CAPITO PERCHE' SE NE VANNO ?








Nuovo sito web (in occasione dei 30 anni di internet?) del Comune di Curno. Un home page coi profili azzurrini, stile camicetta dei maschietti al pranzo della prima comunione (siamo giusto in tempo…)  in perfetto stile democristiano «di sinistra». Però. In primo piano il noto monumento ai caduti riciclato e la facciata del municipio cui noi abbiamo corretto la scritta mettendo i... puntini sulle "i" perché i dicci del tempo vollero risparmiare (un po') sul rame della scritta. Non ci crederete ma è rame vero.
E' notoria il poco amore della sindaco Serra verso i nuovi media e il divieto assoluto ai suoi

di partecipare a blog di pertinenza politica indigena.
Come è normale trovare delibere dove non si conosce ancora il sistema di assemblare diversi PDF. Forse non sanno neppure che esiste in abbonamento. Ghe mia i solc! Come è normale trovare delibere nel pretorio dopo qualche tempo “spogliate” degli allegati.
Un sito del comune (forse)
dovrebbe perlomeno consentire un dialogo


Il sito
del comune dovrebbe consentire un dialogo pubblico bidirezionale tra cittadini ed assessori (e sindaco) ed essere l’archivio
di tutti gli atti
pubblicati.

pubblico bidirezionale tra cittadini ed assessori (e sindaco) ed essere il magazzino di tutti gli atti pubblicati (almeno degli ultimi 5 anni). Dio ce ne scampi, deve pensare la sindaco Serra sia del dialogo coi cittadini che della pubblicità (eterna: diciamo almeno quinquennale) degli atti. Cogli l'attimo (per gli atti) che poi scappano. Un sito  scontatamente autoritario, perchè sia chiaro che il cittadino é un suddito che al comune si rivolge per avere amore pietà misericordia un sorriso e non per far valere qualche suo diritto. Sito inutile ed una spesa buttata per metà. Forse anche di più.
Per fare una cosa così modesta,
bastava dare 600€ al mese a un assessore volenteroso.








La Latrina di Nusquamia, sito di sponsorizzazione dell'ex sindaco del buongoverno (detto da lui di se medesimo…) Angelo Gandolfi gestito dal suo sodale Claudio Piga da Trezzo, da qualche tempo sta conducendo una campagna apparentemente “contro” la Lega e il CDX per quella che sarebbe una “montatura mediatica della cosiddetta Nuova moschea di Curno” organizzata dalla Lega e del CDX (?) col supporto mediatico di un grande giornalista del Bugiardino.
Tutto il bordello messo in piedi dalla Latrina di Nusquamia dura da qualche mese ed apparentemente si manifesta come una difesa della verità in vantaggio

La stessa lettera di Gandolfi al sindaco con la pretesa speranza che venisse letta in consiglio chiede e pretende che siano dette cose impensabili senza una regola. Chiede il Gandolfi: “penso perciò che i cittadini si aspettino da lei rassicurazioni riguardo agli aspetti quantitativi e qualitativi di questo trasferimento. Quantitativi: a quanto ammonta il fattore di incremento di capienza del centro culturale islamico? Qualitativi: in merito ai disagi per la popolazione, in occasione delle festività islamiche. Sono precisamente i fattori quantitativi e qualitativi che mettono in apprensione la popolazione di

dell'amministrazione Serra contro le falsità degli ex amici (di Piga& Gandolfi) nella Lega e CDX.
La realtà è molto più banale. Lega e CDX dopo avere appreso con qualche mese di ritardo che l'attuale centro islamico presente a Curno dal lontano 1997 avrebbe intenzione di spostarsi in un capannone più ampio, mentre era pendente il giudizio della suprema corte sulla costituzionalità della legge  maroniana sulle moschee hanno organizzato una
fallimentare raccolta firme
hanno organizzato una fallimentare
per chiedere un referendum


Doppi e bugiardi
come al solito.
Fingono di difendere il paese con ragionamenti razzisti
usando un problema
che non esiste
contro un sindaco
che senza legge di riferimento
non può fare
nulla.


Curno, anche in relazione alla perdita di valore delle proprietà, come lei ben dovrebbe sapere. In assenza di vincoli precisi e coercitivi e rassicurazioni cogenti, pur lontano dalle posizioni fondamentaliste della Nuova destra curnense, sarei costretto a pronunciarmi in senso contrario a tale trasferimento”.
Se un sindaco si pronunciasse “prima” della nuova legge regionale e della modifica al PGT sarebbe accusato di abuso d'ufficio, e non c'è bisogno di spiegarlo.
Dall'intervento del Gandolfi emerge
una visione bottegaia e razzista

curnese  sulla “nuova moschea”. News abbastanza enfatizzata dal Bugiardino il quale ha avuto la sfrontatezza di non domandare il supremo parere della Latrina di Nusquamia, alias Piga&Gandolfi.
Ovviamente la richiesta del centro islamico di spostarsi s'è fermata in attesa delle “superiori deliberazioni” nazionali regionali e poi comunali attraverso una integrazione del PGT con l'inserimento nello stesso delle regole sui “luoghi di culto”.
Ma tutto il bordello messo in piedi dalla Latrina, mentre appare formalmente diretto  alla difesa di improbabili diritti di informazione ai cittadini e di polemica strumentale contro i loro ex amici nella Lega e nel CDX, in realtà mira a tenere sotto fuoco la giunta Serra, la quale s'è mossa correttamente anche se varrebbe la pena usasse più i mezzi istituzionali che le pagine del Bugiardino e di BGTV.
Questo atteggiamento da accoltellatori è tipico della Latrina e ne è il carattere fondamentale: ormai  conosciuto anche dai sassi.

del problema: non voglio una moschea perchè casa mia si svaluterebbe. Il che è una cazzata al cubo dal momento che potrebbe saltar su un altro imbecille a chiedere che non si facciano chiese cattoliche perché svaluterebbero la sua villetta a schiera fieramente fascista.
Insomma nonostante l'intorcionarsi alla fine salta fuori la vera “vena” culturale e politica della Latrina: teniamo sulla graticola la Serra  facendo polemica contro gli avversari su un tema del quale questi contano zero.
Naturalmente le cime politiche che governano il PD curnese non potevano  esimersi dalla loro inutile sboronata con un volantino di due pagine. Nel quale oltre la solita sequela di banalità perbeniste non hanno il coraggio di dire con chiarezza le due cose certe e dicibili. Che Gandolfi e la sua Latrina smettano di strumentalizzare un problema che non esiste. Forse ci sarà tra tre anni. Forse. Che la libertà di culto è un diritto costituzionale e ne un referendum positivo ne una delibera di consiglio possono sopprimerlo. E' maggio. Viene il caldo a la latrina puzza più che prima.

















“Metti che nel tuo salone s'improvvisi una sala parto e che alla fine tra urla e sangue vada tutto bene”. E poi magari ti guardi dentro e ti chiedi perchè non ti sei mai occupato di un italiano che se la passa male, scoprendo quella natura egoistica che cova dentro la maggior parte di noi. Se poi casualmente fai il giornalista e qualche contatto lo hai cerchi di aiutarla anche per il “dopo” e cioè dal momento in cui i riflettori si spegneranno. Consapevole che per un caso finito bene ce ne sono cento, mille, diecimila che non si conosceranno mai. I drammi dell'intera umanità non potrò mai risolverli, ma mia nonna mi raccontava da piccolo che se salvi un bambino salvi il mondo.
Ora però, risolti i problemi di questa disgraziata, spero di risolvere i miei. Quel giorno, mentre ricevevo decine di telefonate da giornali, radio e tv, mi accorgevo che qualcosa dentro di me si era rotto. Forse per la prima volta avevo netta la percezione della finzione nella quale siamo immersi, dell'inutilità di vivere in quartiere elegante della capitale se a 5 metri dal tuo portone c'è un mondo che vive nel sottoscala dell'umanità.
Avevo visto due o tre volte quella donna che con la pancia sempre più gonfia si trascinava con la figlia di un anno in uno scantinato. Quando l'ambulanza del 118 quella mattina l'ha portata via insieme alla neonata, mi sono ritrovato imbrattato di sangue come nella scena di un delitto. Poi però in quello scantinato rimasto aperto sono entrato e ho girato il video che ha





fatto il giro delle tv. Sette, otto metri quadrati, un giaciglio, vestiti e stracci ammassati in ogni angolo, confezioni di latte in polvere di marca cinese, scatolette di legumi consumate a metà, un fornello elettrico accanto alla tazza del water e il ciuccio del biberon conficcato nel buco del lavandino sporco come una porcilaia. Non un frigorifero, non un televisore. Una sorta di grotta di Betlemme versione moderna, oggi fa scena dire 2.0 anche se in questo caso sarebbe più giusto parlare di due sotto zero perchè non c'era nemmeno uno scaldino e immagino che fino a marzo abbia fatto molto freddo. L'unico contatto con il mondo esterno era un cellulare che la donna stringeva tra le mani come un salvagente nel Mediterraneo di un condominio ostile e che non ha mai lasciato nemmeno negli attimi del travaglio.
E il marito? Quando l'ho chiamato sul cellulare lasciatomi dalla moglie mentre la barella se la portava, la risposta è stata di quelle che ti aprono un mondo. «Grazie, signore..grazie tante per.. aiuto... ma fino a domenica no venire. Faccio badante a un anziano che non si muove dal letto e se lascio muore».
Era giovedì, e così è stato. È arrivato al policlinico Gemelli domenica a mezzogiorno, il tempo di registrare la figlia e alle 18 di nuovo in servizio fino alla domenica successiva. Da una settimana la sorellina di un anno è a casa mia. Gioca con mia moglie e i miei figli.
Pensavo di aver visto tutto nella vita e invece mi sbagliavo. Per 16 anni ho girato l'Italia e il mondo come inviato seguendo guerre, terremoti, tzunami, catastrofi varie e quindi storie ancora più drammatiche di questa.
Una collega ha fatto un'osservazione bellissima: che il
miglior reportage l'ho fatto senza


muovermi da casa , un paradosso per un inviato. Il fatto è che inviato non lo sono più. Mi considero un vecchio arnese che un tempo si occupava di cronaca, interessato ormai ad altro, in particolare ai miei due bambini. La vita cambia ed è giusto adeguarsi ai cambiamenti. Da parte mia non resta che un'ultima missione da compiere, non più come giornalista ma come cittadino. Castigare i responsabili che tenevano segregata questa donna nel tugurio. E - nei limiti della legge- sarò spietato. È anche lei una donna, anche lei una filippina che tempo fa si è appropriata con uno stratagemma dell'appartamento dove un tempo viveva di una coppia di anziani facoltosi. Ha sposato il vedovo 90enne poco prima che morisse. A volte i cattivi sono anche gli stranieri, o meglio quelli che si arricchiscono e trattano come schiavi chi è rimasto nel girone di sotto. Niente di nuovo, funzionava cosi anche il meccanismo dei kapò, bastava fare stare loro un tantino meglio. Poi mi divertirò a raccontare tutto questo a quei condomini che chiamavano la signora con la pancia che sporgeva come un davanzale a fare le pulizie in caso loro, verosimilmente pagandola in nero. E non si chiedevano nemmeno dove lasciasse la piccola che aveva con lei. Fatto questo giuro che uscirò definitivamente da questa storia che mi ha travolto. Una storia più grande di me che evidentemente quella mattina mi è venuta a cercare per essere raccontata.











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Bisogna avere il coraggio che hanno avuto i bambini napoletani di Caivano: hanno guardato e raccontato senza paura le scene di prevaricazione sessuale subite da loro e dalla loro amica morta. Il coraggio dunque di vedersi in quelle scene, di avere coscienza di sé e degli adulti che erano sopra i loro corpi. Gli uomini e le donne devono fare la stessa cosa, guardare il desiderio maschile, la sessualità degli uomini con la stessa aspra verità: la sessualità maschile, formata in millenni di storia, contiene la sopraffazione, l'ambivalenza tra amore e possesso violento, la seduzione dell'innocenza inconsapevole che rende quei gesti carichi di un
erotismo che nei secoli non era
visto come malato. E le donne devono vedere la subalternità femminile che ricopre tutto, giustifica tutto per salvaguardare i legami famigliari, avere un uomo conservare la normalità agli occhi

degli altri, sacrificando gli stessi figli, retaggio anche qui di millenni di storia. E deve averlo anche la Chiesa questo coraggio, non solo per denunciare e punire gli abusi,
ma per mettere
in pratica
l'insegnamento rivoluzionario del vangelo:" non scandalizzate i bambini". Deve analizare, capire profondamente perchè in un ambiente di soli uomini, che hanno scelto la
castità, il corpo dei bambini, immagine di quella purezza tanto decantata, viene usato e depredato. Quando abbiamo lanciato la campagna “Mai più complici”, abbiamo detto che la violenza contro le donne è un fenomeno antico che viene


usato oggi contro la nuova libertà delle donne, abbiamo chiamato gli uomini a parlarne accanto a noi. Dobbiamo dire, allo stesso modo, che l'uso dei corpi dei bambini a scopo sessuale, nasconde una sessualità maschile arcaica, su cui non ci si è mai interrogati veramente, e una subalternità  femminile che le donne non vogliono vedere.

Solo se allar-ghiamo il nodo stretto delle relazioni fisiche impari che la storia tra i sessi ci ha consegnato, solo se ci vediamo noi stessi in queste relazioni, come hanno fatto i bambini napoletani, possiamo trasformare il sorriso di Fortuna, esibito dalla madre, in una gioia privata e vera.

(Cristina Comencini)











L’intervista alla preside dell’Istituto Viviani, a cento metri dal palazzo di Parco Verde a Caivano.


«Sono devastata e delusa. Di fronte a tanto degrado, che imporrebbe scelte ferme e coraggiose a cominciare dall'istruzione, la politica si piega alla logica del consenso o della burocrazia. E si decide di smembrare questa scuola media». Eugenia Carfora è la preside “di ferro”dell'istituto Viviani, cento metri dal palazzone degli abusi del Parco Verde: scuola che a settembre sarà soppressa e divisa in 4 presìdi. È la dirigente che già 5 anni fa, nel docufilm del regista Andrea Barzini “I giorni buoni” (le vite dei minori a rischio raddrizzate dalla comunità di recupero Jonathan),
diceva a muso duro dei “suoi” ragazzi: «Prima della camorra, li uccide l'inerzia delle famiglie, l'abbandono del rione. I maschi sempre in strada, le femmine sul letto».
Preside Carfora, anche per lei questo orrore era quasi annunciato?
«Dove regna l'anarchia, l'ignoranza, dove tanti genitori non sono genitori, e la promiscuità è tanta, perdersi diventa quasi normale. La scuola deve combattere, se necessario. Io, al Parco Vede, andavo a citofonare alle case per capire perché i figli non venissero in classe».
Ora che alunni e docenti della scuola saranno ripartiti tra vari istituti, sente tradita la sua battaglia?
«Sì, il dolore più grande me lo hanno dato quelli che hanno anteposto gli equilibri politici e non i ragazzi. La continuità di formazione e relazioni, il progetto didattico, saranno interrotti. Un consigliere Pd disse che la soppressione era giusta, e Parco Verde doveva tornare “alla normalità”. Cosa aggiungere?».
Lei ha scritto spesso direttamente alla Procura Minori. È vero che i servizi sociali erano “lenti”?
«Chi vuole salvare i ragazzi deve giocare sul tempo, riempire gli spazi vuoti. Non bisogna aver paura di riportare quei ragazzi scomodi a scuola, a costo di essere impopolare. La burocrazia affida agli “altri” il compito di “salvarli”, o di fare di loro il “nulla”. Qui, chi propone modelli formativi “non accomodanti” fa perdere consenso e va abbattuto».

( Conchita Sannino).


























Deborah Dirani

Deborah Dirani

Donna, prima. Giornalista, poi.
   
Non sto con Augias: i bambini non sono mai oggetti sessuali

Lasciare intuire, seppur velatamente, che la presunta sessualizzazione delle bambineè all'origine degli abusi di un pedofilo depravato è tentare di alleggerire l'abominevole colpa di cui si è macchiato. È lo stesso principio secondo il quale una donna con la mini, che si ritrova sbattuta a terra e violata da uno stupratore, se l'è andata a cercare.
Fortuna aveva i boccoli biondi e nella foto "dello scandalo" era in posa, cercava di essere carina. Ammiccava all'obbiettivo, a chi vi era dietro. Non strizzava l'occhio alla libidine di un adulto. Manco lo sapeva, povera bambina, cosa fosse la libidine. E non lo sanno le bambine di tutto il mondo che stressano le mamme per mettere il lucidalabbra in discutibile accoppiata col pannolone. Non lo sanno le bambine che, guardando dei cartoni dove le protagoniste hanno gonne inguinali o tutine attillate, vogliono vestirsi allo stesso modo.
E non le hanno nemmeno le mamme che, lo ammetto, conciano le loro figlie come bamboline improbabili. Che non lo fanno certo per favorire le fantasie malate di qualcuno, per solleticargli la perversione di un desiderio abietto. Lo fanno perché a loro piace così, indipendentemente dalla classe sociale (quando la pezza è peggiore del buco...). Perché il buon gusto nel vestire se stesse o le proprie figlie non si acquisisce con lo studio disperato dell'enciclopedia britannica o con un conto corrente a 9 zeri. È questione di sensibilità e modelli di riferimento: io mia figlia non la vestirei mai con un sari rosa, eccezione fatta per una festa di carnevale, a Nuova Delhi sarebbe normale, qua no. Qua è normale vestire le bambine come piccole donne: entrate in un negozio di abbigliamento e ditemi se non vi imbattere in almeno tre tipologie diverse di leggins panterati, leopardati o tigrati. Quindi, gentilmente, non accusate le mamme e le loro bambine di trasformarsi con quotidiana malizia in oggetti del desiderio sessuale. Una donna, a qualunque età, ha il sacrosanto diritto di vestirsi come le pare senza farsi manco sfiorare dal dubbio che ci sia un malato di mente che legge nella sua carne un invito ad abusarne.
Non ribaltiamo la realtà per piegarla a spiegazioni che mostrano come, anche tra coloro che hanno titoli di laurea e sono baroni riconosciuti della cultura, si nascondano sacche di classismo maschilista. Perché se Corrado Augias non aveva mai visto prima la foto posata di una bimba che gioca a fare la grande il problema è suo che vive in un mondo che non esiste più e che, permettetemi di dirlo, non sono sicura fosse poi tanto migliore di questo. Perché nel suo mondo, quello in cui i bambini "vestivano alla marinara", il reato di stupro era contro la morale e non contro la persona. Perché l'aborto era illegale e il divorzio non contemplato. Le bambine più povere venivano mandate a lavorare e nessuno insegnava loro che un uomo non è in nessun caso il loro padrone.
Se il prezzo della libertà di autodeterminazione che dobbiamo pagare è vedere delle bimbe vestite di improbabili lustrini, mi sta più che bene. Conosco ragazzine che arrivano a malapena al banco di prima elementare che pretendono di acconciarsi come starlette da TV locale e se ne vanno in giro con la stessa tranquillità delle loro coetanee in calzettoni al polpaccio. Perché i bambini non sono oggetti sessuali. Mai, in nessun caso.
Chiunque in una chioma bionda e un sorriso ammiccante (alla mamma che scattava la foto) legga altro dalla normalità del mondo di oggi, forse, dovrebbe iniziare a dubitare della propria capacità di intendere il presente. E, infine, chiunque sia capace di accusare la mamma di Fortuna (che di colpe di sicuro ne avrà, ma non certo questa) di vestire sua figlia da Lolita per soddisfare la sua frustrazione di donna che avrebbe voluto fare la velina sposata a un calciatore ed è finita col fare la sciupata moglie di un galeotto dovrebbe ricordarsi che sognare per la propria figlia un destino migliore di quello a che si vive, non solo è lecito, ma anche doveroso. Che non tutte le mamme vogliono le figlie laureate con lode e bacio accademico. E noi, che siamo laureate e abbiamo avuto pure 'sto bacio, dovremmo smetterla di sentenziare su cosa sia lecito desiderare per i figli non nostri.






Paola Tavella

Paola Tavella

Giornalista, scrittrice

Dalla parte
di Corrado Augias



Sono sbalordita dalla polemica esplosa in rete contro Corrado Augias. Mi è capitato di ascoltarlo la sera di martedì 3 in diretta e sono stata subito d'accordo con lui. Ha detto qualcosa che molte volte noi femministe abbiamo detto e scritto, e cioè che vestire e acconciare le bambine come donne adulte è servitù allo sguardo maschile, fa parte della cultura pedofila e le espone a gravi rischi.
Noi femministe abbiamo combattuto le inserzioni pubblicitarie in cui le bambine sono costrette a atteggiarsi come donne sexy, emaciate, imbronciate, truccate. Abbiamo denunciato l'orrore dei concorsi di bellezza per bambine, che sembrano sfilate per pedofili, cataloghi di Barbie in miniatura. E vi ricordate che gli italiani sono i primi nel mondo per turismo sessuale, che vanno in Thailandia, in Brasile, in Vietnam a farsi una minorenne dopo l'altra per pochi soldi? Allora riconosciamo che Augias ha ragione. Anzi, ha detto qualcosa che viene subito in mente guardando la foto di Fortuna, perché Fortuna, povero amore, in quella foto ha l'atteggiamento di una soubrette.
Ma Fortuna, povero amore, aveva cinque anni. A cinque anni non si assumono spontaneamente quegli atteggiamenti, a cinque anni si corre con la coda di cavallo al vento, spettinate e forse anche un po' impolverate. Invece sui manifesti, sui giornali in televisione non si vedono altro che bambine in pose maliziose che imitano le ventenni, o la cui innocenza, tenerezza, vulnerabilità viene sfruttata per pubblicizzare qualunque prodotto. A una bambina usata così può far piacere essere al centro dell'attenzione per un attimo, ma intorno a lei e al suo corpo girano un sacco di soldi e molti interessi che non la riguardano affatto.
Le bambine sono bambine, non merce. E io credo che le madri dovrebbero essere le prime a proteggerle dall'esibizionismo, dalla moda di scimmiottare le adulte. Invece ognuno di noi vede in giro madri che vestono ne ho conosciute alcune che vestono le bambine come se stesse, e viceversa: leggins aderentissimi, stivaletti, maglietta che lascia scoperto il "pancino", o le spalle. Al mare vedo bambine in tanga, il sederino nudo, e un reggiseno (inutile) microscopico, ma non sarebbe meglio evitare, lasciarle andare in giro con i pantaloncini come i loro fratelli? Questo discorso non riguarda affatto i proletari e i sottoproletari di cui tutti vanno cianciando in queste ore disperate, nel tentativo di allontanare da sé l'orrore accaduto a Fortuna Loffredo e ad Antonio Giglio, che a tre anni era volato giù dal tetto prima di lei.
Lo stupro, la pedofilia, le estreme conseguenze di una sessualità violenta che è diffusissima, che fa morte, ferite, traumatizzate per sempre e non viene mai messa in discussione, è di tutte le classi sociali, di tutti i livelli culturali, di ogni latitudine, e i dati lo dimostrano. Ricordo le prime riunioni femministe, negli anni Settanta, quando ci si raccontava a vicenda la propria vita, e pochissime, davvero pochissime, non erano state molestate e spesso abusate da zii, nonni, amici di famiglia, preti, istruttori di ginnastica, insegnanti, educatori delle colonie estive. Qualcuna aveva chiesto aiuto agli adulti, se aveva fiducia in loro, raramente erano state credute e ascoltate. Per queste ragioni l'osservazione di Augias mi è parsa pertinente e sensibile, ed è stata detta con tristezza ed estrema delicatezza. Non giustificava i pedofili, al contrario: accusava un'intera società che mette le bambine e i bambini a disposizione della sessualità maschile più perversa e delle donne che la servono e la coltivano con zelo - purtroppo non sono poche, e non solo in questo campo.







Risultati immagini per vanna iori

Vanna Iori 

Deputata Pd, Responsabile minori, docente universitaria
I segnali inascoltati
della piccola Fortuna



Ai bambini piace disegnare. Il disegno è lo specchio dei pensieri e delle emozioni. Positive e negative. Fortuna, la bambina violentata e uccisa nel Parco Verde di Caivano, nell'hinterland di Napoli, disegnava finestre con le sbarre, come una prigione. Case con due porte, figure femminili cancellate con tratto forte, come fossero una minaccia. I bambini ci dicono. Attraverso il disegno, i giochi. Lanciano segnali che vanno oltre le parole non dette. Eppure quei messaggi restano spesso inascoltati o in quel limbo tra disattenzione e sottovalutazione da parte degli adulti che è propedeutico all'emarginazione, alla violenza, all'abuso. A volte anche alla morte, come nel caso di Fortuna e di Antonio, il bambino di tre anni precipitato dallo stesso palazzone.
Oggi è la giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia, tra le più grandi vergogne dell'essere umano: dedichiamo questa giornata a Fortuna, simbolo dei tanti bambini e delle tante bambine che in Italia e nel mondo non hanno avuto la fortuna di sopravvivere a questi drammi o che, al contrario, devono convivere ogni giorno con l'orco, nel silenzio. Abbandonati anche, in molti casi, dalle madri, che diventano complici del padre carnefice perché incapaci di denunciare. Ascoltare è la priorità. Dalla famiglia agli educatori, dagli insegnanti alla parrocchia allo sport: l'ascolto è fondamentale per prevenire e aiutare i bambini.
Quello degli abusi sui minori è un tema complesso, che coinvolge più versanti. Dall'adescamento al contesto socioculturale in cui avviene la violenza, dal ruolo educativo dei genitori a quello delle istituzioni e delle associazioni, solo per citare alcuni ambiti. Il tema dell'ascolto, tuttavia, è ancora poco esplorato. Molti abusi sommersi non vengono mai denunciati. Perché riguardano adulti nei quali i bambini ripongono fiducia, abbassando così le difese e trovandosi in condizione di maggiore "fragilità" affettiva. E anche per questo tacciono, per paura, o per vergogna di colpe non loro. Sentimenti che non trovano parole per essere detti. Adulti frettolosi che non sanno ascoltare. Che precipitano nell'angoscia momentanea al pensiero che potrebbe accadere ai loro piccoli, ma subito pronti a riprendere la vita di sempre, fondamentalmente convinti che gli orrori riguardino altri. Perché se un figlio si isola o diventa improvvisamente taciturno o rifiuta di andare in palestra o in parrocchia, se smette di fare i compiti, se cambia i suoi disegni che diventano "strani", se con le bambole racconta storie "inventate", se scoppia a piangere per nulla, se riprende a fare pipì a letto, se la notte non dorme, è più facile pensare che "gli passerà", piuttosto che accorgersi della sua "bestia nel cuore".
Ma il deficit di ascolto prosegue spesso anche quando gli abusi vengono a galla. Pochi, ancora, gli avvocati che hanno competenze specifiche per l'ascolto del minore durante la delicatissima fase di assunzione di dichiarazioni durante lo svolgimento delle indagini preliminari, nonostante nella Carta di Noto del 1996, integrata dal Protocollo di Venezia del 2007, si dettino i principi sulle corrette modalità di ascolto del minore abusato tra cui la necessità di avvalersi di professionisti specificamente formati, che devono utilizzare metodologie e criteri ritenuti affidabili dalla comunità scientifica e un setting adeguato, tale da garantire la serenità del minore.
Queste indicazioni nascono dall'esigenza che l'ascolto del minore avvenga correttamente sempre in via anticipata, sia perchè le prime dichiarazioni dei bambini sono considerate maggiormente attendibili, sia per accelerare il processo di elaborazione di vissuti dolorosi e per evitare di ripetere interrogatori riguardanti le loro esperienze traumatiche.
Proprio per questo il codice di procedura penale consente che l'udienza possa svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale. Per evitare che il minore violentato venga a trovarsi di fronte all'autore del reato, si prevede che il suo esame possa esser effettuato con "l'uso di un vetro a specchio unitamente ad un impianto citofonico", e anche che possano poi essere utilizzate tecniche non discorsive, quali il disegno, l'utilizzo di bambole e giochi. Ma talvolta è troppo tardi, se l'ascolto non è avvenuto correttamente nelle prime fasi, al giudice dibattimentale e a quello dell'incidente probatorio non serve più usufruire di queste particolari modalità di acquisizione. Le ferite si sono già richiuse nel silenzio.
Un ascolto autentico è invece rispettoso dei tempi dei bambini per rielaborare le ferite, sa cogliere il significato dei loro silenzi, ed è il primo strumento che abbiamo per prevenire gli abusi o il loro reiterarsi. La tragedia della piccola Fortuna ci lascia questo interrogativo amaro: perché nessuno ha saputo ascoltarla? Spetta a noi affinare i sensori dell'intelligenza del cuore e uscire dall'indifferenza che ci rende complici.