NUMERO 202-E

















La presentazione del Bilancio Sociale della sindaco Perlita Serra così come sul fascicolo.

Lo sforzo di redigere un Bilancio Sociale nasce dal desiderio di trasparenza e dalla convinzione che i cittadini debbano essere informati riguardo alle scelte amministrative, ai servizi offerti dal Comune, al lavoro quotidiano svolto negli
uffici comunali, all'uso delle risorse pubbliche economiche e non economiche.
Il documento vuole dunque presentare e quantificare in forma grafica comprensibile sia le attività di normale amministrazione svolte dagli uffici, con la varietà di documenti, atti, incombenze, rendicontazioni “prodotti” annualmente,
sia i progetti e i servizi attuati per scelta amministrativa.
Tutto questo lavoro ha delle ricadute positive sui cittadini in termini di erogazione di servizi fondamentali, ma anche di contributo alla coesione sociale e al miglioramento delle condizioni di vita, soprattutto delle persone più fragili,ma non solo. L'Amministrazione assolve così al proprio compito definito dalla Costituzione di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3).
Ci pare che rendere conto di quanto fatto annualmente sia un doveroso servizio alla comunità.
Ringrazio in particolare l'Assessore Luisa Gamba, delegata all'attuazione del programma, per il prezioso lavoro di ideazione del documento, di raccolta e di analisi dei dati, di redazione svolto insieme ai dipendenti comunali.


Oltre al non comprendere come mai il copia&incolla dei dati sia riferito nel maggio 2016 ai dati del 2014 (quando ormai dovrebbe essere pronto anche il bilancio consuntivo del 2015), al di la della grafica elegante, il libretto vale poco o nulla perché INUTILMENTE cercherete e troverete la più piccola analisi o motivazione politica delle spese effettuate.
La giunta Serra e soprattutto le tre femmine alfa della giunta: Gamba, Rizzo e Serra (in attesa di decidere chi sarà la prossima candidata sindaco, comunisti permettendo…) scambiano il comune per una ONLUS cattolica: “una politica capace di coinvolgere l'intera comunità su un'idea progettuale, su un'idea di vivibilità e di sviluppo condivisa, per fare di Curno un paese in cui sia bello vivere.

Una politica che recuperi il senso dell'etica, della politica come servizio”. Che è come dire quando piove non c'è il sole.


Ma esaminando a fondo questo bilancio si legge come il perseguire la soddisfazione dei più minuti desiderata (i desiderata sono TUTTI bisogni?) non ponga mai l'interrogativo che gli adulti e gli anziani di questo paese dovrebbero porsi ormai da tempo nel rispetto proprio delle generazioni future: noi
che abbiamo accumulato 2330 miliardi di debito pubblico ed abbiamo in banca 4200 miliardi di ricchezza finanziaria (oltre agli immobili).
che diritto abbiamo ancora di chiedere al Paese (Curno o Italia che siano) ?.

Ma poi dietro a questo immenso  bosco di spese, ci sono decine di società che ci campano e che servono a costruire e raccogliere consenso politico. Anche per stendere l'inutile volantino elettorale in questione














Da mettersi le mani nei capelli nel vederlo elegante di forme e povero di contenuti.Un compitino fatto  con una serie interminabile di copia incolla di dati noti e stranoti -un perenne riciclo- senza alcuna capacità o volontà di  applicarvi un ragionamento immaginando che da un magazzino qualsiasi applicando un po' di soldi per tutti sia una buona politica.
Questo biliancio sociale ci pare come una delle tante ricerche che troppi alunni fanno ritagliando figure e testi da libri e giornali ed incollandoli sul quadernone come "ricerca".
Basti pensare alla incapacità di leggerli. Il fatto che ogni anno mediamente se ne vadano dal paese 400 persone ed altrettante ne arrivino non viene  letto nella sua complessità, ma come l'etto di prosciutto comprato per il pranzo di mezzodì.
Due episodi scollegati.
Non passa nemmeno per la testa alla giunta Serra che se in 5 anni (un mandato sindacale) se ne vanno 400x5=2000 persone (senza nemmeno interrogarsi sulla ragione di quell'andarsene...) vuol dire che il comune ha "buttato"  quasi tutto (spesa, integrazione, partecipazione) e deve accollarsi il problema di accoglirene 4000 di nuovi.
Il comune non é la stazione dei bus per l'airport.








... inutilmente cerchereste e trovereste la spesa e gli investimenti per la cultura (biblioteca), che ci paiono anch'essi una spesa sociale per il benessere e la crescita dei cittadini.




L'altro segnale di questa debolezza è nelle scelte che le famiglie compiono. Nel 2015, le importazioni in Italia hanno registrato un vero boom, crescendo del 6 per cento su base annua. L'aumento riguarda soprattutto i beni di consumo, non i prodotti intermedi che potrebbero far presagire una forte ripresa dell'industria. Ogni euro speso in Italia su un maglione Zara o una lavatrice Bosch finisce invece per lo più in tasche straniere, frenando la nostra ripresa.
Il Rapporto sottolinea come le nostre merci continuino ad essere competitive
all'estero, e come la loro convenienza relativa stia leggermente migliorando. Ma la maggiore penetrazione delle importazioni dimostra come le aziende italiane siano sempre meno in grado di soddisfare la domanda interna. Le recenti scelte del governo di privilegiare la crescita dei consumi coi bonus fiscali, invece di tagliare con più forza il carico contributivo per le imprese, non aiutano. Il rischio è di diventare un Paese cicala che consuma in misura sempre maggiore quel che non produce — finché dura.




Abbiamo quindi bisogno urgentemente di un nuovo welfare che metta al centro la persona, non prendendosi in carico passivamente dei bisogni, ma supportandone sviluppo umano e inclusione sociale. I risultati migliori li ottengono, del resto, le politiche sociali che considerano i cittadini come persone responsabili e attive, in grado non solo di porre domande ma anche di contribuire a fornire risposte.
In sintesi, il nuovo welfare andrebbe incardinato su sei “p”. Tre riferite agli obiettivi da affidargli: proteggere chi sta peggio, prevenire dai rischi di peggioramento, ma anche promuovere lo star meglio. E tre “p” corrispondenti agli attori da mettere assieme in campo: oltre al pubblico, anche il privato sociale e la partecipazione dei cittadini. L'insieme di tutti questi fattori sta alla base di un welfare comunitario che stimola l'innovazione sociale sul territorio puntando a favorire coesione e capacità generativa delle comunità locali, a consolidare i legami di fiducia, a dar sostegno alla propensione alla condivisione e alla corresponsabilità verso il bene comune.



La famiglia-welfare però porta con sé anche qualche distorsione di carattere culturale. Non ha un'esatta percezione di come si muove il mercato del lavoro ed è portata, ad esempio, a privilegiare il lavoro impiegatizio purchessia. I padri che hanno sempre ragionato equiparando la mobilità sociale al superamento delle occupazioni manuali tendono a riproporre lo stesso schema anche per la prole, non tenendo conto però che nelle fabbriche e nel terziario moderno la complessità del lavoro sta abbattendo vecchi steccati. Si spiega così il fatto che in determinate zone del Paese — per lo più al Nord — le imprese cerchino alcune figure di tipo tecnico-professionale e non le trovino. Ad aiutare la famiglia-welfare ad evolvere culturalmente e a favorire l'occupabilità dei propri figli avrebbe dovuto dare una mano Garanzia Giovani ma così non è stato.









La “narrazione” che la giunta Serra fa del nostro paese è narrazione fatta cogli occhi volti al passato, narrazione propria dei preti o dei vecchi comunisti quando i Curnesi smettevano  di allevare bachi da seta e allevare mucche per andare negli stabilimenti. Quando quei pochi che  lavoravano in Gabulera, alla Dalmen o alla Fervet vedevano il benessere e cominciavano a costruire  fai-da-te nel post lavoro la propria casetta.
Una narrazione che vede solo laddove sia possibile e governabile lo scambio politico e dimentica il resto o lo tiene fermo qualora contrasti coi piccoli interessi dei piccoli proprietari o piccoli costruttori.



Ma è una narrazione che prevede solo la spesa e non l'investimento perché la stragrande maggioranza delle spese elencate – anche quelle del piano del diritto allo studio- si riducono solo a consumi che esauriscono la portata nel breve tempo.

Due esempi. Leggete le prime tre voci di pag. 30 (circa 114 mila euro per 55 cittadini)  oppure le prime quattro voci di pag. 33. Nel Bilancio Sociale del Comune che finanzia tutto questo ben-di-dio perché non compare un'indagine “indipendente” che certifichi la qualità di questa enorme spesa rispetto alle attese ed ai contenuti?
Non basta dire che i  soggetti si dichiarino

soddisfatti perché non è un rapporto tra cliente e bottega, ma è un rapporto triangolare cittadino-
istituzione-impresa che da il servizio.

Quello che poi manca da questo bilancio sono gli investimenti per il vivere bene ridotto alla solo la materialità delle spese “ a sostegno” ma è il perseguimento dell'obiettivo di coltivare stili di vita parsimoniosi, ambientalmente compatibili, di basso impatto, accessibili.
Insomma TUTT'ALTRO che i CVI oppure “ol secatoi” oppure le varie conventicole di aficianados: dagli ex bevitori agli sferruzzatori fabbricanti di calzini passando per i cuochi di torte artigianali.