HWAWEI: ALLA FINE VINCERA' IL DRAGONE
Mi sono sempre chiesto se costi di più creare ed aggiornare un sistema
operativo piuttosto che creare un nuovo cellulare. Opto per il sistema
operativo. Oggi il problema non mi sembra quello del «creare» un nuovo
scatolino elettronico visto che esiste senza dubbio un accordo tra i
produttori dei componenti su come scaglionare le novità e quindi
consentire ai progettisti di creare uno scatolino più veloce. Il
problema sta nella creazione di macchine in grado di produrre
grandi numeri con lavorazioni vieppiù sofisticate. Cioè il problema sta
a monte nella componentistica ed a valle: chi sa disegnare
progettare uno scatolino che sia di poco migliore del suo
fratello maggiore. Tutto quello che fanno i cellulari è di una
disarmante banalità semplicità tecnologica salvo il fatto che i
veri problemi stanno nella capacità di creare fabbriche e macchine che
sappiano metterli assieme.
Ma Huawei é soprattutto tutto quello che sta sopra i cellulari dal momento che il 5G in buona sostanza è in mano sua.
Occhio croce pensiamo che la decisione trumpiana di impedire alle
aziende tecnologiche statunitensi di fare affari con quelle cinesi,
salvo non ci sia un esplicito permesso da parte del governo,
determinando anche la decisione di Google di sospendere la licenza
Android per Huawei, diverrà nel medio periodo un danno per le aziende
USA e per il ruolo degli USA nel mondo. Già adesso abbastanza appannato.
Dopo Huawei toccherà via via anche ad altri produttori perché il
sistema produttivo di questi apparecchi è talmente diffuso nel mondo
orientale che è inevitabile.
Adesso è evidente come lo scontro USA-Cina sia arrivato a toccare
l’essenza dei rapporti tra potenze mondiali e da questo scontro ne
uscirà vincente la Cina. Inevitabile.
Se finora gli USA erano i creatori del futuro e poi cedevano le mani
per modellarlo, d’ora in avanti anche la Cina si impegnerà in quel
ruolo.
Per capire meglio questa “guerra fredda tecnologica” occorre osservare
le forze in campo, i loro punti di forza e le loro vulnerabilità. Gli
Stati Uniti hanno di sicuro un notevole vantaggio per quanto riguarda i
brevetti posseduti e, più in generale, le capacità tecniche di
costruire componenti sofisticati. È vero che gli iPhone sono “prodotti
in Cina”, ma è anche vero che pochissima della loro tecnologia ha
origine in quel paese: buona parte dei componenti – poi assemblati
nelle fabbriche cinesi – derivano da attività svolte in Giappone, Corea
del Sud, Taiwan e negli Stati Uniti.
La Cina è molto indietro per quanto riguarda la produzione dei
componenti più avanzati, come i microchip che poi finiscono negli
smartphone e nei computer che usiamo tutti i giorni. La produzione di
processori richiede macchinari di altissima precisione, raramente
disponibili nelle fabbriche cinesi. Una delle eccezioni è forse Huawei,
che negli anni ha sviluppato la capacità di prodursi da sola i
microchip, ma senza raggiungere risultati paragonabili a quelli
prodotti all’estero, e comunque mantenendo una forte dipendenza dagli
Stati Uniti per quanto riguarda il software, come ha dimostrato il caso
di Android.
Saranno necessari ancora anni prima che la Cina riesca a superare
questo divario con gli Stati Uniti, ma questo non significa che sia
svantaggiata in assoluto. La Cina ha infatti un’ampia influenza sulle
materie prime: negli anni ha rafforzato moltissimo la sua posizione nel
settore dell’estrazione dei minerali essenziali per la costruzione dei
dispositivi elettronici. Si stima che le aziende cinesi controllino
circa il 90 per cento del settore, e già in passato si è visto lo
sfruttamento di questa posizione dominante.
Nel 2010, per esempio, la Cina regolò la produzione delle materie prime
rare imponendo quote di esportazione, che influirono molto sui prezzi.
L’uscita di Google dalla Cina era avvenuta a pochi mesi di distanza dal
progressivo blocco di buona parte dei siti più grandi e di maggiore
successo degli Stati Uniti, resi inaccessibili agli utenti cinesi:
Facebook, Twitter e YouTube. Negli anni seguenti avrebbero seguito la
stessa sorte Wikipedia, Instagram, Reddit, Dropbox e numerosi media,
compresi il Wall Street Journal e il New York Yimes.
Di fatto da circa un decennio la Cina blocca nel suo territorio le
attività commerciali di alcune delle più grandi e ricche aziende
statunitensi. La priorità del governo cinese era sicuramente evitare
che circolassero liberamente informazioni contrarie alla sua
propaganda, o sulle effettive condizioni delle minoranze oppresse, ma
portò anche vantaggi commerciali per le aziende di Internet attive in
Cina. Senza la concorrenza di Google, Facebook e gli altri, in questi
anni social network e motori di ricerca cinesi hanno prosperato, col
paradosso di essere online grazie ai componenti statunitensi presenti
nei loro server.
In quest’ultimo dettaglio si coglie un altro aspetto importante: per
molte aziende tecnologiche statunitensi la censura era un problema solo
fino a un certo punto. L’espansione di servizi online cinesi ha fatto
sì che i fornitori statunitensi di componenti continuassero a vendere
senza problemi in Cina, facendo grandi affari. Inoltre il mercato
cinese offriva (e continua a offrire) manodopera a basso costo per
aziende estere come Apple, che assembla buona parte dei propri prodotti
in Cina.
La verità è che le relazioni tra Stati Uniti e Cina sono da molto tempo
a senso unico: la Cina compra i componenti di cui ha bisogno, tiene per
sé tutte le opportunità derivanti dal software e – ovviamente – cerca
nuove opportunità all’estero. Allo stesso tempo, l’accettazione da
parte degli Stati Uniti di come stanno le cose ha fatto sì che la Cina
non fosse motivata a fare gli investimenti necessari per rimpiazzare
completamente i componenti statunitensi, portandoci alla situazione
attuale.
Per adesso comunque Trump ha dato… tre mesi di tempo prima di applicare
del tutto le sanzioni. Del resto é evidente che la Huawei visti i
boatos che si susseguono da quando governa Trump, che si sia
dotata di un buon magazzino di componenti d’origine USA ragione per cui
un blocco immediato non avrebbe fatto granche danno.
Intanto si vedrà e c’è da scommettere che prima di qualche mese la
decisione di T. sarà in qualche modo rivista anche perché verranno allo
scopeto i nodi delle perdite occupazionali ed economiche degli USA
rispetto a questo blocco.
Si pone anche un problema che va oltre il settore tecnologico: quale
sia il modo più giusto e corretto per fare affari con la Cina, che è
comunque una delle economie più forti e in crescita di tutto il
pianeta. La vera guerra quando si parla di tecnologia è questa: censura
contro libertà, controllo contro creatività, accentramento contro
concorrenza. E sono temi connessi: la censura in Cina è esercitata
tramite il controllo facilitato a sua volta dall’accentramento. Ciò
dovrebbe spingere le aziende tecnologiche occidentali e gli investitori
a fermarsi un attimo quando si parla di Cina, e dovrebbe anche portare
a pensare alle politiche più appropriate da assumere all’interno del
nostro stesso settore industriale. Libertà, creatività e concorrenza
sono interconnesse così come lo sono le loro controparti, e la
violazione di una di esse dovrebbe essere presa come una minaccia per
le altre due. Il fatto è che ormai non vincono più le armi sul campo ma
oggi vince un segnale audio o video che dal satellite arriva a
domicilio. Alla fine anche la Cina non riuscirà più a controllare la
censura.
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IL CANE DA RIPORTO 2
Il post n.30 del “cane da riporto 2” sulLa Latrina di Nusquamia
manifesta la sua incazzatura potentissima: il bello é che tutto il
casino di cui si lamenta lo crea da solo.
Brevissimi screenshot dai muri delLa Latrina da parte del “cane da
riporto2”: Aggiungo alcune considerazioni a commento della posizione
morale assunta da Socrate e da Pasolini, che confronterò con quella
padano curnense (...) Spero che nessuno s'adonti se per andare avanti
nel discorso faccio riferimento al mio vissuto, nelle relazioni con il
paese di Curno, del quale ho conosciuto fin troppo bene alcuni aspetti
deteriori, (…). Come i lettori sanno, sono stato denunciato due volte
da un politico territoriale, ed entrambe le volte sono stato prosciolto
dall'accusa (di diffamazione). (…)Osservava infatti il malefico gatto
padano, e in qualche misura aveva ragione, che in realtà, essendo stato
chiamato in giudizio, ho comunque dovuto cacare i soldi per l'avvocato:
cioè ho perso i soldi, non li ho vinti.(…) Peccato che la notizia delle
due cause intentate fosse di dominio pubblico anche attraverso
volantini e post. Prosegue il “cane da riporto 2”: (…) se un
politico territoriale o un agrimensore, oppure che sia insieme
agrimensore e politico territoriale, denuncia un galantuomo che sa di
latino e di greco, il galantuomo ancorché innocente subirà un danno
perché, come abbiamo detto, dovrà cacare i soldi per l'avvocato. (…) il
gatto padano è cattivo e invidioso, come vuole la peggiore tradizione
contadina. Per fortuna - aggiungo - non sempre è cosi, però è vero che
nella mentalità contadina primitiva c'è qualcosa di sordido, un'ansia
bestiale di possesso”.
Al “cane da riporto 2” rispondo con parole non mie: “guardate bene che
queste parole che scrivo non sono e non vogliono essere presuntuose,
soffro di un complesso di parità, non mi sento superiore o inferiore a
nessuno. Non sento nessuna superiorità morale o intellettuale, anche io
brancolo nel vuoto, anche io ho degli slogan nella mente. Solo in una
cosa mi sento diverso: nel desiderio di apertura, di dialogo, di
fusione con altre culture, il desiderio di vivere senza paure.
Ecco: non troverete mai nei miei post ripetuti una due tre cinque dieci
cento volte che ho fatto il classico e so di latino e greco come ripete
invece il “cane da riporto 2”. E nemmeno che ho accattato soldi dal
comune.
Sempre nella serie che i guai uno se li va a cercare, abbiamo scovato
un altro testo originale riferito al “cane da riporto 2” espertissimo
nel trarsi la zappa sui piedi.
Scrive l’ex sindaco Gandolfi, che ha nominato redattore del
giornale comunale il “cane da riporto2”. La partenza: Un volantino del
PD punta il ditino accusatore sul giornale dell’Amministrazione di
Curno, 24035 Curno, BG. Il sindaco sapeva che qualcuno
dell’opposizione, in particolare fra quelli incistati nei riti
dell’invida (?) maldicenza paesana, avrebbero avuto da ridire sulla
scelta di C.P. (sarebbe il “cane da riporto 2) come affidatario
della realizzazione di un giornale che doveva essere culturale, e non
di apparato.(…) Le motivazioni di quella scelta sono state presentate
in una seduta del Consiglio comunale (25.03.2008): è tutto verbalizzato
nella delibera di consiglio comunale n.24 del 25 marzo 2008,
Bilancio annuale di previsione per l’esercizio 2008. Per giustificare
la scelta del “cane da riporto 2” quale redattore del giornalino
comunale così scrive il Gandolfi: “Argomenti a favore dell’assegnazione
dell’incari co. In linea di principio: è sempre preferibile affidare il
lavoro a una professionista” . Qui dimentica di dire se il “cane da
riporto 2” sia iscritto o meno all’ordine dei giornalisti e prosegue e
viene il bello.
“Riguardo all’incarico fiduciario derivante dal fatto che il “cane da
riporto 2” è conoscente e consulente occasionale del sindaco, e
gestisce progetti di comunicazione con lui all’insegna di Daedalus Lab.
Angelo Gandolfi e “il cane da riporto 2” hanno attività autonome, con
partita Iva distinte. Le loro attività sono solitamente separate,
tranne i progetti di comunicazione gestiti congiuntamente sotto l’egida
di Daedalus Lab. (…) L’incarico per la realizzazione del giornale
comunale sarebbe in ogni caso affidato a “cane da riporto 2” e non a
Daedalus Lab (che d’altra parte giuridicamente non esiste); Angelo
Gandolfi vi lavora come sindaco, nell’ambito delle sue competenze,
senza essere specificamente retribuito, né dal Comune, né dal “cane da
riporto 2”.
Conclusioni.
La bufera politica sul giornalino comunale era quindi iniziata
subito all’uscita dei primi due numeri, bufera che davanti all’aut aut
di FI Lega e fascisti al sindaco Gandolfi: o togli l’incarico di
redattore al “cane da riporto 2” oppure ti mandiamo a casa, il sindaco
Gandolfi pensò bene che tra il perdere cinque anni di stipendio lui O
farli perdere al suo “cane da riporto 2”, meglio la seconda soluzione.
Peraltro caldeggiata anche dalle segreterie provinciali dei tre partiti.
Poi il sindaco Gandolfi dichiara che sotto l’egida della Daedalus
Lab gestisce congiuntamente col “cane da riporto 2” dei progetti di
comunicazione, dove “Angelo Gandolfi vi lavora specificatamente come
sindaco nell’ambito delle sue competenze, senza essere specificamente
retribuito, né dal Comune, né dal “cane da riporto 2”. C’è anche la
precisazione che “Angelo Gandolfi e il “cane da riporto2” hanno
attività autonome, con partita Iva distinte. Le loro attività sono
solitamente separate, tranne i progetti di comunicazione gestiti
congiuntamente sotto l’egida di Daedalus Lab.
Delle due l’una. Se ciascuno ha una partita IVA perché hanno uno studio
a denominazione unica? Cosa vuol dire che “gestiscono congiuntamente
progetti sotto l’egida di Daedalus Lab”. P.e. un cittadino può farsi
assistere da due professionisti che hanno lo studio ciascuno per parte
propria dentro un unico appartamento (con la sala d’attesa dei
clienti unica, cessi in comune , segretaria in comune, ecc.) ma sulla
porta non c’è scritto una denominazione unica, altrimenti quella è una
società che deve essere registrata e dotata di tutto quanto
prevede la legge.
Pure la nomina sulla fiducia del “cane da riporto2”come redattore del
giornalino comunale si configura come un illecito (se non penale
perlomeno politico) dal momento che essendo il nominato socio d’affari
col sindaco Gandolfi e viceversa (ed ignoto se fosse o meno iscritto
all’albo dei giornalisti) non occorre la pila per rendersene
conto.
Non è una novità. Recentemente l’abbiamo vista nel caso del presidente
del consiglio Giuseppe Conte con Guido Alpa che di Conte è
maestro, amico, collega e, a credere al curriculum del premier, anche
socio. Oppure nel caso del presidente della Lombardia Fontana che dal
mazzo di circa sessanta professionisti candidatisi , dopo la
pubblicazione dell’avviso, il presidente della regione Fontana avrebbe
scelto proprio l’avvocato che era/è suo socio come “esperto in ambito
giuridico, con particolare riferimento alla legislazione territoriale,
urbanistica, ambientale, edilizia ed ai contratti pubblici”.
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