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SI FA PER DIRE: TRUMP AIUTA GLI OPERAI
LA SINISTRA LI DIMENTICA
Constatare che i ceti popolari in tutto l'Occidente votano a destra, non turba gli intellettuali progressisti. La risposta è pronta, e rassicurante: gli operai, il vasto mondo del precariato, il ceto medio impoverito, "votano contro i propri interessi". Eleggono dei demagoghi, come Donald Trump, che parlano "alla pancia della gente". I leader populisti aizzano i peggiori istinti – come la xenofobia – ma quando governano non aiutano quella base che li ha portati al potere. (...)

PROBLEMI NEL FUTURO DEL CAPITANO
Queste elezioni ci consegnano un paradosso. Un passo indietro, una sorta di replay di quel che è già stato. Dinanzi alle incapacità della maggioranza gialloverde, alla inettitudine paralizzante mostrata dal governo Conte, rinasce dalle sue ceneri la vecchia coalizione tra Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia. Una formula che negli ultimi sei anni sembrava estinta sotto il peso della fine del berlusconismo e fatta risorgere da questo strambo ircocervo generato dal contratto grillo-leghista e che sempre più si sta rivelando un semplice e sostanziale patto di potere. (...)

LE REAZIONI DEL RIOLO E QUELLE DELLA POLITICA
L'immagine 1 è sulla rotonda lungo la  SS470dir (vale a dire la Dalmine –Almè) tra Mozzo e Valbrembo dove si gira per andare alle Cornelle oppure verso il Pascolo dei Tedeschi e poi in Città Alta. Li sotto passa il torrente Riolo che segna il confine nord-sud tra Valbrembo e Mozzo e da li il torrente si dirige sotto i capannoni di Mozzo (ad ovest della 470) verso la Quisa. In pratica questa rotonda è il punto più basso della vasta conca che a nord ha la propaggine ovest dei Colli di Bergamo, a sud c'è il Monte Gussa (o Monte di Mozzo) mentre a NO c'è la modesta dorsale su cui sorgono gli abitati più  vecchi di Valbrembo e Scano (Paladina).
La cementificazione di questa vasta conca assieme all'abbandono della coltivazione razionale delle (vaste) campagne rimanenti dell'aggressione ha determinato un netto incremento della portata del Riolo che combinata con la scarsa pulizia e l'intubazione sotto l'insediamento industriale di Mozzo-NO adesso mostra di non essere più all'altezza del suo compito. Poi ovviamente  l'uomo moderno abituato a prendere una pillola per ogni micro malanno, da la colpa alle «bombe d'acqua». Come si rileva dalla foto l'altezza dell'acqua sporca di terriccio era modesta (meno di 10-15 cm).
Il problema delle micro esondazioni del Riolo va avanti da tre lustri e in tre lustri –guarda il caso!- ne la provincia ne i quattro comuni coinvolti: Bergamo, Paladina, Valbrembo e Mozzo assieme al Consorzio di Bonifica non hanno trovato la soluzione e quindi nemmeno i soldi. Adesso i cittadini di quelle zone, ben felici delle proprie scelte elettorali locali e provinciali, stanno sempre più spesso coi piedi in ammollo. (...)






























































SI FA PER DIRE
TRUMP AIUTA GLI OPERAI
LA SINISTRA LI DIMENTICA

Constatare che i ceti popolari in tutto l'Occidente votano a destra, non turba gli intellettuali progressisti. La risposta è pronta, e rassicurante: gli operai, il vasto mondo del precariato, il ceto medio impoverito, "votano contro i propri interessi". Eleggono dei demagoghi, come Donald Trump, che parlano "alla pancia della gente". I leader populisti aizzano i peggiori istinti – come la xenofobia – ma quando governano non aiutano quella base che li ha portati al potere.
Ha un'antica tradizione l'arroganza di chi descrive i ceti meno privilegiati come una massa di "utili idioti" pronti a farsi ingannare e tradire. Le avanguardie rivoluzionarie – dai giacobini ai bolscevichi, dai terroristi anarchici alle Brigate Rosse, da Gabriele D'Annunzio al giovane Benito Mussolini – hanno sempre pensato di interpretare l'interesse del popolo molto meglio del popolo stesso. Ma è davvero così? Il popolo-bue, nel votare Donald Trump ha preso un abbaglio colossale? In realtà il Sovranista Capo sta mantenendo alcune promesse fatte proprio a quella classe operaia che fu decisiva per portarlo alla Casa Bianca nel 2016. La crescita economica accelera (+3,2% del Pil nel primo trimestre), il pieno impiego è vicino (3,6% di disoccupazione, un minimo storico), e anche i salari stanno finalmente crescendo più dell'inflazione. Le diseguaglianze continuano ad aumentare, certo: ma Trump non ha promesso di ridurle e non è stato eletto su un programma socialista. In compenso i lavoratori americani stanno un po' meglio ora che durante gli otto anni di Barack Obama. Il Sovranista Capo ha mantenuto la promessa di intavolare un duro confronto con la Cina per ottenere reciprocità nel commercio bilaterale. Non è chiaro se questo stia contribuendo alla buona salute dell'economia americana: probabilmente no. Ma è stato smentito chi prevedeva un'Apocalisse da protezionismo (cioè la totalità degli economisti di sinistra, talvolta gli stessi che sulla globalizzazione e il liberoscambio furono critici in passato). Per i metalmeccanici del Michigan, per i siderurgici e i minatori della Pennsylvania – quella classe operaia in carne ed ossa, di cui molti intellettuali progressisti hanno già celebrato la definitiva scomparsa – Trump non è un millantatore. Fu invece un millantatore il presidente democratico Bill Clinton: promise che i grandi accordi di libero scambio avrebbero portato a un aumento medio di 17.000 dollari annui nel reddito di ogni famiglia americana. Quella sì, fu una promessa non mantenuta.
Una parte dei leader democratici, almeno negli Stati Uniti, sembra aver capito la lezione del 2016. Il capogruppo dell'opposizione al Senato, Chuck Schumer, non critica affatto i dazi di Trump, anzi incalza il presidente perché tenga duro con la Cina. Non è con il globalismo che i democratici riconquisteranno la fascia della Rust Belt, i vecchi Stati industriali. Bernie Sanders, il senatore del Vermont che ci riprova dopo aver perso per un soffio la nomination contro Hillary Clinton, è un socialista vecchio stampo anche sull'immigrazione. Cioè è convinto che i flussi di stranieri vadano regolati. È quel che accadde nel periodo in cui l'America fu socialdemocratica: tra le due presidenze di Franklin Roosevelt e John Kennedy, quando costruì un Welfare moderno e inclusivo, rafforzò i diritti dei lavoratori e il potere sindacale, alzò le tasse sui ricchi a livelli svedesi. Fu in quello stesso periodo che i flussi migratori furono ridotti da regole severe e la quota di popolazione straniera scese al 5%, un minimo storico. Poi venne l'apertura delle frontiere, e subito ebbe inizio lo smantellamento del contratto sociale, l'attacco al Welfare e ai sindacati, il trionfo del liberismo e delle diseguaglianze, insomma la vittoria del capitale sul lavoro.
La sinistra intellettuale, negli Stati Uniti come in Europa, si è innamorata della società multietnica. Ma ha delegato l'integrazione degli stranieri ad altri: chi vive negli stessi caseggiati popolari con l'ultima ondata di immigrati, non appartiene allo stesso ceto che si esprime nei talkshow televisivi. Quella sinistra che parla come le agenzie di rating, che si allea con i chief executive e l'Uomo di Davos, ha spostato la sua rappresentanza verso altri interessi.

Federico Rampini
PROBLEMI NEL FUTURO DEL CAPITANO



Queste elezioni ci consegnano un paradosso. Un passo indietro, una sorta di replay di quel che è già stato. Dinanzi alle incapacità della maggioranza gialloverde, alla inettitudine paralizzante mostrata dal governo Conte, rinasce dalle sue ceneri la vecchia coalizione tra Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia. Una formula che negli ultimi sei anni sembrava estinta sotto il peso della fine del berlusconismo e fatta risorgere da questo strambo ircocervo generato dal contratto grillo-leghista e che sempre più si sta rivelando un semplice e sostanziale patto di potere.
Anzi, è proprio questo esecutivo che sta ponendo le premesse perché il centrodestra sia messo in condizione di nuotare nella palude in cui si ritrova il Paese. Una eventuale coalizione tra Salvini, Berlusconi e Meloni — in base agli exit poll — potrebbe contare almeno sul 47 per cento dei voti. Solo un anno fa si era fermata al 37 per cento. Certo, i rapporti di forza sono stati stravolti. La Lega è il soggetto trainante. Una sorta di gigante spalleggiato da due nani. Eppure si tratta di due “nani” di cui, a questo punto, il segretario leghista non può più fare a meno. Il Carroccio, pur avendo conseguito un risultato straordinario, mette nello stesso tempo in evidenza i suoi limiti. Non è autosufficiente.
Il quesito allora che esce dalle urne, oltre a una sostanziale presa di distanza dal governo, è rivolto quasi esclusivamente a Salvini: il capo di una forza di oltre il 30 per cento aspira a salire lo scalone di Palazzo Chigi? E a farlo attraverso la porta principale ossia quella delle elezioni politiche? Se la risposta è affermativa, sa che non può fare a meno dei due “soci” tradizionali e soprattutto che ha bisogno di interrompere l'esperienza con il Movimento 5Stelle. E al di là delle dichiarazioni di pace e fedeltà pronunciate fino a ieri, Salvini deve fare i conti con le dinamiche del consenso che ormai si dimostrano sempre più rapide e radicali, e soprattutto caduche. La parabola della popolarità sale e scende velocemente. È costretto di fatto a imporre la sua agenda all'alleato. Provocarlo anche sui temi identitari per ottenere un saldo in termini programmatici o per riversare sull'M5S la responsabilità di una crisi.
Nonostante il successo in questa tornata, allora, la Lega potrebbe ritrovarsi tra le mani una moneta corrente difficile da spendere. Salvini sembra infatti ingabbiato tra due schemi che smentiscono tutto quello che ha fatto e detto negli ultimi dodici mesi. Deve infatti scegliere se riabbracciare i fantasmi del passato, stringere di nuovo le mani al Cavaliere e a Meloni accettandone le condizioni e le incoerenze. Magari mitigando le minacce antieuropeiste e le promesse di stravolgere il sistema di Bruxelles. Mettendo nel conto di perdere la spinta “nuovista” e indossare i panni del vecchio. Oppure insistere con l'asse gialloverde. Piegare Di Maio e avviare una intesa permanente.
Convincere la sua base, in particolare al Nord, che può essere la soluzione per realizzare la Tav o per iniettare nel sistema imprenditoriale gli investimenti che fino a ora il governo ha negato. Il massimo che può ottenere adesso è un rimpasto. O come è capitato in passato reclamare per sé la presidenza del Consiglio con un metodo da Prima Repubblica. Una “rinascita” della “staffetta”. Accogliendo però i rischi di una formula sostanzialmente bocciata dagli italiani. Mostrando definitivamente i contorni del patto di potere sottoscritto.
Adattandosi all'idea di mettere nel surgelatore i voti ottenuti.
Sfidando il rischio che quando verranno scongelati, varranno molto meno.
Anche perché dalle urne è emerso un altro dato. Il sistema politico è stato di nuovo stravolto. I due poli che si contendono la leadership sembrano essere tornati quelli del centrodestra e del centrosinistra. Salvini deve insomma scegliere se staccare la spina ai grillini e riattaccarla a Forza Italia.

Claudio Tito


LE REAZIONI DEL RIOLO E QUELLE DELLA POLITICA



L'immagine 1 è sulla rotonda lungo la  SS470dir (vale a dire la Dalmine –Almè) tra Mozzo e Valbrembo dove si gira per andare alle Cornelle oppure verso il Pascolo dei Tedeschi e poi in Città Alta. Li sotto passa il torrente Riolo che segna il confine nord-sud tra Valbrembo e Mozzo e da li il torrente si dirige sotto i capannoni di Mozzo (ad ovest della 470) verso la Quisa. In pratica questa rotonda è il punto più basso della vasta conca che a nord ha la propaggine ovest dei Colli di Bergamo, a sud c'è il Monte Gussa (o Monte di Mozzo) mentre a NO c'è la modesta dorsale su cui sorgono gli abitati più  vecchi di Valbrembo e Scano (Paladina).
La cementificazione di questa vasta conca assieme all'abbandono della coltivazione razionale delle (vaste) campagne rimanenti dell'aggressione ha determinato un netto incremento della portata del Riolo che combinata con la scarsa pulizia e l'intubazione sotto l'insediamento industriale di Mozzo-NO adesso mostra di non essere più all'altezza del suo compito. Poi ovviamente  l'uomo moderno abituato a prendere una pillola per ogni micro malanno, da la colpa alle «bombe d'acqua». Come si rileva dalla foto l'altezza dell'acqua sporca di terriccio era modesta (meno di 10-15 cm).
Il problema delle micro esondazioni del Riolo va avanti da tre lustri e in tre lustri –guarda il caso!- ne la provincia ne i quattro comuni coinvolti: Bergamo, Paladina, Valbrembo e Mozzo assieme al Consorzio di Bonifica non hanno trovato la soluzione e quindi nemmeno i soldi. Adesso i cittadini di quelle zone, ben felici delle proprie scelte elettorali locali e provinciali, stanno sempre più spesso coi piedi in ammollo.
Nel frattempo hanno escogitato e stanno realizzando una soluzione (per il nuovo corso del Riolo ma non abbiamo verificato pagata da chi) per via dei lavori di ristrutturazione della 470dir. La 470 dir “dovrebbe sotto passare” (2) l'attuale “Rotonda delle Cornelle” con a fianco –a nord e sud- le 2+2 bretelle di accesso-uscita alla “Rotonda delle Cornelle”. Sul lato est, dalla “Rotonda delle Cornelle” fino all'altezza del Carrefour viene  costruito il “nuovo corso” del Riolo “potenziato” che poi si intuba di nuovo sotto la zona industriale di Mozzo fino alla Quisa.
Nella fattispecie “non poteva mancare” l'imman- cabile pista ciclabile lungo il “new” Riolo che fa tanto fidanzatini dei baci perugina e che piace un sacco ai verdi di carta ed alle madamine.
Seccamente: la soluzione proposta ed attuata per il Riolo (nella sua parte terminale) è una putt***.
Preso atto che nel mezzo secolo u.s. hanno cementificato la vasta plaga del c.d. “Pascolo dei Tedeschi” e Mozzo ha intubato il torrente a valle tanto valeva scavare una galleria (transitabile da ruspe ed autocarri in un solo senso di marcia) che dalla “Rotonda delle Cornelle” portasse il Riolo alla Quisa sotto  la via Leonardo da Vinci (circa 480 mt). In questo modo si eliminava definitivamente ogni pericolo di inondazione della zona industriale e commerciale di Mozzo anche se era una soluzione un po' più costosa ma con le macchine attuali (pensiamo alle frese per i tunnel) era fattibile senza nemmeno interrompere il traffico sulla via L. da Vinci.
Ma nella seconda (o terza?) Repubblica il problema non sta nel trovare soluzioni definitive ma nell'inventare il passo dopo passo perché così tra vent'anni e dopo un'altra ventina di esondazioni si arrivi al bypass diretto alla Quisa.
Osservando poi le soluzioni adottate per il “new Riolo” (ci piace denominarlo con un linguaggio esotico) che ovviamente hanno avuto il debito viatico del Parco dei Colli accompagnato dagli sdilinguamenti dei verdi di carta non ci vuol emolti immaginare in che stato lo vedremo tra cinque dieci anni: tutto alberato (la natura è più forte e intelligente di tecnici e politici) ed anche del tutto riempito di sozzerie che i cittadini responsabili provvederanno a scaricarlo (affinchè altri cittadini responsabili in tuta arancione fosforescente possano fare la giornata  ambientalista di pulizia dei fiumi). Insomma tutto si tiene in un Paese che pare abbia perso il buonsenso ed assieme anche l'ultimo pezzo di senno.