LA RELAZIONE 2018 DI RAFFAELE CANTONE DELL'ANAC
26 pagine di presentazione e 353 pagine di Relazione Annuale 2018.
Praticamente una ogni giorno dell'anno. Questi i due documenti che
Raffaele Cantone ha presentato nella giornata di ieri 6 giugno alla
Camera dei Deputati ed alla stampa. Varrebbe la pena che i Comuni si
associassero e tenessero dei seminari per i loro funzionarti per
discutere e farli discutere e così conoscerli, di questa relazione non
per insegnare loro il mestiere – di cui non dubitiamo- ma per
apprendere che le leggi (sugli appalti ma non solo quelle) vanno
applicate con la mira di ridurre o impedire il danno eventuale
piuttosto che la formale correttezza dei provvedimenti. Dubitiamo che
verrà letta dalla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori
come dai sindaci e dai segretari comunali. Una scartoffia che finirà
nel cloud e ciao stai bene.
Nella sua ultima relazione da numero uno dell'Anac, Raffaele Cantone
traccia un profondo bilancio partendo dal decreto che Lega e M5s si
avviano ad approvare alla Camera dopo l'ok ottenuto dal Senato: "Nel
settore degli appalti serve stabilità. Con procedure semplificate
rischio di scelte arbitrarie. Armi contro conflitti di interesse sono
spuntate". Plauso di Bonafede: "Priorità, saremo i primi che la
scriveranno". Più segnalazioni interne ad aziende ed enti con la nuova
legge: da 125 nel 2015 a 764 nel 2018
Il giudizio sul decreto Sbloccantieri resta sospeso, anche se non
mancano le annotazioni. E poi il plauso per la legge sul
whistleblowing, dopo la quale sono aumentati i casi di segnalazione, e
l'invito a regolare il conflitto d'interessi. Nella sua ultima
relazione da numero uno dell'Anac, Raffaele Cantone traccia un profondo
bilancio partendo dal provvedimento Lega–M5s appena approvato in via
definitiva alla Camera.
Pur ricordando che “incidente anche sui poteri” dell'Autorità
anticorruzione, ma che l'opzione scelta “non è criticabile” a suo
avviso, il magistrato campano afferma che “il giudizio
complessivo sull'impianto resta sospeso anche in attesa che si completi
l'iter legislativo della conversione e soprattutto dell'approvazione
della legge delega”. Poi il suggerimento: “Il settore degli appalti ha
assoluto bisogno di stabilità e certezzadelle regole, e non di continui
cambiamenti che finiscono per disorientare gli operatori economici e i
funzionari amministrativi”.
Secondo Cantone, tuttavia, “alcune opzioni” come il ritorno
dell'appalto integrato, l'aumento della soglia dei subappalti al 40%,
la possibilità di valutare i requisiti per la qualificazione delle
imprese degli ultimi 15 anni, le “amplissime” deroghe al codiceconcesse
ai commissari straordinari, “paiono troppo attente all'idea del 'fare'
piuttosto che a quella del 'far bene'“. E una critica è riservata anche
alle procedure semplificate: “Seppure opportunamente ridimensionata
rispetto ai 200mila euro del testo originario, la previsione di una
soglia abbastanza alta (150mila euro) entro la quale adottare una
procedura molto semplificata (richiesta di soli tre preventivi) aumenta
certamente il rischio di scelte arbitrarie, se non di fatti corruttivi”.
Un passaggio è riservato al Codice degli appalti, attorno al quale si è
combattuto uno scontro interno alla maggioranza: “Non credo di
sbagliare nel dire che quanto accaduto sul testo del Codice non ha
molti precedenti nella storia del nostro Paese: adottato con grandi
auspici e senza nemmeno particolari contrarietà, da un giorno all'altro
è diventato figlio di nessuno e soprattutto si è trasformato nella
causa di gran parte dei problemi del settore e non solo”. Il presidente
dell'Anac riserva invece un plauso per la normativa sui whistleblower,
che “sta dimostrando grande vivacità con l'andamento esponenziale delle
segnalazioni e delle istruttorie, passate da 125 nel 2015 a 764 nel
2018, per un totale complessivo di circa 1.460″. Le questioni
segnalate, specifica, “vanno dagli appalti irregolari ai concorsi
illegittimi ai comportamenti di maladministration”.
Cantone ha poi ricordato sulla tematica dei conflitti di interesse
“considerata anche a livello internazionale come fonte di maggior
rischio di fatti corruttivi”, seppur “migliorata” dall'introduzione del
dovere di astensione ad opera della legge Severino, è “auspicabile una
normativa di sistema in materia, che tante volte è stata annunciata nel
corso” degli anni: “Allo stato, infatti, le armi per sterilizzare i
conflitti di interesse sono decisamente spuntate; in tante occasioni
sono state segnalate possibili (e gravi) situazioni di conflitti di
interesse anche strutturale e l'Autorità si è dovuta limitare a
rilevarne l'esistenza e a evidenziarla all'amministra- zione con una
semplice richiesta di rimuovere il conflitto”.
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ENEL-SUEZ, FINCANTIERI-STX, ADESSSO FCA-RENAULT
I FRANCESI PROPRIO NON CI VOGLIONO
L’aspetto che mi ha immediatamente incuriosito della vicenda di
fusione tra FCA e Renault è stata la data di presentazione da parte
della Fiat della proposta: il giorno successivo alle elezioni europee
(ed a quelle di 3800 amministrazioni locali) quando ormai erano chiari
i mutati rapporti di forza nella compagine governativa italiana.
Mazzuolati di brutto i vincitori delle elezioni al Parlamento
nazionale e tenuti dal sistema industriale come avversari.
Ovvio che l’accordo Elkann-FCA con la sua controparte alla Renault,
Senard, l'ex amministratore delegato della Michelin, paracadutato per
stabilizzare la Renault a gennaio non era nato nella notte ma veniva da
mesi di trattative riservate. Ma la data ha anche una corrispondenza in
Francia perché è evidente che dal quel momento iniziava per macron un
periodo di maggio impegno in Ue che nelle faccende domestiche.
La politica non ha preso bene questa operazione.
Quando le imprese italiane mettono gli occhi su imprese francesi, ci
ricacciano a casa. Intorno al 2005-2006 Enel manifestò l’intenzione di
un’OPA “non ostile” sulla francese Suez. Suez è stata una compagnia
franco-belga che si è originata nel 1997 dalla fusione della belga
Compagnia del Canale di Suez e della francese Lyonnaise des Eaux. Nel
luglio 2008 si è fusa con Gaz de France, dando vita al gruppo GDF Suez,
la prima società al mondo nella gestione del gas naturale liquefatto,
che nel 2015 è diventata Engie. Si calcola che SUEZ rifornisse di acqua
116,4 milioni di persone in tutto il mondo.
L’offerta pubblica di acquisto di Enel su Suez non era ostile e il
governo francese ne era a conoscenza sin da Gennaio 2005: il 18
novembre 2005, Proglio (ad di Veolia) incontra Conti, l’ad di Enel.
Decidono l’Opa congiunta per acquisire Suez.
Viene fissata la data dell’Opa: “alla fine di marzo”. Enel avrebbe
stanziato 15 miliardi di euro, Veolia avrebbe pagato in azioni e in
liquidi. All’inizio di Gennaio è pronta un’offerta congiunta Enel (80
per cento)-Veolia (20 per cento). L’11 gennaio Proglio e Conti decidono
di avvisare in maniera informale il governo francese. Il 15, si legge
nel documento, Thierry Breton, il ministro dell’economia francese,
viene avvertito dall’Ad di Veolia ed esprime la sua perplessità e
chiede di ritardare l’offerta italo-francese facendo balenare la
possibilità di includere nell’operazione anche Gaz de France.
A Roma si pensa che sia stato Breton stesso ad avvertire Gaz de France
dell’Opa Enel-Veolia. Gérard Mestrallet, l’ad di Suez, chiede allora
l’intervento del primo ministro de Villepin. I ministri De Villepin e
Breton telefonano ai loro omologhi italiani comunicando la loro
contrarietà al progetto. L’indomani mattina, Proglio e Conti confermano
la loro intenzione di proseguire con l’Opa. Gli italiani pensano che
l’operazione sarebbe stata accolta positivamente da Parigi.
L’iniziativa era stata annunciata a Chirac da Henri Proglio,
l’amministratore delegato di Veolia, vicino al presidente francese. Il
quale lo aveva invitato a desistere. E infatti, poche ore dopo, Veolia
annuncia: “nessun progetto di partecipazione diretta o indiretta ad
un’offerta pubblica relativa alla società Suez”. Il 25 febbraio il
primo ministro francese, insieme agli amministratori delegati di Gaz de
France e di Suez, annuncia la fusione. La Francia blocca così l' Enel
con un' operazione fulminea ed esplode lo scontro diplomatico tra Roma
e Parigi. Dominique de Villepin ha annunciato il 25 febbraio 2006 la
fusione tra Suez e Gaz de France, destinata a rendere vana un' Opa
ostile dell' Enel sul gruppo privato francese, che controlla la belga
Electrabel. Una dichiarazione cui il primo ministro ha voluto dare una
certa solennità, facendo sapere che la legge sarà immediatamente
cambiata per autorizzare la privatizzazione di Gdf. Dando prova di
grande reattività, il governo francese ha così stroncato sul nascere le
velleità dell' Enel, che poco prima dell' intervento di Villepin aveva
ribadito il suo interesse per Electrabel. Suez e Gaz de France hanno
riunito in serata i loro consigli di amministrazione per autorizzare il
progetto e i dettagli della fusione dovrebbero essere resi noti domani.
Cioè nelle stesse ore in cui il ministro italiano alle Attività
Produttive, Scajola, avrebbe dovuto incontrare il collega Loos per
discutere di lotta alla contraffazione e di energia: vertice bilaterale
annullato ieri sera dallo stesso Scajola come prima risposta all'
annuncio di Villepin. Il primo ministro aveva al suo fianco il ministro
delle Finanze, Thierry Breton, e i presidenti delle due società. Senza
mai citare l' Enel, Villepin ha detto che un progetto industriale era
da tempo in discussione per mettere in comune «le attività vicine e
complementari nei campi della produzione, del trasporto e della
distribuzione energetica». La fusione Suez-Gdf darà vita –si scriveva a
fine febbraio 2006- a uno dei principali gruppi mondiali dell' energia
e la numero uno per il gas naturale liquefatto. Il governo è favorevole
al progetto: «Tenuto conto dell' importanza strategica dell' energia,
questa è la strada più appropriata». In questo modo, ha concluso, la
Francia avrà un secondo protagonista di peso nel settore energetico,
accanto a Edf. Il ministro delle Finanze incontrerà le forze sociali
per preparare il disegno di legge che dovrà consentire la fusione. Le
norme attuali, infatti, impediscono la fusione: lo Stato controlla l'
80% di Gdf, quotata in Borsa dall' estate scorsa, e non può scendere
sotto il 70%. Si pensa che con la fusione la quota pubblica possa
attestarsi attorno al 35%, ma non ci sono certezze.
Recentissima ed ancora caldissima è la vicenda dell’acquisizione da
parte di Fincanieri (cioè CdP) dei cantieri (falliti) STX. La storia
delle trattative tra Fincantieri e Stx è lunga e inizia a novembre del
2016. Alla scadenza del termine per la presentazione al tribunale
fallimentare di Seul delle manifestazioni di interesse per i cantieri
di Saint-Nazaire, Fincantieri c'è. E un mese dopo, all'apertura delle
buste che contengono le offerte ufficiali, quella italiana è l'unica
effettivamente pervenuta. Ad aprile del 2017 arriva la firma della
lettera d'intenti tra Fincantieri e lo Stato francese, che detiene il
33% del capitale. Ma a luglio di quello stesso anno, dopo l'elezione di
Emmanuel Macron all'Eliseo, la faccenda si complica e il ministro
dell’Economia Bruno Le Maire annuncia la decisione di Parigi di
esercitare il diritto di prelazione su Stx, con conseguente
nazionalizzazione dei cantieri.
A ottobre 2018 la Fincantieri e la francese Naval Group firmano
un’intesa per realizzare in tempi brevi, a partire dal 2019, una joint
venture paritaria nel campo navale militare. Poi però qualcosa si
rompe. La data cruciale è il 22 novembre 2018, quando la Francia chiede
ufficialmente alla Commissione europea di esaminare la proposta di
acquisizione dei cantieri. Una mossa che ha portato all'epilogo dell'8
gennaio 2019, che Fincantieri non ha voluto commentare.
Secondo altre fonti, tuttavia, «la tempistica desta sospetto». Perché
la decisione di Parigi di rivolgersi alla Commissione, sebbene il
progetto non superi le soglie di fatturato previste dal regolamento
europeo sulle concentrazioni industriali, è arrivata «a quasi un anno
di distanza dalla firma dell'accordo» del febbraio 2018. E pare quindi
determinata da «logiche non di tipo economico» da quando il governo
M5s-Lega ha assunto la guida dell'Italia, del resto, le tensioni
politiche con la Francia si sono moltiplicate.
Nel caos Caos Fincantieri-Stx, non prendiamocela comunque con la
Francia: gli errori sono tutti italiani. Sarà stato l’appoggio
dato da Luigi Di Maio ai gilet gialli anti-Macron. O le posizioni No
Tav del ministro Danilo Toninelli. Fatto sta che sulla fusione
Stx-Fincantieri Bruxelles aveva già dato il via libera. Poi però dalla
Francia è partita una richiesta alla Commissione Ue di verifica del
rispetto del regolamento Ue sulle concentrazioni, seguita subito a
ruota dalla Germania. E così l’Antitrust europea ha accolto la
richiesta, aprendo un’indagine su un’intesa che sembrava già bella e
fatta a febbraio 2018. E che ora, dopo due anni di tira e molla, si è
di nuovo arenata. Con il conseguente ennesimo rallentamento di tutta
l’operazione.
Parigi e Berlino si schierano insomma contro Roma, e pure con il
sostegno di Bruxelles. La Commissione europea ora dovrà verificare – si
legge – se l’acquisizione di Chantiers de l’Atlantique (nuovo nome di
Stx) da parte di Fincantieri possa “nuocere in misura significativa
alla concorrenza nel settore della costruzione navale, in particolare
per quanto riguarda il mercato mondiale delle navi da crociera”. Nella
nota, però, Bruxelles ha precisato che l’acquisizione, a fronte
dell’analisi quantitativa già effettuata a maggio, non raggiungerebbe
le soglie di fatturato previste dal regolamento Ue sulle concentrazioni
che devono essere notificate. Ma sulla base degli elementi forniti
dalla notifica di Francia e Germania, la Commissione ha accolto la
richiesta e ora dovranno essere valutati quindi gli effetti
dell’operazione.
Anche stavolta un’impresa olandese-italiana come la FCA (che
produce di più negli USA che in Italia) propone una fusione con
un’industria francese e anche stavolta quando paiono tutti
d’accordo sono ancora i francesi che traccheggiano e FCA ritira
la proposta. Dubitiamo che FCA possa mettere piede in Francia perché la
Francia, chiunque stia al governo, sa benissimo che Italia e Francia
hanno due visioni industriali e finanziarie del tutto differenti.
Proprio il fatto che la proposta di fusione sia scattata nel momento in
cui gli equilibri politici nei due paesi erano mutati poteva essere il
segno della debolezza della politica (per cui le imprese sperano di
muoversi meglio con minori condizionamenti) ma mentre gli
italiani si trastullavano con ripicche e selfie, tutti insieme
appassionatamente i francesi hanno fermato l’operazione.
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