelli contro i padroni. I simboli della tradizione
operaia settentrionale si sono via via stemperati e il motivo è
semplice: le tute blu di oggi con i loro zainetti e le loro t-shirt
fanno sempre meno eccezione, non sono un reparto separato della società
ma Cipputi è parte integrante del ceto medio. Un sondaggista potrebbe
addirittura argomentare che gli operai sono ormai un campione
pienamente rappresentativo dell'intero elettorato. Manca la controprova
ma se ieri i lavoratori che hanno sfilato in città avessero votato in
un ipotetico seggio unico la maggioranza dei consensi sarebbe andata
alla Lega di Matteo Salvini.
È questa una delle tante contraddizioni - scioperare contro il governo
e votare i partiti che lo compongono - che insieme finiscono per
costituire il labirinto Italia, quell'intrico dal quale non sappiamo
come uscire. Chi si è battuto perché il mondo del lavoro abbandonasse
le ideologie del Novecento e si dotasse di una moderna cultura
laburista non avrebbe mai pensato di ritrovarsi alla fine degli anni
Dieci con una classe operaia ancora organizzata nelle forme del secolo
scorso ma allo stesso tempo senz'anima, disorientata e insieme sedotta
dal populismo. Non è mai gratificante vestire i panni di Cassandra ma
ciò che i leader sindacali ieri hanno detto dal palco è la pura verità.
Stiamo giocando con il fuoco. Il biennio 2019-2020 può rappresentare
per la nostra industria un autentico calvario. E il riferimento non è
solo alle crisi aziendali, 150 o 160 che siano, i timori vanno ben
oltre i Mercatoni, riguardano il Nord e il nostro peso nelle catene
internazionali del valore. Lo sciopero di ieri non era rivolto
principalmente contro le imprese: nel settore metalmeccanico le
relazioni industriali corrono comunque lungo buoni binari, l'ultimo
contratto è stato firmato unitariamente e la meccanica è assieme al
design, al cibo e alla moda ancora un settore-chiave del nostro export.
Se i cinesi potessero comprerebbero una lunga lista di nostre aziende.
Ma per quanto saremo capaci di resistere? È questa forse la domanda
implicita nel corteo di ieri, nella sua compostezza e insieme nei suoi
silenzi, una domanda che investe l'immediato futuro di quella che si
pregia di essere ancora la seconda manifattura d'Europa.
Sono infatti almeno due i fattori che premono e preoccupano. La grande
incertezza politica che incombe sul Paese ci mostra una leadership che
proclama il cambiamento ma di fatto programma la retrocessione. La
competizione economica nell'era globale non passa certo dal vecchio
conflitto operai-padrone, persino le delocalizzazioni in cerca di basso
costo del lavoro sono drasticamente diminuite. Il conflitto è tra aree
e sistemi-Paese e la sensazione è che ci stiamo candidando a
interpretare la parte del vaso di coccio.
Purtroppo chi va per la maggiore nei consensi popolari non ha una
visione e una cultura sistemica e si balocca con agende improvvisate e
trovate a uso/consumo dei social. Quei leader non amano l'industria
mentre adorano la comunicazione.
Un capitalismo come il nostro che insieme a tanti pregi ha il difetto
di avere poche risorse, di investire a singhiozzo e di non riuscire a
sostituire i grandi capitani ottuagenari, rischia di brutto. Corre il
pericolo di perdere il suo collante sistemico, di diventare allo stesso
tempo una galassia di fornitori e una vetrina di grandi saldi. Con
tanti gioielli come il Comau in bella vista. Il secondo fattore che
preme è la trasformazione digitale destinata a riscrivere le regole dei
business, a cambiare le gerarchie, ad azzerare i vecchi vantaggi
competitivi. Basta pensare cosa sta succedendo nel mondo della grande
distribuzione sottoposto allo shock del commercio elettronico oppure al
settore dell'auto alle prese con le fabbriche del 4.0 e con la
difficilissima transizione verso l'elettrico.
Dario Di Vico
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IN ATTESA DI DIVENTARE SINDACO DI CURNO
IL CUSTODE DELLA LATRINA DI NUSQUAMIA E' PARTITO PER FIUME
Per carità! Lo sappiamo e lo sanno tutti che quando si entra in
una latrina è per scaricare (un po') di tutto e quindi non
meraviglia che il custode delLa Latrina di Nusquamia la cui pagina data
da fine gennaio c.a. schizzi tra le ultime smerdate un copia &
incolla di una recensione sul Corriere della Sera (01 giugno 2019) di
Aldo Cazzullo della Sera al libro di Federico Rampini, L’errore della
sinistra. Ha dimenticato i penultimi. Un copia & incolla con una
dozzina di giorni di ritardo, segno evidente di difficoltà
digestive e cacatorie del custode.
In effetti erano parecchi giorni che il nostro non cacava nelLa Latrina
e quindi, avendo cara la sua salute, immaginavamo stesse a prendere le
acque su qualche lago abduano per scopare qualche ostessa popputa in
compagnia di altro cultore del latinorum e del greco rum. Invece il
nostro sta benissimo, a parte qualche pastiglia di prostamol.
La citazione del testo da l'occasione al custode delLa Latrina di
Nusquamia di regolare i conti col Cazzullo: “a me Aldo Cazzullo non è
particolarmente simpatico, considerato il suo assetto “istituzionale”,
anche se devo riconoscere che è istituzionale da sempre” e poi la diga
si rompe e vomita quel che ri-scrive da dieci anni: Cazzullo a
differenza del regista Marco Bellocchio che ha cominciato da
rivoluzionario e adesso si trova comodamente incistato nei meccanismi
istituzionali, per giunta con la pretesa che lui sia il Marco
Bellocchio di sempre: perciò Marco Bellocchio mi è ancora più
antipatico”. Sistemato pure il Bellocchio attraverso il Cazzullo viene
il momento di dare una sistemata anche “alla sinistra italiana,
ancorché scivolata nella palude della similsinistra. La quale ha
accettato, senza reagire, che la Boldrina, gli aziendalisti, i
cattoprogressisti, che obiettivamente non hanno niente che fare con la
sinistra, si insediassero nell'immaginario collettivo, facendo il buono
e il brutto tempo ecc.ecc.”
C'è da comprendere che il custode delLa Latrina di Nusquamia, uno che
ha fatto il classico in un liceo di preti e poi anche il Poli,
attacchi il Cazzullo, la Boldrini, il Bellocchio e giù giù fino alla
Serra la Gamba la Bellezza e chi più ne ricorda le aggiunga. Il nostro
che si credeva al pari (di un Bellocchio una Boldrini un D'Annunzio
(vedi oltre) che finisce la sua esistenza a fare il portavoce di una
maggioranza fascio leghista di un comune sgarruppato alle porte di
Bergamo, beh… la botta per la caduta è troppo forte.
Scavalchiamo il pezzo sull'artico lo fake attribuito a Cacciari per
arrivare al commento (del custode delLa Latrina di Nusquamia)
all'articolo di Claudio Magris su D'Annunzio pubblicato tre giorni or
sono dal Corriere.
Tutto nasce dalla decisione dell'amministrazione di centrodestra
triestina - sindaco Roberto Dipiazza - di collocare nella
centrale piazza della Borsa una statua di Gabriele D'Annunzio nel
quadro di altre iniziative, tra cui una mostra per ricordare i 100 anni
dell'impresa di Fiume. Scontata la reazione pro e contro.
Sintetizzando Wikipedia: l'Impresa di Fiume consistette nella
ribellione di alcuni reparti del Regio Esercito (circa 600 uomini tra
fanteria e artiglieria) al fine di occupare la città adriatica di
Fiume, contesa tra il Regno d'Italia e il Regno di Jugoslavia.
Organizzata da un fronte politico a prevalenza nazionalista e guidata
dal poeta Gabriele D'Annunzio, la spedizione raggiunse Fiume il 12
settembre 1919, proclamandone l'annessione al Regno d'Italia.
L'occupazione dei "legionari" dannunziani durò dal 12 settembre 1919 al
31 dicembre 1920 al con alterne vicende.
C'è anche un bell'articolo in merito su Il Post di cui e consiglio la lettura.
Ma il custode delLa Latrina di Nusquamia non può trattenersi dal
vergare qualche sua virgola di merda: “ho letto l'articolo di Claudio
Magris con molto interesse: tanto più l'ho apprezzato, perché scritto
da un letterato di vaglia il quale, non avendo bisogno – come, per
esempio, Michela Murgia – del belato di approvazione da parte del
gregge politicamente corretto, corre i suoi rischi ed esprime un
giudizio su D'Annunzio disincantato e laico. Claudio Magris sostiene in
buona sostanza che in D'Annunzio c'è del buono e anche dell'ottimo
sotto il profilo letterario; e sommessamente suggerisce che anche sotto
il profilo politico non tutto D'Annunzio debba essere buttato”.
Sistemata pure la Murgia che pure é donna e sarda come il
custode, più avanti scrive di quel che sarebbe stato il “buono”
realizzato da D'Annunzio durante l'occupazione di Fiume. Leggiamo cosa
sintetizza e condivide il custode delLa Latrina dell'articolo di
Magris: “D'Annunzio fu sommo poeta e l'impresa fiumana fu un'impresa
politica ma fu anche un'impresa d'arte. Perché a D'Annunzio riuscì di
creare la sua Repubblica ideale, cosa nella quale Platone fallì ben tre
volte”. Insomma D'Annunzio-Platone 3:1. Con la Reggenza italiana del
Carnaro si realizzavano gli ideali sociali, culturali, eroici e di
immaginazione al potere dei quali il 68 aveva soltanto parlato».
Infervorato nella sua orgia redentrice il nostro dimentica un
particolare fondamentale: dal 12 settembre 1919 al 31 dicembre 1920
passa poco più di un anno e che in tale brevissimo periodo con
dentro nientemeno che due inverni sia stato possibile quella
rivoluzione... solo un cretino come D'Annunzio e i suoi improvvisati
seguaci lo possono credere. Quella di D'Anunnzio, anche spogliandola di
ogni lustrino politico e ideologico interno fu l'ennesima strage che
quella gente dovette subire senza colpa. Come l'occupazione dell'Iraq
da parte degli USA nel 2003 oppure la “liberazione” della Libia nel
2011 o l'Afganistan nel 2001.
Il custode delLa Latrina di Nusquamia non esita quindi a dare alcuni
esempi di quell 'impresa d'arte che trovò nella Reggenza
italiana del Carnaro la realizzaizone degli ideali sociali, culturali,
eroici e di immaginazione al potere dei quali il’ 68: «per esempio che
nella libera Repubblica fiumana si praticasse la sodomia, talvolta: ma
era una sodomia pederastica 'stricto sensu', improntata agl'ideali
eroici della falange tebana. Una sodomia transeunte (da giovane
soddisfi al tuo maestro, poi basta), refrattaria a ogni sorta d'istitu
zionalizzazione. Per non dire del grande D'Annunzio
creatore dell'impresa fiumana: D'Annunzio sarà anche stato schifoso, se
dobbiamo prestare orecchio alle testimonianze delle donne che, ormai a
pagamento, si prestavano a soddisfarne le voglie senili. Lui stesso per
primo era consapevole della schifezza del proprio corpo, infatti quando
si disponeva a praticare il sesso, indossava una veste talare con un
pertugio al mezzo dal quale promineva il membro (o “muscolo
fecondatore”, come ebbe a scrivere in un biglietto di rimostranze a
Mussolini, perché tirasse le orecchie a uno zelante burocrate che aveva
avuto da dire su una medaglia commemortiva commissionata dal Vate, che
mostrava un uomo troppo membruto).
Ridere o piangere?
Orbene se verso gli 80 anni al custode delLa Latrina di Nusquamia può
essere lecito “odiare” le giovani scrittrici e giornaliste e politiche
(quando le disprezza al massimo le soprannomina “madonne”
significandole in toscano come “troia”) , odiare chi ha fatto il
'68 (che non fu solo Bellocchio e i piccoli borghesi che sfruttarono
l'onda per cavarci di che vivere senza lavorare: come quelli che
fotografano di sfrosso le cinque centine della May per vendere il
proprio prodotto …) che lui da piccolo borghese arrabbiato e invidioso
non ha avuto il coraggio visto che al tempo asserviva già un padrone
che stimava come “illuminato” e invece era solo un “padrone”.
Il nostro fa finta di dimenticare cosa accadde nelle fabbriche e nelle
scuole “nel '68” e vede solo quello dei suoi concorrenti, che hanno
campato a sbafo degli altri. E si iscrive nella folta truppa di quelli
che “anche il fascismo fece della cose buone”. Öh! eccome no!?.
Scrive Il Post:Il 16 marzo del 1924, Benito Mussolini proclamò
l’annessione all’Italia della città di Fiume, nell’odierna Croazia. Fu
l’ultimo atto di una storia che era cominciata cinque anni prima,
durante la conferenza di pace che aveva messo fine alla Prima guerra
mondiale. La città era contesa tra Italia e Regno di Jugoslavia e
divenne famosa in tutto il mondo quando venne occupata dal poeta
Gabriele D’Annunzio alla guida di una banda di avventurieri. Quella che
venne ribattezza “l’impresa di Fiume” fu un’occupazione militare a metà
tra la farsa e la tragedia e oggi è considerata da molti storici una
“prova generale” del fascismo, dove vennero utilizzate per la prima
volta metodi, tattiche e simboli che sarebbero divenuti comuni nei
vent’anni del regime.
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