Intelligenza artificiale attenti al sorpasso cinese
La Silicon Valley si è addormentata sui suoi allori e non ha visto
arrivare il sorpasso cinese nell'Intelligenza artificiale? Forse non
vuole aprire gli occhi neanche ora? Se è così, siamo di fronte a
quell'atteggiamento che gli americani chiamano “complacency”: un
eccesso di sicurezza, l'autocompiacimento per la proprie qualità, la
certezza di essere sempre i più bravi. Sono dovuto andare a Bologna, a
parlare della sfida Usa-Cina davanti a un gruppo di investitori
americani e startup californiane, per avere una conferma tangibile che
questo pericolo è reale. L'occasione era un evento organizzato la
settimana scorsa dalla Regione Emilia Romagna, l'incontro R2B tra
investitori istituzionali e startup. All'insegna di innnovazione,
intelligenza artificiale, Big Data, e con una folta presenza di
investitori americani. A me avevano chiesto di parlare della sfida
Usa-Cina, la competizione tecnologica che sta assumendo sempre più una
dimensione geopolitica e strategica, fino a configurare il rischio di
una nuova guerra fredda. Ho raccontato il clima che si respira oggi
negli Stati Uniti: dove la questione degli squilibri commerciali è
diventata quasi marginale rispetto al timore di un sorpasso cinese
nelle tecnologie avanzate; e si è creato in poco tempo un consenso
bipartisan, con i democratici che cavalcano l'allarme cinese almeno
quanto Donald Trump. Ho declinato il tema parlando della penetrazione
di Huawei nella telefonìa della quinta generazione, che Wasington vede
come un cavallo di Troia dello spionaggio cinese. Se scivoliamo verso
una nuova guerra fredda, agli europei viene chiesto di abbandonare ogni
equidistanza, devono decidere se rimanere dipendenti dalla tecnologia
cinese o cedere alle pressioni di Washington e troncare i rapporti con
Huawei. L'altro terreno della sfida strategica è l'Intelligenza
Artificiale, dove la Cina gode di due vantaggi: una popolazione di un
miliardo e 300 milioni su cui raccogliere dati, più un sistema politico
autoritario che non ha barriere di privacy. Alcuni californiani mi
hanno avvicinato alla fine della mia relazione, opponendomi le solite
argomentazioni: la Cina sarebbe in realtà capace solo di copiare la
Silicon Valley, o di applicare con ingegno innovazioni altrui. Con
metodi leciti o illeciti, ma comunque sempre al traino dell'America.
Non la pensa così uno dei più acuti osservatori dell'economia digitale
cinese, l'imprenditore Kai Fu Lee. Cinese-americano, ex dirigente di
Google China, da anni Kai Fu Lee investe capitali (per lo più
americani) in startup asiatiche, la sua visione è raccolta in un saggio
illuminante: “A.I. Super-powers. China, Silicon Valley and thè New
World Order”. Per Kai Fu Lee la Silicon Valley si è pericolosamente
distratta. Non si è resa conto che sull'altra sponda del Pacifico
l'allievo stava superando il maestro.
Federico Rampini
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BOT, MINIBOT,CDP, KFW: I DEBITI NON SONO UGUALI PER TUTTI
La maggioranza degli italiani conosce poco o nulla di come sono andate
le faccende con le banche venete ed altre un po’ di tutte le regioni
che sono alla fine scomparse o assorbite da banche di maggiori
dimensioni dove la maggior parte dei clienti acquirenti dopo essere
stati indotti -da rendimenti e rivalutazioni golosissime in massima
parte fasulli e prodotti da sole- ad acquistare a prezzi altissimi
quelle azioni che alla fine della fiera –davvero fu una fiera!- hanno
valore prossimo a zero. Di quella vicenda noi abbiamo sempre pensato
che ci fu un incrocio di interessi tra le banche frodatrici e i
clienti golosi e quindi stabilire quanto delle une e quanto delle
altre meglio non esprimersi.
La vicenda dei minibot é una vicenda che in qualche modo ricalca quello
schema ma stavolta la truffa è tripla dal momento che (a) il
rendimento dei minibot è zero (2) sicuramente se si vogliono cambiare
in euro avranno un valore inferiore a quello stampato sul titolo
(3) al massimo varranno 1:1 solo per il pagamento di imposte mentre tra
privati è sempre il creditore che ha diritto di indicare la moneta con
cui vuole essere pagato. E quindi l’euro resta sempre quello che
é.
Ovvio che il via libera all’unanimità della Camera a una mozione che
impegna il governo a varare un provvedimento per il pagamento dei
debiti della pa alle imprese in titoli di Stato di piccolo taglio,
creando debito e potenzialmente “valuta”, contribuisce a mettere
l’Italia sotto i riflettori. Proprio mentre l’Italia rischia una
procedura d’infrazione per il debito italiano.
Dei minibot se ne parlava da anni. Una proposta dell’ex premier Silvio
Berlusconi, nel 2017, fece il giro del mondo. La proposta poi farà
capolino nel “contratto” Lega-M5s nel 2018. E viene messa nero su
bianco nella mozione Baldelli (FI) per le compensazioni nei pagamenti
della Pa targata Forza Italia, in cui Lega e Cinque Stelle avrebbero
inserito in corso di votazione il via libera ai minibot. Prima
dell’approvazione unanime, in cui il via libera dell’opposizione
europeista finisce oggetto in queste ore di una pioggia di critiche sui
social.
Il gruppo del Pd alla Camera dopo averlo votato (per errore: dice)
annuncia «un ordine del giorno urgente al Dl crescita per escludere
decisamente l’impiego di strumenti come i cosiddetti minibot». «Nella
prima versione della mozione non c’era quel punto», spiegherà poi il
deputato di Più Europa Riccardo Magi. Un errore, dunque, su quella che
è «soltanto una mozione» come scrive la nota del Pd. Ma che fa
gongolare i più antieuro fra le file leghiste. «Eppure Padoan (Pd ed ex
ministro dell’Economia, ndr) ha votato anche lui la mozione», twitta
Claudio Borghi, consulente economico del vicepremier Matteo Salvini. E
la disattenzione, anche se non vincola il governo (ma al voto era
presente il sottosegretario alle Politiche agricole Alessandra Pesce),
crea una situazione «molto pericolosa», come spiega Codogno. «Abbiamo
mille parlamentari - prosegue l’economista italiano - che hanno messo
in fibrillazione il mondo intero. Gli investitori europei ne hanno
parlato in una conference call con le controparti Usa fino a notte
inoltrata». Perché «il segnale è quello dell’inizio di una valuta
parallela. E il sospetto è che almeno la Lega voglia introdurre una
sorta di ruota di scorta, che in caso di necessità diverrebbe una
valuta parallela. O, peggio, un’arma negoziale nei confronti
dell’Europa».
Tria, e quindi il Tesoro, non voleva e non vuole i minibot proposti dal
Carroccio come una necessità urgente per pagare i debiti
arretrati della pubblica amministrazione: bocciatura senza appello, con
tanto di parere negativo scritto nero su bianco e con buona pace della
Lega. Che non è rimasta sorpresa perché era già al corrente della
posizione di via XX Settembre. Il sottosegretario Giancarlo Giorgetti
però insiste nel difendere la proposta che è “solo un tentativo di
risolvere i debiti delle pubblica amministrazione“. Di fronte alle
nuove tensioni tra il Mef e il Carroccio, è poi intervenuto Luigi Di
Maio: “Questa storia sta diventando paradossale – ha scritto su
Facebook – Il Mef dice che sono inutili e che è sufficiente pagare le
imprese, allora lo faccia”.
Sul punto è arrivata anche la bocciatura di Mario Draghi: «O sono
un’altra moneta, e quindi sono illegali, oppure sono altro debito, e
dunque lo stock del debito sale: non vedo una terza possibilità», ha
sentenziato il presidente Bce rilevando come «la lettura che le persone
e i mercati hanno dato della proposta non sembra essere positiva».
In Italia c’è la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), in Germania la
Kreditanstalt für Wiederaufbau, la Banca per la ricostruzione
(post-bellica), per gli amici Kfw. Entrambe sono di proprietà pubblica:
la Cdp è all’80,1% del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il
18,5% delle fondazioni bancarie e per l’1,5% di azioni proprie. La Kfw
è al 80% di proprietà del governo federale e al 20% dei diversi lander
(l'equivalente delle nostre regioni, ndr) in cui è suddiviso il
territorio tedesco. Entrambe, per finanziarsi, emettono dei titoli. La
Cdp sottoforma di obbligazioni, la stragrande maggioranza delle quali
coperte da garanzia statale. La Kfw, pure, emettendo titoli a tassi
bassissimi grazie al doppio filo che la lega al governo tedesco e ai
suoi affidabilissimi Bund.
La Cdp raccoglie ogni anni circa 350 miliardi di euro, la Kfw circa 500
e li reinveste concedendo prestiti a tassi irrisori alle piccole e
medie imprese e controllando ingenti quote del capitale di colossi come
Deutsche Post e Deutsche Telekom.
C’è solo una piccola differenza: i 350 miliardi di debito contratto
dalla Cdp coperto da garanzia statale entra nel conteggio del debito
pubblico italiano. I 500 miliardi di euro della Kfw invece no.
Il motivo è una regola contabile dello Stato tedesco che esclude dal
debito pubblico le società pubbliche che si finanziano con pubbliche
garanzie ma che coprono la metà dei propri costi con ricavi di mercato
e non con versamenti pubblici, tasse e contributi. Regola alquanto
discutibile: la proprietà di Kfw è pubblica, la sua vigilanza non è
deputata alla Bundesbank (la banca centrale tedesca, ndr), ma al
ministero delle Finanze, i suoi tassi sono diretta conseguenza di
quelli dei Bund e se avesse problemi sarebbe lo Stato a intervenire.
Facciamo i conti della serva: 500 miliardi di euro sono pari a circa un
quarto dei 2080 miliardi complessivi del debito pubblico tedesco. Se li
sommassimo otterremmo un debito pubblico tedesco che dal 78,4%
arriverebbe a lambire il 97% del Pil. Comunque lontano, ma un po’ più
vicino al nostro 132,2 per cento (2018).
In Italia, non essendoci federalismo amministrativo, tutto finisce nel
calderone della finanza pubblica. I deficit di regioni, comuni e
province (finché ci saranno) vengono contabilizzati dallo Stato e
formano la massa del debito pubblico. In Germania invece c'è
federalismo e quindi i 600 miliardi di debito dei länder rimangono nei
loro bilanci locali. Anche in questo caso si tratta di una disparità,
rispetto ai conti pubblici italiani, difficile da comprendere. È vero
che Angela Merkel, comunque preoccupata per il progressivo aumento del
deficit dei länder, ha imposto il dietrofront, con l'obiettivo del
pareggio dei loro bilanci, ma dovranno tagliare il traguardo nel 2020 e
non dal 2015 come invece è stato chiesto (e imposto) all'Italia.
Le pennellate sul quadro non sono comunque finite dal momento che
per esempio a fine 2017 la ricchezza di imprese e famiglie italiane
ammontava a quasi 10mila miliardi ed anche togliendo la metà in quanto
immobili di varia natura, per esempio le famiglie tra contante,
depositi, azioni ed altre attività finanziarie avevano quasi il 40%
della ricchezza finanziaria come disponibile che equivale a
quella delle imprese.
A questo punto a livello europeo bisognerebbe decidere che i bilanci
dei vari paesi siano costruiti tutti allo stesso modo e che debiti e
crediti di ogni amministrazione pubblica – com’è per l’Italia- stiano
nel calderone del debito pubblico del singolo paese per capire
esattamente gli equilibri dei 28 stati.
Chiaro quindi che paesi come Germania e Francia, per citare i due
principali concorrenti dell’Italia, non abbiano interesse a
porre porsi e risolvere il problema del debito pubblico
complessivo di ciascun stato.
In questa situazione
complessa anche la sola “mossa” dell’Italia di adottare una legge come
la Germania per potere togliere dal debito pubblico i debiti delle
varie regioni provincia comuni ats trasporti regionali, rumenta
verrebbe vista malissimo da chi ci presta i soldi per tirare avanti.
Una mossa ragionevole del
tutto interna potrebbe essere quella di consentire agli enti locali e
società controllate da questi l’emissione di titoli di debito, per
esempio fino all’ammontare del 30% della ricchezza provinciale e
regionale per pagare i debiti pregressi e fare o terminare opere
pubbliche di grande necessità per quelle regioni provincie comuni e
stabilire un rendimento leggermente superiore al quello pubblico o una
tassazione leggermente inferiore.
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