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pagina 1020                                                   10 giugno 2019



Di cosa parliamo in questa pagina.

Intelligenza artificiale attenti al sorpasso cinese

La Silicon Valley si è addormentata sui suoi allori e non ha visto arrivare il sorpasso cinese nell'Intelligenza artificiale? Forse non vuole aprire gli occhi neanche ora? Se è così, siamo di fronte a quell'atteggiamento che gli americani chiamano “complacency”: un eccesso di sicurezza, l'autocompiacimento per la proprie qualità, la certezza di essere sempre i più bravi. Sono dovuto andare a Bologna, a parlare della sfida Usa-Cina davanti a un gruppo di investitori americani e startup californiane, per avere una conferma tangibile che questo pericolo è reale. L'occasione era un evento organizzato la settimana scorsa dalla Regione Emilia Romagna, l'incontro R2B tra investitori istituzionali e startup. All'insegna di innnovazione, intelligenza artificiale, Big Data, e con una folta presenza di investitori americani. A me avevano chiesto di parlare della sfida Usa-Cina, la competizione tecnologica che sta assumendo sempre più una dimensione geopolitica e strategica, fino a configurare il rischio di una nuova guerra fredda. Ho raccontato il clima che si respira oggi negli Stati Uniti: dove la questione degli squilibri commerciali è diventata quasi marginale rispetto al timore di un sorpasso cinese nelle tecnologie avanzate; e si è creato in poco tempo un consenso bipartisan, con i democratici che cavalcano l'allarme cinese almeno quanto Donald Trump. (...)

BOT, MINIBOT,CDP, KFW: I DEBITI NON SONO UGUALI PER TUTTI
La maggioranza degli italiani conosce poco o nulla di come sono andate le faccende con le banche venete ed altre un po’ di tutte le regioni che sono alla fine scomparse o assorbite da banche di maggiori dimensioni dove la maggior parte dei clienti acquirenti dopo essere stati indotti -da rendimenti e rivalutazioni golosissime in massima parte fasulli e prodotti da sole- ad acquistare a prezzi altissimi quelle azioni che alla fine della fiera –davvero fu una fiera!- hanno valore prossimo a zero. Di quella vicenda noi abbiamo sempre pensato che ci fu un incrocio di interessi tra  le banche frodatrici e i clienti  golosi e quindi stabilire quanto delle une e quanto delle altre meglio non esprimersi.

La vicenda dei minibot é una vicenda che in qualche modo ricalca quello schema ma stavolta  la truffa è tripla dal momento che (a) il rendimento dei minibot è zero (2) sicuramente se si vogliono cambiare in euro avranno un valore  inferiore a quello stampato sul titolo (3) al massimo varranno 1:1 solo per il pagamento di imposte mentre tra privati è sempre il creditore che ha diritto di indicare la moneta con cui vuole essere pagato. E quindi  l’euro resta sempre quello che é.
Ovvio che il via libera all’unanimità della Camera a una mozione che impegna il governo a varare un provvedimento per il pagamento dei debiti della pa alle imprese in titoli di Stato di piccolo taglio, creando debito e potenzialmente “valuta”, contribuisce a mettere l’Italia sotto i riflettori. Proprio mentre l’Italia rischia una procedura d’infrazione per il debito italiano. (...)




































Intelligenza artificiale attenti al sorpasso cinese

La Silicon Valley si è addormentata sui suoi allori e non ha visto arrivare il sorpasso cinese nell'Intelligenza artificiale? Forse non vuole aprire gli occhi neanche ora? Se è così, siamo di fronte a quell'atteggiamento che gli americani chiamano “complacency”: un eccesso di sicurezza, l'autocompiacimento per la proprie qualità, la certezza di essere sempre i più bravi. Sono dovuto andare a Bologna, a parlare della sfida Usa-Cina davanti a un gruppo di investitori americani e startup californiane, per avere una conferma tangibile che questo pericolo è reale. L'occasione era un evento organizzato la settimana scorsa dalla Regione Emilia Romagna, l'incontro R2B tra investitori istituzionali e startup. All'insegna di innnovazione, intelligenza artificiale, Big Data, e con una folta presenza di investitori americani. A me avevano chiesto di parlare della sfida Usa-Cina, la competizione tecnologica che sta assumendo sempre più una dimensione geopolitica e strategica, fino a configurare il rischio di una nuova guerra fredda. Ho raccontato il clima che si respira oggi negli Stati Uniti: dove la questione degli squilibri commerciali è diventata quasi marginale rispetto al timore di un sorpasso cinese nelle tecnologie avanzate; e si è creato in poco tempo un consenso bipartisan, con i democratici che cavalcano l'allarme cinese almeno quanto Donald Trump. Ho declinato il tema parlando della penetrazione di Huawei nella telefonìa della quinta generazione, che Wasington vede come un cavallo di Troia dello spionaggio cinese. Se scivoliamo verso una nuova guerra fredda, agli europei viene chiesto di abbandonare ogni equidistanza, devono decidere se rimanere dipendenti dalla tecnologia cinese o cedere alle pressioni di Washington e troncare i rapporti con Huawei. L'altro terreno della sfida strategica è l'Intelligenza Artificiale, dove la Cina gode di due vantaggi: una popolazione di un miliardo e 300 milioni su cui raccogliere dati, più un sistema politico autoritario che non ha barriere di privacy. Alcuni californiani mi hanno avvicinato alla fine della mia relazione, opponendomi le solite argomentazioni: la Cina sarebbe in realtà capace solo di copiare la Silicon Valley, o di applicare con ingegno innovazioni altrui. Con metodi leciti o illeciti, ma comunque sempre al traino dell'America. Non la pensa così uno dei più acuti osservatori dell'economia digitale cinese, l'imprenditore Kai Fu Lee. Cinese-americano, ex dirigente di Google China, da anni Kai Fu Lee investe capitali (per lo più americani) in startup asiatiche, la sua visione è raccolta in un saggio illuminante: “A.I. Super-powers. China, Silicon Valley and thè New World Order”. Per Kai Fu Lee la Silicon Valley si è pericolosamente distratta. Non si è resa conto che sull'altra sponda del Pacifico l'allievo stava superando il maestro.

Federico Rampini
BOT, MINIBOT,CDP, KFW: I DEBITI NON SONO UGUALI PER TUTTI


La maggioranza degli italiani conosce poco o nulla di come sono andate le faccende con le banche venete ed altre un po’ di tutte le regioni che sono alla fine scomparse o assorbite da banche di maggiori dimensioni dove la maggior parte dei clienti acquirenti dopo essere stati indotti -da rendimenti e rivalutazioni golosissime in massima parte fasulli e prodotti da sole- ad acquistare a prezzi altissimi quelle azioni che alla fine della fiera –davvero fu una fiera!- hanno valore prossimo a zero. Di quella vicenda noi abbiamo sempre pensato che ci fu un incrocio di interessi tra  le banche frodatrici e i clienti  golosi e quindi stabilire quanto delle une e quanto delle altre meglio non esprimersi.

La vicenda dei minibot é una vicenda che in qualche modo ricalca quello schema ma stavolta  la truffa è tripla dal momento che (a) il rendimento dei minibot è zero (2) sicuramente se si vogliono cambiare in euro avranno un valore  inferiore a quello stampato sul titolo (3) al massimo varranno 1:1 solo per il pagamento di imposte mentre tra privati è sempre il creditore che ha diritto di indicare la moneta con cui vuole essere pagato. E quindi  l’euro resta sempre quello che é.
Ovvio che il via libera all’unanimità della Camera a una mozione che impegna il governo a varare un provvedimento per il pagamento dei debiti della pa alle imprese in titoli di Stato di piccolo taglio, creando debito e potenzialmente “valuta”, contribuisce a mettere l’Italia sotto i riflettori. Proprio mentre l’Italia rischia una procedura d’infrazione per il debito italiano.

Dei minibot se ne parlava da anni. Una proposta dell’ex premier Silvio Berlusconi, nel 2017, fece il giro del mondo. La proposta poi farà capolino nel “contratto” Lega-M5s nel 2018. E viene messa nero su bianco nella mozione Baldelli (FI) per le compensazioni nei pagamenti della Pa targata Forza Italia, in cui Lega e Cinque Stelle avrebbero inserito in corso di votazione il via libera ai minibot. Prima dell’approvazione unanime, in cui il via libera dell’opposizione europeista finisce oggetto in queste ore di una pioggia di critiche sui social.

Il gruppo del Pd alla Camera dopo averlo votato (per errore: dice) annuncia «un ordine del giorno urgente al Dl crescita per escludere decisamente l’impiego di strumenti come i cosiddetti minibot». «Nella prima versione della mozione non c’era quel punto», spiegherà poi il deputato di Più Europa Riccardo Magi. Un errore, dunque, su quella che è «soltanto una mozione» come scrive la nota del Pd. Ma che fa gongolare i più antieuro fra le file leghiste. «Eppure Padoan (Pd ed ex ministro dell’Economia, ndr) ha votato anche lui la mozione», twitta Claudio Borghi, consulente economico del vicepremier Matteo Salvini. E la disattenzione, anche se non vincola il governo (ma al voto era presente il sottosegretario alle Politiche agricole Alessandra Pesce), crea una situazione «molto pericolosa», come spiega Codogno. «Abbiamo mille parlamentari - prosegue l’economista italiano - che hanno messo in fibrillazione il mondo intero. Gli investitori europei ne hanno parlato in una conference call con le controparti Usa fino a notte inoltrata». Perché «il segnale è quello dell’inizio di una valuta parallela. E il sospetto è che almeno la Lega voglia introdurre una sorta di ruota di scorta, che in caso di necessità diverrebbe una valuta parallela. O, peggio, un’arma negoziale nei confronti dell’Europa».

Tria, e quindi il Tesoro, non voleva e non vuole i minibot proposti dal Carroccio come una necessità urgente  per pagare i debiti arretrati della pubblica amministrazione: bocciatura senza appello, con tanto di parere negativo scritto nero su bianco e con buona pace della Lega. Che non è rimasta sorpresa perché era già al corrente della posizione di via XX Settembre. Il sottosegretario Giancarlo Giorgetti però insiste nel difendere la proposta che è “solo un tentativo di risolvere i debiti delle pubblica amministrazione“. Di fronte alle nuove tensioni tra il Mef e il Carroccio, è poi intervenuto Luigi Di Maio: “Questa storia sta diventando paradossale – ha scritto su Facebook – Il Mef dice che sono inutili e che è sufficiente pagare le imprese, allora lo faccia”.
Sul punto è arrivata anche la bocciatura di Mario Draghi: «O sono un’altra moneta, e quindi sono illegali, oppure sono altro debito, e dunque lo stock del debito sale: non vedo una terza possibilità», ha sentenziato il presidente Bce rilevando come «la lettura che le persone e i mercati hanno dato della proposta  non sembra essere positiva».

In Italia c’è la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), in Germania la Kreditanstalt für Wiederaufbau, la Banca per la ricostruzione (post-bellica), per gli amici Kfw. Entrambe sono di proprietà pubblica: la Cdp è all’80,1% del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il 18,5% delle fondazioni bancarie e per l’1,5% di azioni proprie. La Kfw è al 80% di proprietà del governo federale e al 20% dei diversi lander (l'equivalente delle nostre regioni, ndr) in cui è suddiviso il territorio tedesco. Entrambe, per finanziarsi, emettono dei titoli. La Cdp sottoforma di obbligazioni, la stragrande maggioranza delle quali coperte da garanzia statale. La Kfw, pure, emettendo titoli a tassi bassissimi grazie al doppio filo che la lega al governo tedesco e ai suoi affidabilissimi Bund.
La Cdp raccoglie ogni anni circa 350 miliardi di euro, la Kfw circa 500 e li reinveste concedendo prestiti a tassi irrisori alle piccole e medie imprese e controllando ingenti quote del capitale di colossi come Deutsche Post e Deutsche Telekom.
C’è solo una piccola differenza: i 350 miliardi di debito contratto dalla Cdp coperto da garanzia statale entra nel conteggio del debito pubblico italiano. I 500 miliardi di euro della Kfw invece no.
Il motivo è una regola contabile dello Stato tedesco che esclude dal debito pubblico le società pubbliche che si finanziano con pubbliche garanzie ma che coprono la metà dei propri costi con ricavi di mercato e non con versamenti pubblici, tasse e contributi. Regola alquanto discutibile: la proprietà di Kfw è pubblica, la sua vigilanza non è deputata alla Bundesbank (la banca centrale tedesca, ndr), ma al ministero delle Finanze, i suoi tassi sono diretta conseguenza di quelli dei Bund e se avesse problemi sarebbe lo Stato a intervenire. Facciamo i conti della serva: 500 miliardi di euro sono pari a circa un quarto dei 2080 miliardi complessivi del debito pubblico tedesco. Se li sommassimo otterremmo un debito pubblico tedesco che dal 78,4% arriverebbe a lambire il 97% del Pil. Comunque lontano, ma un po’ più vicino al nostro 132,2 per cento (2018).

In Italia, non essendoci federalismo amministrativo, tutto finisce nel calderone della finanza pubblica. I deficit di regioni, comuni e province (finché ci saranno) vengono contabilizzati dallo Stato e formano la massa del debito pubblico. In Germania invece c'è federalismo e quindi i 600 miliardi di debito dei länder rimangono nei loro bilanci locali. Anche in questo caso si tratta di una disparità, rispetto ai conti pubblici italiani, difficile da comprendere. È vero che Angela Merkel, comunque preoccupata per il progressivo aumento del deficit dei länder, ha imposto il dietrofront, con l'obiettivo del pareggio dei loro bilanci, ma dovranno tagliare il traguardo nel 2020 e non dal 2015 come invece è stato chiesto (e imposto) all'Italia.

Le pennellate sul quadro non sono  comunque finite dal momento che per esempio a fine 2017 la ricchezza di imprese e famiglie italiane ammontava a quasi 10mila miliardi ed anche togliendo la metà in quanto immobili di varia natura, per esempio le famiglie tra  contante, depositi, azioni ed altre attività finanziarie avevano quasi il 40% della ricchezza finanziaria come disponibile che equivale  a quella delle imprese.
A questo punto a livello europeo bisognerebbe decidere che i bilanci dei vari paesi siano costruiti tutti allo stesso modo e che debiti e crediti di ogni amministrazione pubblica – com’è per l’Italia- stiano nel calderone del debito pubblico del singolo paese per capire esattamente gli equilibri dei 28 stati.
Chiaro quindi che paesi come Germania e Francia, per citare i due principali concorrenti  dell’Italia, non abbiano interesse a porre  porsi e risolvere il problema del debito pubblico complessivo di ciascun stato.

In questa situazione complessa anche la sola “mossa” dell’Italia di adottare una legge come la Germania per potere togliere dal debito pubblico i debiti delle varie regioni provincia comuni ats trasporti regionali, rumenta verrebbe vista malissimo da chi ci presta i soldi per tirare avanti.
Una mossa ragionevole del tutto interna potrebbe essere quella di consentire agli enti locali e società controllate da questi l’emissione di titoli di debito, per esempio fino all’ammontare del 30% della ricchezza provinciale e regionale per pagare i debiti pregressi e fare o terminare opere pubbliche di grande necessità per quelle regioni provincie comuni e stabilire un rendimento leggermente superiore al quello pubblico o una tassazione  leggermente inferiore.