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La presentazione del Bilancio Sociale della sindaco Perlita Serra così come sul fascicolo.
Lo sforzo di redigere un Bilancio Sociale nasce dal desiderio di
trasparenza e dalla convinzione che i cittadini debbano essere
informati riguardo alle scelte amministrative, ai servizi offerti dal
Comune, al lavoro quotidiano svolto negli
uffici comunali, all'uso delle risorse pubbliche economiche e non economiche.
Il documento vuole dunque presentare e quantificare in forma grafica
comprensibile sia le attività di normale amministrazione svolte dagli
uffici, con la varietà di documenti, atti, incombenze, rendicontazioni
“prodotti” annualmente,
sia i progetti e i servizi attuati per scelta amministrativa.
Tutto questo lavoro ha delle ricadute positive sui cittadini in termini
di erogazione di servizi fondamentali, ma anche di contributo alla
coesione sociale e al miglioramento delle condizioni di vita,
soprattutto delle persone più fragili,ma non solo. L'Amministrazione
assolve così al proprio compito definito dalla Costituzione di
“rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di
fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”
(art. 3).
Ci pare che rendere conto di quanto fatto annualmente sia un doveroso servizio alla comunità.
Ringrazio in particolare l'Assessore Luisa Gamba, delegata
all'attuazione del programma, per il prezioso lavoro di ideazione del
documento, di raccolta e di analisi dei dati, di redazione svolto
insieme ai dipendenti comunali.
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Oltre al non comprendere come mai il copia&incolla dei dati sia
riferito nel maggio 2016 ai dati del 2014 (quando ormai dovrebbe essere
pronto anche il bilancio consuntivo del 2015), al di la della grafica
elegante, il libretto vale poco o nulla perché INUTILMENTE cercherete e
troverete la più piccola analisi o motivazione politica delle spese
effettuate.
La giunta Serra e soprattutto le tre femmine alfa della giunta: Gamba,
Rizzo e Serra (in attesa di decidere chi sarà la prossima candidata
sindaco, comunisti permettendo…) scambiano il comune per una ONLUS
cattolica: “una politica capace di coinvolgere l'intera comunità su
un'idea progettuale, su un'idea di vivibilità e di sviluppo
condivisa, per fare di Curno un paese in cui sia bello vivere.
Una politica che recuperi il senso dell'etica, della politica come servizio”. Che è come dire quando piove non c'è il sole.
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Ma esaminando a fondo questo bilancio si legge come il perseguire la
soddisfazione dei più minuti desiderata (i desiderata sono TUTTI
bisogni?) non ponga mai l'interrogativo che gli adulti e gli anziani di
questo paese dovrebbero porsi ormai da tempo nel rispetto proprio delle
generazioni future: noi
che abbiamo accumulato 2330 miliardi di debito pubblico ed abbiamo in
banca 4200 miliardi di ricchezza finanziaria (oltre agli immobili).
che
diritto abbiamo ancora di chiedere al Paese (Curno o Italia che siano)
?.
Ma poi dietro a questo immenso bosco di spese, ci sono decine di
società che ci campano e che servono a costruire e raccogliere consenso
politico. Anche per stendere l'inutile volantino elettorale in questione
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Da mettersi
le mani nei capelli nel vederlo elegante di forme e povero di contenuti.Un compitino fatto con una serie interminabile di
copia incolla di dati noti e stranoti -un perenne riciclo- senza alcuna capacità o volontà
di applicarvi un ragionamento immaginando che da un magazzino qualsiasi applicando un po' di soldi
per tutti sia una buona politica.
Questo biliancio sociale ci pare come una delle tante ricerche che
troppi alunni fanno ritagliando figure e testi da libri e giornali ed
incollandoli sul quadernone come "ricerca".
Basti pensare alla incapacità di leggerli. Il fatto che ogni anno
mediamente se ne vadano dal paese 400 persone ed altrettante ne
arrivino non viene letto nella sua complessità, ma come l'etto di
prosciutto comprato per il pranzo di mezzodì.
Due episodi scollegati.
Non passa nemmeno per la testa alla giunta Serra che se in 5 anni (un
mandato sindacale) se ne vanno 400x5=2000 persone (senza nemmeno
interrogarsi sulla ragione di quell'andarsene...) vuol dire che il
comune ha "buttato" quasi tutto (spesa, integrazione,
partecipazione) e deve accollarsi il problema di accoglirene 4000
di nuovi.
Il comune non é la stazione dei bus per l'airport.
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... inutilmente
cerchereste e trovereste la spesa e gli investimenti per la cultura
(biblioteca), che ci paiono anch'essi una spesa sociale per il
benessere e la crescita dei cittadini.
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L'altro segnale di questa debolezza è nelle scelte che le famiglie
compiono. Nel 2015, le importazioni in Italia hanno registrato un vero
boom, crescendo del 6 per cento su base annua. L'aumento riguarda
soprattutto i beni di consumo, non i prodotti intermedi che potrebbero
far presagire una forte ripresa dell'industria. Ogni euro speso in
Italia su un maglione Zara o una lavatrice Bosch finisce invece per lo
più in tasche straniere, frenando la nostra ripresa.
Il Rapporto sottolinea come le nostre merci continuino ad essere competitive
all'estero, e come la loro convenienza relativa stia leggermente
migliorando. Ma la maggiore penetrazione delle importazioni dimostra
come le aziende italiane siano sempre meno in grado di soddisfare la
domanda interna. Le recenti scelte del governo di privilegiare la
crescita dei consumi coi bonus fiscali, invece di tagliare con più
forza il carico contributivo per le imprese, non aiutano. Il rischio è
di diventare un Paese cicala che consuma in misura sempre maggiore quel
che non produce — finché dura.
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Abbiamo quindi bisogno urgentemente di un nuovo welfare che metta al
centro la persona, non prendendosi in carico passivamente dei bisogni,
ma supportandone sviluppo umano e inclusione sociale. I risultati
migliori li ottengono, del resto, le politiche sociali che considerano
i cittadini come persone responsabili e attive, in grado non solo di
porre domande ma anche di contribuire a fornire risposte.
In sintesi, il nuovo welfare andrebbe incardinato su sei “p”. Tre
riferite agli obiettivi da affidargli: proteggere chi sta peggio,
prevenire dai rischi di peggioramento, ma anche promuovere lo star
meglio. E tre “p” corrispondenti agli attori da mettere assieme in
campo: oltre al pubblico, anche il privato sociale e la partecipazione
dei cittadini. L'insieme di tutti questi fattori sta alla base di un
welfare comunitario che stimola l'innovazione sociale sul territorio
puntando a favorire coesione e capacità generativa delle comunità
locali, a consolidare i legami di fiducia, a dar sostegno alla
propensione alla condivisione e alla corresponsabilità verso il bene
comune.
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La famiglia-welfare però porta con sé anche qualche distorsione di
carattere culturale. Non ha un'esatta percezione di come si muove il
mercato del lavoro ed è portata, ad esempio, a privilegiare il lavoro
impiegatizio purchessia. I padri che hanno sempre ragionato equiparando
la mobilità sociale al superamento delle occupazioni manuali tendono a
riproporre lo stesso schema anche per la prole, non tenendo conto però
che nelle fabbriche e nel terziario moderno la complessità del lavoro
sta abbattendo vecchi steccati. Si spiega così il fatto che in
determinate zone del Paese — per lo più al Nord — le imprese cerchino
alcune figure di tipo tecnico-professionale e non le trovino. Ad
aiutare la famiglia-welfare ad evolvere culturalmente e a favorire
l'occupabilità dei propri figli avrebbe dovuto dare una mano Garanzia
Giovani ma così non è stato.
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La
“narrazione” che la giunta Serra fa del nostro paese è narrazione fatta
cogli occhi volti al passato, narrazione propria dei preti o dei vecchi
comunisti quando i Curnesi smettevano di allevare bachi da seta e
allevare mucche per andare negli stabilimenti. Quando quei pochi
che lavoravano in Gabulera, alla Dalmen o alla Fervet vedevano il
benessere e cominciavano a costruire fai-da-te nel post lavoro la
propria casetta.
Una narrazione che vede solo laddove sia possibile e governabile lo
scambio politico e dimentica il resto o lo tiene fermo qualora
contrasti coi piccoli interessi dei piccoli proprietari o piccoli
costruttori.
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Ma è una
narrazione che prevede solo la spesa e non l'investimento perché la
stragrande maggioranza delle spese elencate – anche quelle del piano
del diritto allo studio- si riducono solo a consumi che esauriscono la
portata nel breve tempo.
Due esempi. Leggete le prime tre voci di pag. 30 (circa 114 mila euro
per 55 cittadini) oppure le prime quattro voci di pag. 33. Nel
Bilancio Sociale del Comune che finanzia tutto questo ben-di-dio perché
non compare un'indagine “indipendente” che certifichi la qualità di
questa enorme spesa rispetto alle attese ed ai contenuti?
Non basta dire che i soggetti si dichiarino
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soddisfatti perché non è un rapporto tra cliente e bottega, ma è un rapporto triangolare cittadino-
istituzione-impresa che da il servizio.
Quello che poi manca da questo bilancio sono gli investimenti per il
vivere bene ridotto alla solo la materialità delle spese “ a sostegno”
ma è il perseguimento dell'obiettivo di coltivare stili di vita
parsimoniosi, ambientalmente compatibili, di basso impatto, accessibili.
Insomma TUTT'ALTRO che i CVI oppure “ol secatoi” oppure le varie
conventicole di aficianados: dagli ex bevitori agli sferruzzatori
fabbricanti di calzini passando per i cuochi di torte artigianali.
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