NO, NON E' UN PARCO DI CURNO





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Non era ancora superata la polemica sugli attacchi del PdC Renzi alla magistratura dopo le sberline del presidente dell'ANM Davigo che infuria la polemica sulla prescrizione e sulla riforma del processo frenato dall'NcD. Ecco che Polizia e Carabinieri il cui capo è l'Alfano dell'NcD…) scodellano una vasta e potente azione di intelligence e arresti anti terrorismo nella  Brianza lecchese.
La destra e i media si sono gettati sulla preda. I siti dei quotidiani abbondano delle dichiarazioni solenni e gravi di alti dirigenti delle forze dell'ordine e della magistratura fieramente gongo lanti di questo duro colpo inferto al ter rorismo nostrano.
Poi si leggono le intercettazioni e si scopre che gli arrestati sono una mez za dozzina di testicoli, capaci di fare le somme fino a cinque. Oltre nisba.
Perfino i famigliari li consideravano dei perfetti cocconi: fate i bravi sennò vi picchiamo, li consigliavano, talmente li stimavano pericolosi.
Testicoli nella crapa ma non del tutto scemi. Infatti lasciare l'Italia per andare a combattere in Siria non è mica paglia. La c'è il rischio di lasciarci la pelle entro le prime ventiquattrore di permanenza, mentre qui una pagnotta, una fetta di mortadella, l'acqua calda, un tetto  e una figa le hanno di sicuro. Quando si leggono le intercettazioni  non si sa se ridere o piangere perché un Paese (paese con la P maiuscola perché intendiamo l'ITALIA) che ha paura che dei testicoli di tale livello abbiano l'ardire di andare in via della Conciliazione e farsi esplodere, proprio solo degli ingenui possono crederci.
Meraviglia che  alti dirigenti delle forze dell'ordine e della magis tratura si prestino a dare enfasi a personaggi del genere, che non farebbero ridere nemmeno in uno spettacolo dell' ora torio.
Comunque questa modestissima azio ne ha consentito al prode Alfano di ri sollevarsi dalla chiara responsabilità di essere  la forza politica al governo che frena sulla riforma della giustizia, in particolare quella sulla prescrizione dei  reati.
Qualche volta c'è da rimpiangere Ver dini al posto di un Alfano.
Tosto delinquente il primo ma meno imbecille del secondo.

L'avevano chiamata Fortuna forse speran do avesse un destino migliore della sua fami glia. Una famiglia orri bile di cui si può solo descrivere il degrado. La madre di Fortu na convi vente con un soggetto in carcere accusato di ave re violentato le tre figlie di 10,5, e 3 anni. Il  vero padre di Fortuna appe na scarcerato dopo dieci anni in quattro carceri per una condanna “ter ribile”: vendita di CD falsulli e contrab bando.
Manco ne avesse com mercializzato un TIR. Dieci anni di mala scuola. 
Un casermone di 38 famiglie dove una tren tina sono imparen tate tra di loro: ci 'sta una omertà enorme ha detto un altro residente nel palazzo sbrecciato.
Un quartiere nei pressi della terra dei fuochi dove buona parte non muore nel proprio letto ma per altre cause meno nobili e naturali.
Con l'allontanamento dei figli  portati in una famiglia protetta e sotto il controllo delle psicoterapeute l'assas sino ancora presunto quando era ancora li bero, ha smesso di vedere le sue piccole prede.
Così il martirio di Chicca ha salvato le altre vite. Un romanzo nero, è il racconto puntuale e par tecipe delle assistenti di quel la comunità: che anno tano tutto, il ter rore di farsi lavare, i dolori, la maturità di una, la rimozione psi cologica dell'altra, gli incubi la notte, i loro mondi paralleli, le loro “scissioni”.





Demos-COOP per Repubblica hanno fatto un sondaggio sul lavoro  intervistando 1327 cittadini a fronte di 10.438 rifiuti /sostituzio ni.
I numeri sono del tutto insignificanti anche se ovviamente i ricercatori ne vantano l'atten dibilità. Io ne dubito assai. Ci ha colpito come BEN il 66% preferisca diventare pubblico dipen dente, imprenditore o professio nista a fronte di un 18% e 16% che preferi rebbero una grande impresa o un artigiano. Insomma anche ai giovani disoccupati o scolarizzati non importa nulla del futuro del proprio paese ma mirano soltanto al lavoro come ad un mero strumento di sopravvivenza meglio se  accompagnato da una buona dose di corruzione ed evasione fiscale.
Il fatto è che non sanno neppure  che “un lavoro in proprio” oppure un lavoro

come “libero professionista” può esistere soltanto se il Paese ha un grande sistema industriale che distribuisce redditi (cosa del tutto improbabile da qui a vent'anni…) mentre sanno benissimo che sono (quasi sempre) lavori protetti dalla concorrenza interna e interna zionale. Non ci sono immigrati polacchi od egiziani che concorrono per essere assunti  nei comuni o nella scuola come non ci sono  artigiani polacchi che prati cano le fregature legali sui collaudi e riparazioni alle caldaiette delle nonne.
L'immagine che ne esce è quella di gente che se ne frega del destino dell'Italia e bada solo a tirar sera. Esattamente come i loro padri che riscuotono una pensione doppia o tripla del salario o stipendio dei figli.



















https://www.almalaurea.it/universita/occupazione/occupazione14

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Dopo la recente approvazione del Def può essere utile provare a ragionare seriamente sullo stato e le prospettive dell'economia italiana. È evidente che i vincoli e i condizionamenti di una politica europea del tutto errata limitano fortemente lo sviluppo dell'Unione, e la condannano a un destino di stagnazione. Da questo punto di vista l'iniziativa assunta dal nostro governo di porre in discussione e aprire un dibattito sulla linea finora seguita e i suoi effetti è positiva e da condividere, anche se arriva con colpevole ritardo, perché il dibattito andava aperto nel momento in cui l'Italia aveva assunto la presidenza di turno dell'Unione, facendo leva sulle perplessità e le preoccupazioni, già allora molto diffuse, delle organizzazioni internazionali, degli Stati Uniti e della comunità degli economisti. Si preferì cercare di ottenere margini di flessibilità per il nostro Paese, invece di coinvolgere in un dibattito serio tutti i Paesi. Analogamente, durante la crisi greca, sarebbe stato utile contestare la linea violenta e prevaricatrice imposta a quel Paese, invece ci defilammo. In ogni caso è evidente che oggi sarebbe decisivo riuscire ad ottenere una revisione e un cambiamento della strategia europea, tanto più che è chiaro che gli interventi della Bce, per quanto utili, anzi indispensabili, non sono in grado di risolvere il problema della ripresa europea.
Tuttavia l'Europa non può rappresentare un alibi per i nostri problemi che sono in gran parte interni e vengono da lontano. Da molto tempo infatti l'Italia soffre di problemi strutturali che si manifestano in una pronunciata fragilità, in una crescita molto bassa, e in una produttività stagnante o addirittura in diminuzione.


Ciò ha provocato un crollo della posizione relativa dell'Italia rispetto agli altri Paesi europei in termine di Pil pro capite che nel 2000 era di 17 punti superiore a quello medio dell'Unione Europea, mentre nel 2015 risultava inferiore di quasi 4 punti.
Il nostro Paese è quello che, dopo la Grecia e Cipro, è stato il più colpito dalla crisi del 2007-08. Abbiamo avuto due recessioni consecutive che hanno ridotto il Pil di circa10 punti: ben peggio di quanto accadde nel 1929! I consumi sono calati dell'8%; gli investimenti e la produzione manifatturiera del 30% (in media !); la disoccupazione è cresciuta fino a raggiungere il 12-13%; le esportazioni hanno recuperato i livelli del 2007, ma tra il 2007 e il 2014 il commercio mondiale è cresciuto del 20%; l'Italia non ne ha beneficiato.
La ripresa è in corso, ma debole. La crescita del 2015 (0,6-0,7%) continua ad essere nettamente inferiore a quella degli altri Paesi europei e della zona euro, ma quel che è più preoccupante è che il rimbalzo dalla seconda recessione è stato nettamente inferiore a quello che si verificò nel 2010, dopo la prima recessione (1,7%). Il Clup (costo del lavoro per unità prodotta) è aumentato dal 2000 al 2014 del 40% rispetto a quello tedesco, dato che esprime in modo chiaro l'entità della perdita di competitività dell'economia italiana. E tale perdita non può essere attribuita a responsabilità sindacali, come in passato.
Recentemente Pierluigi Ciocca ha presentato alcuni dati sull'economia del Mezzogiorno dopo la crisi che sono impressionanti: crollo del Pil del 14% rispetto all'8% del Centro Nord; consumi -13% (-15% quelli alimentari) rispetto a -6%; investimenti -33% rispetto a -24%; disoccupazione: 21%, rispetto a 10%; famiglie in povertà assoluta raddoppiate sia al Centro Nord che al Sud, ma nel Sud rappresentano il 12%, cioè il doppio che al Centro Nord; tra il 2001 e il 2013 la popolazione del Sud ha continuato a ridursi, e l'emigrazione ha riguardato in particolare circa 200.000 laureati. La spesa per opere pubbliche è scesa nel 2014 a 2 miliardi nel Sud, mentre nel 1992 era pari a 10 miliardi; essa è invece di 11 miliardi nel Centro Nord...


In sostanza, l'economia italiana si trova in condizioni molto precarie che solo in parte dipendono dalla crisi finanziaria e dall'Europa. Di queste questioni sarebbe opportuno discutere in modo franco ed aperto, dicendo la verità al Paese e indicando una via percorribile di miglioramento, dato che una soluzione
immediata di tutti i problemi non è possibile. Ma ciò non avviene.
I nostri problemi sono peraltro noti: illegalità diffusa (corruzione, evasione fiscale, malavita organizzata, clintelis
mo nepotismo, affarismo, traffico di influenze, ecc.) che rappresenta l'ostacolo principale alla ripresa; imprese troppo piccole e quindi poco interessate ad investire, in particolare in ricerca e sviluppo; sistema giuridico obsoleto, soprattutto quello relativo alla regolazione dell'economia; burocrazia paralizzata e vittima del diritto amministrativo e cioè di una visione organicistica del settore pubblico che continua a prevalere; sistema educativo in crisi (università) o da rivedere; carenza di infrastrutture e di investimenti pubblici; diseguaglianza elevata e in aumento; poca concorrenza e ampie posizioni di rendita, ecc.
Una strategia utile per affrontare coerentemente queste questioni nel corso degli anni manca; così come manca la consapevolezza dei problemi da parte della classe politica nel suo complesso, e si continua a voler gestire una situazione estremamente deteriorata con elargizioni a specifiche categorie, ottimismo di maniera, cercando consenso a breve fino alla successiva elezione.
Non che politiche alternative siano agevoli e facilmente disponibili. Ma una strategia alternativa di massima può essere prospettata.

Eccone i nove punti:
1) Porsi come obiettivo di finanza pubblica a livello nazionale la sola riduzione del debito pubblico, e combattere per una politica espansiva a livello europeo.
2) Utilizzare tutti i margini di flessibilità europei per eliminare definitivamente la clausole di salvaguardia.


3) Prendere atto del fatto che ciò che è importante è ridurre le tasse alle famiglie e alle imprese che oggi le pagano correttamente, e non ridurre la pressione fiscale complessiva, dati i vincoli di bilancio esistenti, il che implica la necessità di recuperare evasione da destinare alla riduzione delle imposte: le proposte (avanzate da chi scrive) esistono da molto tempo, il governo ne ha accolte alcune (quelle meno incisive) ma esita su altre.
4) Farla finita con una politica fiscale che tra bonus vari, incentivi, detassazioni settoriali o mirate, ecc. insegue i peggiori istinti delle lobby e del Parlamento e distrugge ogni logica di coerenza del sistema fiscale.
5) Utilizzare ogni altra risorsa residua per spese di investimento ad alto moltiplicatore.
6) Continuare nel processo di razionalizzazione della spesa pubblica a fini di risparmio, ma riprendere le assunzioni (soprattutto qualificate) nel settore pubblico.
7) Impostare una coerente strategia di politica industriale.
8) Affrontare in modo sistematico i problemi strutturali elencati più sopra.
9) Coinvolgere le parti sociali e l'opinione pubblica nel processo perché senza consenso non si riforma nessun Paese, almeno in democrazia.

Vincenzo Visco
LA REPUBBLICA
27/04/2016
www.nens.it/zone/index.php

















































L'Italia è un paese che ormai viaggia a diverse velocità che purtroppo resteranno incolmabili, nel senso che le imprese che stanno dietro hanno come prospettiva la chiusura e quelle che stanno avanti guardano negli occhi a sanno sfidare la Merkel, Obama, Cameron, i cinesi e gli indiani.
Chi è stato in grado, prima ancora che coi soldi con la testa, di perseguire questo disegno ha un futuro e per il resto l'unica prospettiva è la chiusura.
Purtroppo imprese sotto la guida di una proprietà avveduta e moderna ce ne sono poche e non poche di loro sono migrate altrove negli anni passati sfruttando i finanziamenti che l'Ue ha messo a disposizione per i neo membri dell'Ue stessa.
Gli italiani  e lo stato italiano sono  preda  di un sistema imprese in gran parte di piccole dimensioni che non hanno ne capacità ne

organizzazione in grado di competere a livello non diciamo internazionale ma anche a livello Ue.
La spesa pubblica italiana avvantaggia in gran parte imprese che sostanzialmente lavorano senza concorrenza: dai farmaci acquistati dalle ASL passando per l'impresa delle pulizie, quella che fornisce le risme di carta e l'energia per gli edifici. Per non parlare della spesa sociale praticamente del tutto in mano a un sistema di pseudo cooperative che operano in maniera monopolistica e senza alcun reale controllo.
Immaginate un'impresa tedesca che concorra per la manutenzione degli impianti di un comune lumbard? Non se ne parla. Immaginate una cooperativa tedesca che concorre per l'assistenza ai disabili in una scuola  italiana? Immaginate la signora Rosina che chiama un artigiano cecoslovacco per la manutenzione della caldaia a metano? Oppure immaginate un'impresa tedesca che concorra per le riparazioni stradali o la raccolta e smaltimento monnezza di Milano o Roma?.


Al massimo le imprese straniere cercano di mettere le mani sui servizi a tariffa garantita e assicurata: vedi l’acqua potabile.
Chi lavora in certi settori  è automaticamente protetto ed i prezzi se li fanno a livello categoriale: cioè in regime di monopolio. Poi si verifica che il mitico e obbligato controllo caldaia costa 120€ e l'operatore non ti da nemmeno gli estremi dell'assicurazione sui lavori.Un secondo aspetto  della crisi italiana è che nessuno dice alle imprese che fare.
Non nel senso di un mercato diretto dallo stato ma nel senso di un paese che dichiara di perseguire (e finanziare meglio) certi progetti anziché di tutto. I pochi progetti indirizzati vengono agguantati dai soliti gruppi – vedi post EXPO Milano…- e tutto finisce in un casino.
Parliamo di Bagnoli-Napoli? Parliamo del futuro dell’acciaieria e della raffineria di Taranto. E Genova?  E la storiaccia della Caffaro a Brescia? Di scuola il caso fibra ottica dove operano decine di operatori senza un soldi in tasca e

senza un progetto che non sia quello di rapinare a breve i consumatori.
Il terzo aspetto è l'incompetenza delle banche che si accompagna ad una politica di rapina.
Ci voleva l'illuminazione dello spirito santo –alle banche ed agli enti locali- nel decennio successivo al 1997 per comprendere che mettere in cantiere 6-7 milioni di vani di edilizia residenziale presupponeva una crescita demografica impossibile persino per l'India?
Eppure ci hanno scommesso, finanziato e adesso hanno in groppa qualche centinaio di miliardi di debito irrisolvibile.
Nemmeno il fiscal compact del 1997 aveva fatto riflettere banche ed enti locali che sarebbero andati a sbattere.
Questo per concludere che il Paese cresce senza dubbio anche con le forti dose di aspirina di Vincenzo Visco, ma che senza un programma ambizioso, saremo sempre un ruotino di scorta dell'Ue.



























A scuola, quando ci andavamo solo col sillabario e il libro di lettura, la maestra col cucu ci spiegava che la città non era solo un montone di case ma portava dentro di se dei valori «immateriali» che noi non capivamo bene cosa fossero.
Diventati grandi, cioè quando abbiamo cominciato a fornicare, abbiamo capito al volo il messaggio: il valori «immateriali» erano la pizza da asporto, le patatine fritte con la salsa rossa, le brioss col burro CEE.
Da allora oltre che «grandi» siamo diventati «moderni e intelligenti».


 In Piazza Vecchia stai sicuro che alle 13,30 arriva il furgone frigorifero a portare la tagliata al ristorante che brilla per la sua vuotezza. I tendoni sono di una varietà che sfida il catalogo di una ditta specializzata. In un altro puoi cibarti delle brioss fatte col burro stagionato graziosamente messo dentro una gabietta dove invano cercheresti l'uccelletto e invece ci trovi solo le ulive e le patatine messi li dentro al riparo dei rapaci e scagazzoni colombi.
Piazza Vecchia è davvero vecchia e decrepita.


Forse, dico forse, è giunto il momento di prendere qualche provvedimento.
Fermare tutto il traffico dalle 8 del mattino alle 04 di ogni sabato e domenica e festivi. Fermarlo proprio tutto: non può circolare nessuno. Nemmeno la croce rossa, CC, VVUU. Fermi tutti e tutti a piedi entro le mura. Pure una barella col morente si può far correre per 200 metri senza che  questo muoia. Se del caso l’ha voluto il buondio e non si discute.
Secondo provvedimento: svuotare Piazza Cittadella nei due giorni indicati.
Terzo provvedimento: non concedere più nessuna autorizzazione commerciale e programmare di ridurle del 30% entro i prossimi dieci anni.



Caravaggio" attraversano trascinandosi  la valigia rotellata cingolata  e rimbombante come un carrarmato.
Domenica scorsa Città Alta era generosamente sporca per la monnezza sparsa in giro dai visitatori. L'A2A aveva dimenticato che col soap box rally, altro evento di portata planetaria degna di BG  cultur kapital, non poteva salire in città il mezzo per  vuotare i bidoni.
Al sindaco Gori và però riconosciuto che finalmente una-due volte alla settimana vengono «lavati» i sottopassi


Città Alta di Bergamo è ormai diventata una sorta di fiera strapaesana dove atterrano decine di bus che scaricano torme di ignoranti pensionati e sfaccendati studenti cui viene raccontata una Bergamo mezza inventata e viene dimenticata la parte vera. Città Alta è un grande bazar di pizzerie d'asporto, abbigliamento similcinese, ristoranti e bar travestiti da tali che servono piatti improbabili.
In buona sostanza l'unico e sicuro mezzo per fare in fretta molti soldi sia per chi è padrone dei locali sia per chi li ha in affitto. A loro importa nulla se i c.d. «turisti» si fermano un'ora o due ore attraversando la città, insozzandola di qualche pizzetta sbocconcellata (nel senso che te la danno pret a porter già tagliata a cubetti: come si fa col cane).
Dove nel bar che si pretende più lussuoso i gestori ti salutano malgustosi oppure la padrona guarda i clienti come un pitbull.
Ovviamente molti residenti sono proprietari di appartamenti e negozi e vivono comodamente la contraddizione di poter chiedere cifre esorbitanti in affitto improbabile di cineserie travestite da mercanzia cooperativa e la cronica mancanza di parcheggi. Piazza Mercato delle Scarpe è una sorta di rotonda all'uscita BG dell'A4.


Meriterebbe un botox .
Una pavimentazione di mattoni simil gres creati  doppi e poi divisi per risparmiare. Le pareti  dei fabbricati ormai stra-di-lavate. Le lapidi piallate dalle intemperie e dall'SO2. Non si possono togliere e sostituire (in biblioteca ci sono i disegni) come avvenne per i Leoni di san Marco perché qualcuno lo vieta. I colori e gli affreschi ormai tutti amalgamati in un grigio beige uniforme verso lo sporco.
Restaurarli? rifarli? E chi paga?
E i cessi? Dove sono i cessi pubblici in Città Alta?. In effetti ce ne sono almeno due ma  -data la materia scottante- non sono segnalati. In compenso  che l’wifi. Che è sistema per costringere la gggente ad entrare in un bar fare una consumazione e lasciare un deposito infruttifero nel relativo gabinetto.
Lunedi 25 aprile alle 15.30 in ColleAperto sono approdati tre bus dell'ATB; un quarto era fermo per un incidente a un passeggero. Sono arrivati – nello spazio di  venti minuti- altro sei mega bus privati a scaricare la solita torma di pensionati che a sera rincaseranno senza ricordare una virgola di quel che hanno visto. Improbabili guide che hanno imparato sul web illustreranno la città. Boh. 
Centinaia di turisti lowcost approdati all'"International





Quarto provvedimento: in Città Alta a quell'ora si entra esce solo coi bus. Anzi: coi filobus.Quinto provvedimento. 500 metri quadri di aiuole estive nelle tre principali piazze.
Dimenticavo due cose.
Città Alta non ha uno straccio di giardino ma ha una selva infestata di animilli vari in front of Colle Aperto. Intoccabile la valletta: forse per proteggere la fogna che sgorga ai suoi piedi.
Un metropolitana che dall’international Caravaggio sottopassi la stazione, il vialone  e sotto la città alta fino all’alteza di Colle Aperto con tre uscite sulla verticale di Piazza mercato delle Scarpe, Piazza vecchia e Colle Aperto. ‘Na cazzata: chi lo paga?  ‘Nga mia i solcc !.










che gli educati utenti notturni della città usano come latrine in the road.  Adesso ci attendiamo che faccia una strage dei colombi, animale che suscita in noi parecchio odio, ma odio nerissimo per ragioni che facilmente potrete immaginare.
Se la mitica pizzeria d'asporto ante Teatro Sociale può dirsi affollata  meglio del treno BG-MI delle sette-e-trenta, invece i musei, le chiese, le pinacoteche sono spazi molto belli comodi silenziosi.
‘Na fet de che la roba egia le!?
Faga invece u bel residens che almeno al laura la zet.
Musei vuoti.
Semivuoti al 90 per cento. La cultura in Città Alta è una pizza  già fatta a pezzi  per essere data parte al cane e parte al cristiano.
Il balcone del Palazzo della Ragione è «stenditoio culturale» della città: ognuno piazza lo stendardo delle dimensioni e forme che meglio aggrada. Pimpinelli colorati in mezzo alla piazza: qualche volta anche in numero esagerato.
‘Na guera. Una guerra contro le scolaresche perché ‘ste stronzi non spendono  e quindi senti alzarsi il lamento «non ci lasciano tranquilli un momento! mentre dimentica che lui o lei o entrambi hanno affittata quella che fino all’altro ieri era la stalla dell’asino per farne un pub-birreria aperto fino all 4 del mattino. Forse le due.






















Bergamo è una città che da anni si arrovella su una serie di problemi irrisolti: uno stadio e un palazzetto da rifare, una circonvallazione strampalata che non chiude un vero anello attorno all'area urbana, un rondò dell'autostrada che rasenta il ridicolo. Ma Bergamo è anche la città che ha saputo innalzarsi su uno scenario di parziale irrisolutezza creando una realtà che ora la Lombardia e l'Italia le invidiano: un aeroporto fuori dalla porta di casa, che ogni anno è in grado di movimentare una mole di passeggeri pari a dieci volte gli abitanti della sua provincia. Uno scalo che ha come sfondo la meraviglia di Città Alta, cresciuto grazie alla capacità di fare sistema e alla lungimiranza di un manager

come Ilario Testa, e destinato in via obbligata a finire nelle mani dell'imprenditoria blasonata, rappresentata in questa fase da Miro Radici. Ogni successo, però, ha il suo prezzo. Ed è quello che da anni più residenti pagano in termini di decibel, di sveglie date spesso dagli aerei la mattina, con conseguente pacchetto di rabbia e stress. È vero, sono pochi rispetto ai bergamaschi che da anni godono dei benefici dell'aeroporto a due passi da casa, ma che i disagi ci siano è un dato oggettivo. E qualcosa si muove: giusto ieri, sul tema, si è assistito a una prima assoluta. L'agguerrita associazione «Colognola per il suo futuro» ha applaudito un sindaco di Bergamo. È toccato a Giorgio Gori, grazie alla diversificazione delle rotte aeree che il primo cittadino hasottoposto alla commissio-

-ne aeroportuale. Chi, per anni, ha protestato, anche con cortei in centro città e slogan non proprio delicati nei confronti degli amministratori, sembra pronto a dire sì. Dando fiducia a Palazzo Frizzoni che al dibattito ha aggiunto stime sue: con le nuove linee di decollo i disagi si dimezzerebbero. Saranno i fatti a dirlo, nel caso in cui la proposta venisse tradotta in realtà. Ma quante volte ancora si potranno diversificare le rotte? Più l'aeroporto strappa successi e record più appare chiaro che il vero tema, anche per il benessere del territorio, è il suo sviluppo. Davvero Bergamo, e Orio al Serio, potranno permettersi fra 13 anni, nel 2030, un movimento di 100 mila voli all'anno e una mole di viaggiatoriincremen-

-tata di quasi il 50% rispetto a oggi, così come prevede il piano di sviluppo aeroportuale? Una domanda a cui sono le prospettive future a poter dare risposte. La fusione tra Sea e Sacbo e il collocamento di Montichiari sullo scacchiere dei cieli mai come oggi non sono un affare per addetti ai lavori, ma partite che riguardano da vicino il territorio e chi lo abita.

Armando di Landro
Corriere della Sera
30 aprile 2016





























Impossibile sapere alcuni dati fondamentali:
-quanti bergamaschi partono-arrivano
-che destinazione hanno percentualmente
-quanti passeggeri transitano
-numero e percentuale delle destinazioni
-di chi sono le infrastrutture e i servizi  che servono all'aeroporto (trasporti, parcheggi, ristorazione)
-quanti di questi servizi hanno carattere monopolistico (p.e.: un parcheggio privato nei pressi dell'aeroporto è un servizio monopolistico)
-quanti passeggeri “in transito” entrano in città e/o pernottano in città e dintorni.

Un aeroporto è una struttura del tutto monopolistica, perché chi ce l'ha non ha concorrenza. Se poi da dei servizi alle compagnie di minor costi rispetto agli aeroporti vicini, non si tratta semplicemente di concorrenza ma di accentuazione del monopolio.

La proposta del sindaco Gori “suddivisione al 50 per cento dei decolli verso ovest su due rotte :

– una denominata Prnav, che prevede una virata più stretta rispetto all'attuale, e una (la “220″, già utilizzata in passato) in asse con la pista – si associa in questo caso l'ipotesi di inversione dei flussi di decollo e atterraggio per cinque ore al giorno – dalle 11 alle 16– e lo spostamento in fascia diurna di un volo attualmente in decollo notturno verso Bergamo” era già stata avanzata (in parte) l'anno scorso ma alcuni sindaci s'erano detti contrari alla sperimentazione.

Ovviamente sono soddisfatti gli abitanti ad ovest dell'aeroporto e si incazzano quelli ad est. Naturalmente poi ci sono quelli che tacciono ma sanno far valere nei posti che contano le loro ragioni: vedi il maggior consumo di carburante che si potrebbe rilevare nel tempo.
In genere l'atterraggio ed il decollo degli aerei segue la ventosità della zona (decollano controvento) ma questo non è un limite tecnico degli aerei bensì solo una indicazione ed un risparmio.

Il fatto è che questo aeroporto importa  una cifra assai prossima allo zero ai bergamaschi mentre è una macchina da soldi per la proprietà e per le imprese che danno servizi in regime di monopolio.
Costa più il parcheggio del volo aereo: tanto per dirne una.
Anche perché queste strutture pubbliche e private in esclusiva reggono fino a un certo punto, vengono bene ingrassate per essere vendute.

La lezione di Bagnoli o Taranto fino all'ultima di Genova non insegnano nulla. Quante lodi di questi magnifici investimenti che creavano ricchezza alle popolazioni de quo e poi adesso è tutto smantellato e tutto sequestrato e nessuno vuole più?
L'idea di Gori è di una semplicità sconcertante (mal comune mezzo gaudio….) e manifesta la forza di convinzione che hanno gli attori dell'aeroporto nei confronti dei media e della politica (va bene: sono culo e camicia…).

Insieme alla questione ambientale – che non fatta solo del rumore- c'è una questione etica che attiene proprio ai singoli: io sono contento di partire da Orio anche se scasso le orecchie e gaso i cittadini di Azzano e ciao state bene. Che è una  logica  del tutto contraria alla civile convivenza.
Anche stavolta come per altri problemi non basta una buona dose di buonsenso ma occorre che la politica (la politica non l'ARPA) si assuma la responsabilità di fare delle scelte: Orio non può crescere oltre i 20 milioni di passeggeri ogni anno e i movimenti debbono stare sulle due direzioni. Bergamo e Orio al Serio non potranno permettersi fra 13 anni, nel 2030, un movimento di 100 mila voli all'anno e una mole di viaggiatori incrementata di quasi il 50% rispetto a oggi, così come prevede il piano di sviluppo aeroportuale.

Anche perché nessuno sa come sarà il mondo nel 2030.














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Intervista a Lando Hoffman.
Quando sceglie i mercati, Lando Hoffman ha ventisette anni e un dottorato in Scienze matematiche. Corre il 2000. La moneta unica è una realtà. La Germania è la locomotiva d'Europa, e i grandi cantieri stanno ridelineando il volto di Berlino. Da quel momento, la carriera di Herr Hoffman coincide con una fulminante ascesa ai vertici del Gruppo S***.
Nato a Dresda, nella Repubblica democratica tedesca, quarantatré anni fa, figlio di un “funzionario amministrativo” della SED, il partito socialista al potere, si trasferisce all'Ovest subito dopo l'unificazione. La DDR non tarda a sfumare in un ricordo lontano. L'unico futuro possibile è l'Occidente. Hoffman si dedica agli studi di statistica ed economia attuariale all'università di Colonia, conseguendo una laurea a pieni voti con una tesi sul rendimento dei fondi obbligazionari, prima di dedicarsi alla ricerca. Al volgere del nuovo Millennio, la decisione che gli cambia la vita: l'abbandono degli studi e il passaggio a uno dei più importanti colossi assicurativi tedeschi.
Oggi, è considerato un'autorevole voce della comunità finanziaria, capace di coniugare profondità d'analisi e conoscenza della street, come in gergo vengono chiamate le reti degli scambi. Alle pareti del suo ufficio nel centro di Amburgo, campeggiano due volti che sintetizzano la personalità di quest'eccentrico gestore tedesco: il ritratto del matematico Évariste Galois – teorico della risolubilità algebrica delle equazioni e fervente repubblicano nella Francia del primo Ottocento – accanto alla foto del borgomastro socialdemocratico Willy Brandt. Come dire: passione intellettuale e simpatie socialdemocratiche.

Herr Hoffman, la divergenza tra il governo tedesco e i vertici della BCE sembra trascendere la normale dialettica tra prospettive divergenti. Come spiega un confronto così aspro?
La risposta è semplice: i tassi negativi aiutano i paesi debitori danneggiando quelli creditori. A Berlino qualcuno ha deciso che così non va bene. Questa, però, è solo una parte del problema. Parlerei di punta dell'iceberg.

E allora cosa c'è in profondità?
Bisogna partire da lontano, dagli anni Novanta, da quando fondi pensione e assicurazioni tedeschi sono diventati compratori di strumenti obbligazionari con rendimenti elevati. Da allora fino al 2008, questi player di mercato hanno acquistato bond italiani, spagnoli, greci, e anche CDO [strumenti obbligazionari la cui garanzia sottostante è rappresentata da un debito, ndr]. In pratica, le pensioni e i risparmi dei tedeschi erano in gran parte investiti in Paesi problematici dell'area euro e in strumenti a leva. Un sistema circolare all'apparenza perfetto: la macchina produttiva tedesca esportava le sue eccedenze e poi reinvestiva i proventi nei debiti di quegli stessi Paesi. Una sorta di vendor financing internazionale, come quando un'azienda di elettrodomestici finanzia i compratori delle merci che essa stessa produce.

Il migliore dei mondi possibili, quindi…
Diciamo che per noi operatori tedeschi era una condizione ideale. Avevamo tassi alti su cui investire i risparmi generati dalle nostre



eccedenze e una moneta più debole che garantiva la competitività. In un equilibrio fittizio, i debiti pubblici su cui investivamo ci consentivano di generare un extra-rendimento rispetto ai titoli di Stato “domestici” così da garantire ottimi ritorni a pensioni, fondi e assicurazioni in una cornice di cambi fissi, quindi con rischi limitati. Questo meccanismo, però, è stato utilizzato all'eccesso e alla fine si è inceppato.

E perché il problema è emerso in modo così violento alla fine degli anni Zero?
Perché il great crash dei subprime ha fatto crollare il castello. La prima ondata è stata una crisi di mercato che ha coinvolto indici azionari e titoli legati a crediti ipotecari, ma la seconda ha messo in ginocchio gli Stati sovrani e i debiti pubblici. E allora molti gestori tedeschi hanno reagito con liquidazioni massicce di titoli del Sud Europa causando, in concorso con altri investitori globali, cambi di regime e sovvertimenti politici.

Questa è una vecchia storia…
È vero, ma qui c'è la chiave per comprendere il presente, perché da una crisi che potremmo definire “di rigetto” siamo passati a una crisi prospettica. Di fatto, mettendo in sicurezza i debiti pubblici, il Quantitative easing ha tolto ossigeno ai mercati e ha cancellato gli approdi sicuri per gli investitori. Il mercato obbligazionario che conoscevamo è scomparso. Gli attuali tassi negativi ribaltano la relazione tra tempo e rendimento. Ora il gestore fa fatica a restituire la stessa quantità di soldi agli investitori, mentre si rivoluziona il concetto di welfare pubblico e di protezione privata. La crisi è endogena a un sistema, ormai incapace di produrre quelle eccedenze di rendimento vitali per tutto il mondo degli investimenti.

Eppure, c'è sempre il mercato azionario.
Che sta diventando troppo centrale, che si sta trasformando in un centro di gravità permanente per tutta la finanza, e che però non è in grado di assorbire la massa di risparmi in uscita dall'obbligazionario. L'equilibrio dei mercati finanziari era sostanzialmente garantito da una specie di equivalenza tra i risparmi generati dall'aumento delle masse monetarie e gli strumenti del debito. Adesso gli strumenti del debito sono assorbiti dalle banche centrali e quelli che rimangono sul mercato hanno rendimenti spesso negativi.

E a questo punto quali prospettive si aprono per voi gestori?
Se i risparmi si muovono in massa sull'azionario, finiscono per aumentarne a dismisura la volatilità. In questo senso, il 2016 è un anno esemplare, quasi paradigmatico. Tra gennaio e febbraio gli indici azionari globali hanno registrato un meno venti per cento, ma adesso siamo praticamente tornati in pari. La volatilità è destinata ad aumentare ancora in modo esponenziale: forse prenderà la forma di forti fiammate “rialziste”, e molti gestori – in certe fasi – potrebbero sentirsi costretti a comprare facendo entrare i mercati in quell'esuberanza irrazionale che comunemente chiamiamo “bolla”.
Sarebbe un già visto: boom and bust ci sono sempre stati sui mercati.
Non lo metto in dubbio, ma temo che, se il 2008 è stato solo l'antipasto, la “portata principale” potrebbe avere effetti devastanti. 


E allora cosa c’è profondità?

Bisogna partire da lontano, dagli anni Novanta, da quando fondi pensione e assicurazioni tedeschi sono diventati compratori di strumenti obbligazionari con rendimenti elevati. Da allora fino al 2008, questi player di mercato hanno acquistato bond italiani, spagnoli, greci, e anche CDO [strumenti obbligazionari la cui garanzia sottostante è rappresentata da un debito, ndr]. In pratica, le pensioni e i risparmi dei tedeschi erano in gran parte investiti in Paesi problematici dell'area euro e in strumenti a leva. Un sistema circolare all'apparenza perfetto: la macchina produttiva tedesca esportava le sue eccedenze e poi reinvestiva i proventi nei debiti di quegli stessi Paesi. Una sorta di vendor financing internazionale, come quando un'azienda di elettrodomestici finanzia i compratori delle merci che essa stessa produce.

Il migliore dei mondi possibili, quindi…
Diciamo che per noi operatori tedeschi era una condizione ideale. Avevamo tassi alti su cui investire i risparmi generati dalle nostre eccedenze e una moneta più debole che garantiva la competitività. In un equilibrio fittizio, i debiti pubblici su cui investivamo ci consentivano di generare un extra-rendimento rispetto ai titoli di Stato “domestici” così da garantire ottimi ritorni a pensioni, fondi e assicurazioni in una cornice di cambi fissi, quindi con rischi limitati. Questo meccanismo, però, è stato utilizzato all'eccesso e alla fine si è inceppato.

































Comunque non voglio passare per un veggente, siamo sempre nel campo delle possibilità. L'unico dato certo, per ora, sono i tassi negativi. E questo per noi è un problema.

Torniamo alla politica: secondo lei, come si risolverà lo scontro tra il governo tedesco e l'Eurotower?
Semplicemente non si risolverà. Sarà un conflitto permanente. Come l'Italia è sola davanti alla questione del suo debito pubblico, come Francia e Belgio affrontano da sole il terrorismo, e come Roma e Atene sono sole innanzi ai transiti migranti che mettono in discussione le fondamenta stesse dell'Unione, così la Germania resterà sola a misurarsi con i tassi negativi e la deflazione. È un contrappasso inevitabile, è l'altra faccia della medaglia neo-mercantilista. Su questo punto non ci sarà dialogo.  I vertici della BCE sono stati chiarissimi: separazione totale della Banca centrale dalla politica. Questo è il modello monetarista tedesco. L'obiettivo di Francoforte è la lotta alla deflazione in tutta l'area dell'unione monetaria. Non è una funzione politica.

Eppure, da più parti si tende ad attribuire all'Eurotower un ruolo di supplenza politica, attribuendole una visione europeista di lungo termine.
Quel ruolo viene conferito di riflesso. Il soggetto che stabilizza la moneta assume inevitabilmente una funzione politica. Non è colpa di Francoforte se i capitali tedeschi in eccesso non solo non producono rendimenti nel tempo, ma addirittura vengono erosi dai tassi negativi. Il problema è all'origine. Lo diceva Keynes un secolo fa. Una nazione non può avere una bilancia commerciale in avanzo per un periodo prolungato rispetto ai Paesi con cui condivide la moneta. E del resto, se la BCE non avesse stabilizzato l'euro, adesso l'Unione continentale sarebbe solo un ricordo.

Quindi voi gestori di fondi pensione e riserve assicurative siete rassegnati a un mondo di tassi col segno meno?
Siamo davanti a un indubbio cambio di registro, un vero e proprio mutamento di fase o paradigm shift. Adesso non esiste più un free lunch e bisogna preparare la gente a un'erosione dei risparmi o, all'inverso, all'assunzione consapevole di un rischio maggiore. Stagnazione e deflazione ci accompagneranno per un lungo periodo. E allora bisogna adeguare le aspettative.

Ma le previsioni non sembrano rosee neanche per il resto del continente?
È vero, sembrano addirittura peggiori. Ma attenzione: il Sud Europa potrebbe sperimentare grandi ristrutturazioni, per esempio del sistema bancario, e dalle ristrutturazioni emergono sempre buone opportunità. La sfida consisterà nell'estendere queste opportunità a tutti, per non lasciarle soltanto al bacino di estrazione dei fondi speculativi. Come ho letto da qualche parte, la scelta sarà tra la morale e la moneta.




http://www.idiavoli.net/2016/04/27/morale-e-moneta-la-guerra-di-berlino/