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Abbiamo
perso, ma abbiamo perso bene. Noi per principio ci schieriamo sempre a
favore delle periferie versus Roma anche se vorremmo vedere abolite le
Regioni. Nonostante Renzi, nonno Napo Bersani Letta. Alla faccia di
Brunetta Salvini e gli orfani Pentastellati volessero cacciare il Renzi
da Palazzo. 11 milioni di elettori come quelli che hanno espresso la
preferenza per il Pd alle scorse Europee hanno chiesto la chiusura. Il
governo dovrà tenere conto che milioni di italiani hanno un’idea delle
politiche energetiche diverse. Perché se l’economia mondiale ormai
viaggia verso «un altro modello di sviluppo» fatta di stagnazione
permanente è del tutto certo che «anche» l’attuale modello di politica
energetica va rivista nei grandi numeri come nei dettagli.
L'aspetto più interessante é che l'85% di chi ha detto SI va cercato
"anche" dentro le opposizioni e noi siamo convinti che di questi
elettori di CDX e Lega e Sinistra che volevano far le scarpe al
fiorentino, in realtà siano BEN convinti delle ragioni del referendum
piuttosto che delle balle dei loro dirigenti. Come siamo convinti che
la gran parte di loro sia assolutamente convinta che le piattaforme
debbano essere smantellate a fine carriera.
Nonostante le gazzette predichino la magnificenza culinaria delle cozze
che crescono sulle strutture a mare. Perchè il problema é che 3/4 delle
piatta forme (quelle che non estraggono più) vengo no tenute in piedi
per non affrontare le spese e i rischi di smantella mento. Detto questo
in Italia non si vuole affrontare la questione di un Piano
Energetico Nazionale, dove l'ener gia non sia solo un mezzo per
raccogliere brevi-manu i soldi per tirare a campare, ma per regioni
come quelle padane,un'occa sione per sopravvivere nelle stagioni
peggiori.
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Ernesto Galli della Loggia,
Corriere della Sera, 20 aprile 2016
(...)Che tipo di progresso rappresentano le trivellazioni e le pale
eoliche? Certo, avere energia a costi contenuti conviene al Paese nel
suo insieme, al suo progresso. Ma ciò ha un prezzo, naturalmente: e qui
comincia il problema. Dal momento che questo prezzo, lungi dal pagarlo
l'intero Paese, è chiamato a pagarlo, poi, solo una sua parte, il
Mezzogiorno.
Lasciamo da parte infatti i pozzi petroliferi e le trivellazioni del
gas, ma perché non ci sono pale eoliche, tanto per dire, sui Colli
Euganei, nelle Langhe o sulle cime dell'Appenino ligure- piemontese, o
si contano letteralmente sulle dita di una sola mano? Perché in
stragrande maggioranza esse si trovano solo nelle regioni a sud di
Roma? La risposta è che, come ormai testimoniano un buon numero di
inchieste della magistratura, l'attività di lobbying , chiamiamola
benevolmente così, delle società elettriche risulta più «convincente» —
chissà perché — presso gli amministratori delle regioni del Mezzogiorno
che del Centro-Nord. E proprio per questo gli enti locali sono in
genere nel Sud più disponibili a concedere le relative licenze. Cioè a
pagare il prezzo di cui sopra. Perché che si tratti di un prezzo mi
sembra ovvio: pale eoliche, trivelle e pozzi di petrolio non
favoriscono certo la balneazione o il trekking e deturpano
inevitabilmente il paesaggio — basta vedere come sono ridotti luoghi un
tempo amenissimi in specie della Puglia e dell'Abruzzo. Il Mezzogiorno
dunque paga un prezzo, il prezzo. Ma con quale beneficio per le sue
future possibilità di sviluppo? (...) |
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Una
Rai più snella, che avrà meno canali (ce ne sarà uno solo di sport) e
meno edizioni dei telegiornali. Una Rai che diventerà una media
company, trasmetterà su una molteplicità di piattaforme raccogliendosi
intorno a due app fondamentali. Le due applicazioni pilota porteranno
una ai programmi ed una seconda alle notizie. Ecco come l'ad Campo
Dall'Orto descrive la nuova televisione di Stato nel Piano Industriale
che presenterà domani al Consiglio di amministrazione. Il suo Piano
ambizioso è ambizioso, ma deve fare i conti con uno "sbilancio" nei
conti del 2015 che si stima nell'ordine dei 30 milioni.
Le edizioni di Tg1, Tg2 e Tg3 saranno sforbiciate. Le attuali 27 (di
cui 15 principali e 12 più brevi) rappresentano un record europeo e
sono troppe. Circa il 70 per cento delle ore di programmazione sono
coperte da almeno un notiziario o da una rubrica d'informazione. La
misura del taglio sarà decisa - tempo due mesi - dal direttore
editoriale Carlo Verdelli che punterà a valorizzare il ruolo di RaiNews
24. La riduzione delle edizioni non comporterà, in ogni caso,
licenziamenti o prepensionamenti tra i giornalisti che sono 1618
(bilancio 2014). Il Piano industriale ipotizza, semmai, un uso diverso
dei cronisti che non dovranno più fare tutti le stesse cose. In
generale la tv di Stato ha troppi pochi dipendenti sotto i 30 anni ed
anche tra i 30 e i 40. Ma un'operazione di svecchiamento si è già, poco
alla volta, realizzata. Gli over 60 sono una minoranza e, in ogni caso,
resteranno in casa perché non ci sono i soldi per piani di esodo
incentivato.
La Rai - che vuole ridimensionare il genere poliziesco - mette nel
mirino anche l'infotainment. Sono quei programmi o quelle rubriche che
miscelano l'informazione e l'intrattenimento ("Domenica In" è l'esempio
più classico). Da settembre vedremo molto meno questi prodotti ibridi,
che non piacciono per niente all'amministratore delegato Campo
Dall'Orto.
Viale Mazzini ridurrà il numero dei canali, che sono oggi 17. Dopo le
Olimpiadi brasiliane, RaiSport avrà una sola rete (invece di 2). Anche
Rai Scuola può essere sacrificata, se gli accordi con il ministero
dell'Istruzione lo permetteranno. Rai Scuola, attenzione, non verrebbe
oscurata o cancellata, ma trasferita dal digitale terrestre ad Internet.
Internet non è la Serie B, anzi. La tv di Stato ci punta molto e avrà
una sua piattaforma a partire da settembre (sul modello Netflix, ma per
il momento gratuita). L'accesso sarà garantito da due applicazioni
pilota, una per i programmi ed una per le news. La registrazione sarà
obbligatoria. In questo modo la Rai vuole ricavare il profilo dei suoi
clienti, vecchi e nuovi.
Settembre è un mese chiave perché arriveranno nuove scenografie per i
vecchi programmi e soprattutto nuove trasmissioni. Alcune parole chiave
per identificare la missione delle reti. RaiUno: familiare, universale,
in sintonia con il Paese, votata all'impegno civile, con grandi eventi
e i talenti migliori. RaiDue: affidabile ma sorpendente, eclettica ma
anti-conformista, sperimentale ed esploratrice, con un'informazione
agile ed efficace. RaiTre: linguaggi innovativi, immagini d'autore. Rai
Quattro: sfrontata, divertente, giovane, fantasy.
Si punta all'alta definizione di nuova generazione, che sarà realizzata
in 4 anni e mezzo, entro il 2020. Sette partite degli Europei di calcio
saranno già irradiate comunque in ultra HD (grazie all'accordo con
Eutelsat), mentre un canale sperimentale sarà varato nel 2017. Entro
questo Natale, i cameramen troveranno sotto l'albero telecamere tutte
in alta definizione.
Il Piano industriale punta a valorizzare due centri di produzione,
Napoli e Torino. Torino - che dispone di 8 studi tra i 200 e i mille
metri quadri ed impiega circa 400 persone - si specializzerà nei
programmi per bambini e nei cartoni animati. Sia Napoli e sia Torino
dovranno insistere nelle lunga serialità (fiction e format con tante
puntate) che costa meno e può essere esportata all'estero.
Oggi la Rai finanzia 58 film, ne distribuisce 22 e ne acquista altri
10, ogni anno. La nuova strategia per il cinema sarà legata alla legge
in discussione alle Camere e dovrà tenere conto di un nuovo temibile
concorrente (Sky Cinema) che è sceso in campo firmando accordi con
importanti produttori.
Ovviamente ogni riforma ha bisogno di benzina per viaggiare. Il
bilancio del 2015 sarà gravato - si prevede - da un rosso di 30 milioni
(effetto anche dell'acquisto dei diritti di trasmissione degli Europei
di calcio). Una boccata d'ossigeno arriverà, però, dagli entroiti del
nuovo Canone nella bolletta elettrica. Oggi pagano il canone solo 15,5
milioni di famiglie (a fronte di una platea generale di 23 milioni). Ma
i soldi recuperati dall'evasione andranno in parte, nell'ordine dei 150
milioni, alle casse dello Stato. E in ogni caso l'ad Campo Dall'Orto
chiarisce che serviranno dei tagli, dei risparmi e delle efficienze.
(fonte:ANSA)
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Otto
ore di discussione e da questo già si capisce che giornata campale è
stata ieri quella del consiglio di amministrazione di viale Mazzini.
Chiamato ad approvare il piano industriale presentato dall'ad Antonio
Campo Dall'Orto e fin qui tutto bene, unanimità raggiunta («troppo
generico», borbotta qualche consigliere). Nomina doc: Raffaele Agrusti,
già capo delle finanze, diventa pure presidente di Raiway.
La discussione invece si è infiammata (si sentiva gridare dal
corridoio) sulla proposta del direttore editoriale dell'informazione,
Carlo Verdelli, di creare una task force che lo aiuti a coordinare tg,
talk show, infotainement e tutto quanto sia giornalismo in Rai. Come
vice-supervisori ha scelto Francesco Merlo, 65 anni, editorialista di
Repubblica ed ex inviato del Corriere e Pino Corrias, 60, scrittore e
dirigente di Rai Fiction. Diego Antonelli, 45 anni, ora all' Ansa , si
occuperà dell'area digital. In più c'è una mini-redazione di quattro
giornaliste, scelte attraverso il job posting interno: Valentina Dello
Russo (Tgr Basilicata), Cristina Bolzani (Rainews), Frediana Biasutti
(Tg2) e Paola D'Angelo (Esteri Tg2).
Da un pezzo i consiglieri si sentono emarginati, sopportati. Ieri, di
fronte al pacchetto di nomine «chiavi in mano» di Verdelli, Franco
Siddi, area Pd, se n'è andato sbattendo la porta. Poi è tornato, per
ribadire la sua contrarietà: «Sono candidature di valore, ma la scelta
andava meditata e condivisa, qui non c'è riguardo». E un'obiezione
sostanziale: «Merlo è un pensionato e non può essere assunto da
un'azienda pubblica». Contrario anche Arturo Diaconale, centrodestra:
«Professionalità indiscutibile, però Merlo è un nome troppo schierato».
Nemmeno l'onorevole dem Michele Anzaldi della Vigilanza è entusiasta:
«Siamo amici, ma proprio ieri Merlo ha scritto un pezzo contro mezzo
Pd». E prevede instabilità aziendale: «Sono vertici deboli, in Rai ti
tritano per molto meno». No del sindacato Usigrai: «Infornata di
esterni, un insulto».
Intanto pare che per Lilli Gruber si avvicini il ritorno. Una prima
serata su Raiuno, dopo il tiggì, allo stesso orario di Otto e mezzo ,
ora su La7. Mentre Bianca Berlin guer, che lascerà, non proprio di sua
sponte , la direzione del Tg3, vorrebbe tenersi la fascia notturna. A
Raitre balla ancora la condu zione di Ballarò, confer matissimi Fazio e
Sciarelli, idem Gabanelli e Annunziata, già blinda te per la prossima
stagione.
Rivoluzione per Rai news 24 che avrà un palinsesto e diventa una vera
rete. Antonio Di Bella (ieri ha fatto anticamera per 4 ore, causa
riunione fiume) condurrà un programma tutto suo: Telegram , 10 minuti
di racconto della giornata, alle 19.30.
Giovanna Cavalli
Il Corriere della Sera
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Giannini,
Merlo, Verdello, Romagnoli, Marzano, Fubini e certamente avrò
dimenticato qualcuno in quella che è una vera e propria fuga da Largo
Fochetti, sede romana del quotidiano LaRepubblica.
Qualche domanda io me la farei. Poi non so, ecco se sia tutto normale.
Perché tutto questo succede a cavallo della improvvisa dipartita del
direttore Ezio Mauro, dell'arrivo del nuovo direttore Calabresi da La
Stampa.
Ieri il Gruppo editoriale l'Espresso, che pubblica il giornale, e la
Itedi, editrice de La Stampa e de Il Secolo XIX, hanno unito le loro
forze in un accordo che porterà il nuovo aggregato a controllare il 20%
circa del mercato italiano della carta stampata, con una posizione di
leadership sul mercato digitale.
L'operazione prevede che sia il gruppo L'Espresso a incorporare Itedi
in una fusione che, secondo i dati di bilancio del 2015, porta il nuovo
aggregato a registrare un fatturato di 750 milioni di euro con la più
alta redditività del settore, senza alcun debito. L'unione tra i
quotidiani e i periodici dei due gruppi già oggi può contare nel suo
insieme su circa 5,8 milioni di lettori e oltre 2,5 milioni di utenti
unici giornalieri sui loro siti d'informazione. Con le testate che
manterranno piena indipendenza editoriale e Monica Mondardini, attuale
ad di Cir e Gruppo Espresso, alla guida operativa della nuova società.
Sempre di poche ore or sono anche la notizia che la Mondardini andrà
(anche) agli Aeroporti di Roma.
La fusione tra i due gruppi GeE-Itedi avverrà sulla base di concambi
che dovranno essere approvati dalle rispettive assemblee, ma in base ai
range già stabiliti nell'accordo appena annunciato Cir, holding
industriale della famiglia De Benedetti che oggi controlla il Gruppo
Espresso, avrà una quota superiore al 40% del nuovo gruppo. Mentre Fca
(FiatChryslerAutomobiles), che oggi ha in portafoglio il 77% di Itedi,
deterrà il 16% circa dell'aggregato con la famiglia Perrone che
continuerà a essere azionista di minoranza con una quota pari al 5%.
Il gruppo Exor-Fca esce da Rcs Mediagroup dopo quarant'anni di presenza
stabile tra le fila dei soci. Lo storico passaggio è la prima,
immediata, conseguenza della nascita del nuovo gruppo editoriale frutto
dell'integrazione tra Itedi e il gruppo L'Espresso (che controllano
rispettivamente Repubblica e La Stampa-Il Secolo XIX), operazione che
porta con sé anche il riassetto degli equilibri proprietari nel suo più
diretto concorrente, la società che edita il Corriere della Sera. Come
comunicato ieri nell'ambito dell'annuncio dell'asse editoriale tra la
famiglia Agnelli e la famiglia De Benedetti, Fca distribuirà ai propri
soci l'intera partecipazione detenuta in Rcs Mediagroup (16,7%).
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I
lettori di LaRepubblica da un lato possono dirsi contenti di
avere contribuito con la loro fedeltà nell'acquisto e nella lettura dl
quotidiano al suo successo ed alla creazione sia di un polo
editoriale leader nella carta stampata e nel digitale, come della
creazione di una classe di giornalisti generalmente al di sopra delle
media della concorrenza che oggi sono chiamati ad incarichi
importanti nella PRIMA industria culturale e dell'informazione
italiana: la RAI.
La soddisfazione non viene però temperata dalla perdita di autorevoli
firme ed “uomini” che non solo hanno contribuito di per se ma che hanno
anche contribuito a costruire una redazione fatta da intellettuali
esterni al giornale di grande valore nella cultura e nella
politica nazionale e oltre.
Il pericolo paventato non è solo quello del sentirsi orfani ma
soprattutto, con la fusione col gruppo Itedi, di perdere una
originalità che è poi il valore aggiunto per cui si legge Repubblica
piuttosto che Corsera.
Adesso poi c'è da vedere come si concretizza la proposta di Cairo-La7
di acquistare il Corrierone assieme a tutto il bailamme tra Mediaset,
Telecom, Vivendi, Sky, Enel, la fibra ottica ecc. ecc.
Tenendo conto che il prossimo decennio - ventennio sarà di pura
sopravvivenza economica del paese e dell'Europa in generale con una
crescita economica modestissima dappertutto tutto il settore della
produzione informazione e cultura e della loro trasmissione risulta
sovradimensionato soprattutto come numero di operatori e quindi ancora
in fase di forte ristrutturazione.
Pensiamo vada nella direzione della creazione di forti gruppi in grado
di produrre informazione, cultura, intrattenimento (RAI,
Mediaset, SKY, Vivendi, Catteleya, Universal…) e di pochi gruppi
(Telecom, Enel, Eutelsat,…) che vendono il servizio di trasmissione
degli stessi.
La miriade di operatori (doppino, wifi, satellite, fibra) deve
riaccorparsi in gruppi più forti così come l'offerta informativa
intrattenimento film e cultura vanno verso un incremento di operatori
specializzati che vendendo il loro prodotto, possono, noleggiando il
servizio di trasmissione, porsi-proporsi sul mercato.
Insomma dopo il far west dei primi anni, viene il momento della specializzazione per ciascuno nel proprio settore.
E la RAI con tutti questi ingressi di “repubbliconi”?
E' stato un errore. La RAI doveva pescare parecchi dirigenti e
giornalisti in ambito europeo e mondiale un po' di gente in grado di
farla diventare davvero la bandiera dell'Italia nel mondo.
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Ho
parecchi dubbi che l'ambizioso “migration compact” di Renzi dia qualche
risultato al problema. Sono idee che abbiamo letto molti anni or sono
predicate quando l'Europa aveva o sentiva ancora qualche colpa verso
l'imperialismo che aveva praticato nei confronti del Terzo Mondo dove
aveva incarcerato e scannato e fucilato qualche milione di cristiani.
Intesi sia come battezzati che come uomini venuti al mondo.
Basta vedere cosa succede in Libia o in Egitto o in Arabia Saudita in
queste ultime settimane dove c'è un via-vai di capi di stato e
governo per combinare affari di ogni genere che hanno sempre come base
lo scambio energia versus armamenti. Poi sono accompagnati anche da
altri affari sia per interessi di stabilità interni di quei
despoti nei rispettivi paesi sia perché pure le nazioni europee hanno
un disperato bisogno di fare (magri) affari con quei paesi: dalla
sistemazione della diga di Mosul ad una metropolitana in Egitto o
Arabia.
Affari magri perché col petrolio (e il gas) a 30 dollari/barile,
bisogna raschiare il fondo dei giacimenti per mantenere quei paesi,
soprattutto quei criminali despota che li governano e li rapinano.
Per andare a regime il piano di Renzi ha bisogno di fatti eclatanti ma
in due tempi differenti. Prima di tutto c'è da finanziare in qualche
modo (senza che la spesa diventi debito dello stato) il costo
dell'accoglienza dei migranti nelle nostre terre. Poi gli effetti degli
investimenti finanziati coi bond europei nei paesi di origine dei
migranti hanno lunghissimi tempi di attuazione – dieci, quindici anni
almeno…- e non è detto che riescano visto che quei paesi sono devastati
da numerose bande che hanno come scopo principale sopravvivere il più a
lungo possibile per saccheggiare le risorse di casa propria e
nasconderle altrove.
Non crediamo alla favola dei capi ISIS che non si stiano infagottando
di pacchi di risorse sottratte sia ai paesi occupati che ai
residenti.
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E non lo crediamo nemmeno per il ras Alsisi o quelli dell'Arabia Saudita o del centro Africa.
Va detto che l'idea tedesca di utilizzare il calo del prezzo dei
carburanti (per il basso prezzo del petrolio) per trovare risorse da
destinare alle spese immediate dei migranti ha una sensatezza
squisitamente TeTesca del ministro tedesco delle Finanze
Schaeuble non fosse che semmai il prezzo dei carburanti dovrebbe
ridursi di almeno mezzo euro pro litro dappertutto.
Il nodo resta alla fine il solito: lo scambio armi-energia (tra paesi
ricchi e paesi poveri) e la copertura che l'Europa da ai vari
delinquenti perché gli affari con loro reggono buona parte della nostra
fragile economia.
Sarebbe il caso piuttosto di sfruttare gli attuali bassi prezzi del
petrolio (e del gas) perché attraverso una forte solidarietà tra i
paesi dell'Ue si attuasse un politica di alleggerimento dei nostri
rapporti coi paesi produttori, stavolta si in cambio –esplicito- di una
maggiore democrazia ordine e benessere di quelle genti.
Ascoltare Alsisi che dichiara che il delitto Regeni non può
essere letto come un evento in un paese europeo perché l'Egitto sarebbe
al centro di una aggressione internazionale, vuol dire non solo
ascoltare una confessione di colpa indiretta, ma prendere atto che con
quei paesi si deve “trattare” in maniera differente dal passato.
Il fatto è che il rinvenimento di Zohr 1X dove ci sarebbe un
potenziale di risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas in posto
(5,5 miliardi di barili di olio equivalente) assieme alla presenza
italiana in Libia ci fa il principale attore energetico del
Mediterraneo e i nostri “amici” franco-inglesi che già ci hanno
abbattuto un aereo sul Tirreno, sono sicuramente assai felici
dell'evento.
Oltre al fatto che sicuramente Alsisi non è uno stinco di santo ma anche noi italiani
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siamo
messi meglio: intanto che facciamo i peli del culo agli egiziani per il
caso Regeni noi qui assolviamo a rotta de collo i vari assassini di
Uva, Giuliani, Cucchi, Aldrovandi, Pinelli, loro resteranno per sempre
morti di niente. Dove sta la coerenza nel cercare giustizia per chi
viene ucciso fuori e negarla a chi viene ammazzato in casa? Il
nostro apparato governativo e militare è più legittimato? Se ammazziamo
noi vale zero?
Conclusione del sermone. Che i 500 milioni di europei non siano in
gradi di accogliere i pochi milioni di immigrati del MO e CentroAfrica
ci sputtana a livello planetario. Che 500 milioni di europei non
sappiano modificare la propria scaletta energetica per ridurre al
minimo lo sfruttamento delle risorse fossili provenienti dal MO e CA in
una llllllunga stagione di crisi economica non mi fa ben sperare.
Sulle migrazioni l'Ue ragione col metro degli affari (che non è gradevole scrive nero su bianco).
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L'idea
di spedire a 7 milioni di italiani una busta arancione con la simula
zione della pensione è una di quelle degne di passare alla storia
per la sua idiozia. A riceverle, nel corso del 2016, saranno i
lavoratori privati, che potranno visionare da subito il loro estratto
conto contributivo e una simu lazione di base della loro pensione
futura. Il progetto punta ad esten dere in futuro l'invio della busta
arancione anche a circa 1,5 milioni di dipendenti pubblici, che
riceveranno le informa zioni sulla propria pensione insieme al cedolino
dello stipendio.
Basta dare un'occhiata ai social per capire che questa previsione
dell'Inps secondo cui i trentenni di oggi andranno in pensione a
settantacinque anni, sempre che abbiano avuto la fortuna di trovare un
lavoro, ha gettato nel panico una intera gene razione. Ed è un problema
che deve preoccupare il presidente del consiglio. Non solo perché
l'irri tazione di una intera generazione, già alle prese con il
precariato, potrebbe crescere a livelli preoc cupanti.
Al di là dei calcoli che sono contenuti nel buste aran cioni e che,
come precisato da più parti, sono meno che poco attendibili in quanto
basati su ipotesi di crescita stabile del Pil e di continuità della
carriera lavorativa, quello che lascia attoniti sono lo stupore a
l'allarme che essi generano quando ipotizzano pensioni più basse ed età
del ritiro più elevate che nel passato. Ciò era implicito non solo
nell'ultima riforma Fornero, ma già nella riforma Dini del 1994 che
dichiarò la morte del sistema retributivo e il passaggio progressivo a
un contributivo puro.
Tutte le riforme fatte da allora fino all'ultima del 2011 hanno avuto
lo scopo ben dichiarato di ridurre il cosiddetto “tasso di
sostituzione” che indica la percentuale del reddito derivante dalla
pensione rispetto al reddito che si aveva immediatamente prima e i
calcoli delle buste arancioni non fanno altro che prendere atto del
fatto che con il passaggio dal sistema retributivo a quello
contributivo tale fattore scende.
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Scende
regressivamente, cioè la riduzione è più alta per i redditi bassi e
diminuisce progressivamente con il salire dei redditi fino a invertirsi
di segno per i redditi alti che, dal contributivo puro saranno
beneficiati rispetto a quanto avevano con il sistema retributivo.
Questo effetto è dovuto alla regressività del vecchio sistema retribu
tivo che riduceva i coefficienti di calcolo della pensione per ogni
anno di anzianità in funzione dell'aumentare del reddito.
In parole povere – ma ciò era arcinoto a tutti – il sistema retributivo
aveva in sé una componente assistenziale che era molto alta per i
redditi bassi e medi e diminuiva con il reddito fino a generare, per i
redditi alti, una pensione inferiore a quanto avrebbe dovuto erogare un
sistema comple tamente previdenziale.
Le varie riforme, implici tamente, hanno voluto tagliare queste forme
di assistenza che erano di venute economicamente insostenibili per la
massa degli assegni coinvolti e che erano anche im motivate dal punto
di vista assistenziale quando a beneficiarne erano (anche) evasori
contributivi.
Con poche e basiche no zioni di calcolo attuariale e disponendo dei
contributi che ciascuno versava anno per anno, sarebbe stato possibile
a chiunque conclu dere rapidamente che le uniche due alternative
possibili sarebbero state una pensione molto più bassa che con il
sistema passato oppure la conti nuazione dell'attività lavorativa fino
a età molto avanzata.
Tutto ciò non si scopre oggi con le buste arancioni e, casomai,
piuttosto che stu pirsi occorre capire come ciò si collochi nel duplice
scenario previdenza /assistenza e quali eventu ali rimedi siano
possibili.
Dal punto di vista squisitamente previden ziale il nuovo sistema non fa
una piega: tanto puoi versare (o, per gli evasori contributivi: decidi
di versare), tanto avrai di pensione;
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tanto più a lungo decidi (o: puoi) lavorare, tanto più alta sarà la tua pensione.
Spedire una pseudo -notizia del genere ad una massa abituata a fare
sempre la vittima quand' anche si martella da sola le dita vuol dire
creare e crearsi solo inutile caos.
Il cantiere delle pensioni è sempre aperto. Il primo cretino del
Parlamento che passa si sente in diritto di trattare l'argomento
che però riguarda sempre “gli altri”. Perché quando hai fatto una
legislatura ti sei guadagnato una sostan ziosa integrazione della
pensione e se ne fai due, stai sereno per il resto della vita.
Non così per chi non è del Palazzo.
Gli Italiani non hanno bisogno di sapere a 50 anni le proprie
prospettive pensionistiche perché –anche con la migliore buona volontà-
non potrebbero rimediare una vita in cui hanno pagato e gli hanno
versato pochi contributi.
Perché a mio avviso, per quanto fantasioso e difficile ciò possa
sembrare, l'unica via possibile per disporre domani di una “buona”
pensione è quella di un incremento significativo (non frazioni
decimali, ma punti interi e copiosi) e stabile del Pil che allarghi la
base contributiva e consenta di mantenere un gettito fiscale adeguato
mentre si riducono le aliquote ai redditi più bassi. Ciò imporrebbe un
radicale cambiamento di attitudini, equilibri tra i poteri, visioni e
regole, che non si vede all'orizzonte.
Un altro aspetto che mi colpisce della discussione di questi giorni nel
combinato “busta arancio ne e previsioni” per molti di andare in
pensione alla bella età di 75 anni è che nessuno si pone mai una
domanda: per esempio la ricchezza mobiliare (conti correnti, azioni,
titoli di Stato, polizze, fondi comuni) delle famiglie italiane è
salita a 3.858 miliardi a fine 2014, cre scendo di 400 miliardi dal
2011. E di certo il record è destinato a incrementarsi. La cifra
imponente quella del debito pubblico –sono verso i 2300 all'attualità-
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che
è però solo la metà dell'intera ricchezza finan ziaria posseduta
dagli italiani. Alla fine di marzo 2014 , ciascun italiano dete neva in
media poco più di 65mila euro di attività finanziarie. I francesi e i
tedeschi si fermavano ad una dispo nibilità media pro-capite pari a
circa 63mila euro, gli spagnoli si dovevano accontentare di 40mila
euro. Ma le medie sono ingannevoli, sono co me i polli di Trilussa. In
Italia il 10% più ricco della popolazione detiene il 50% della
ricchezza comples siva. Di quei quasi 4.000 miliardi di patrimonio sui
conti correnti, nei fondi comuni, nelle polizze, impiegati in Borsa e
in Btp ben 2.000 miliardi sono appannaggio di 2 milioni di famiglie
italiane sui 20 milioni di nuclei familiari. Ricchezza tanta ma
ineguale, quindi. Sta di fatto che capitale investito in titoli e
contanti per oltre due volte il Pil e per il doppio del debito pubblico
italiano dice che ci sono davvero due Italie. Quella che lotta ogni
anno con Bruxelles per far quadrare i conti pubblici a livello europeo
e quella che ha passato indenne la crisi. E tutto questo mentre
altre informazioni ci dicono un evasione fiscale e contri butiva che
s'aggira ogni anno sui 90-100 miliardi e riguarda essenzialmente
l'IVA, seguita dall'IRAP e dall'IRPEF.
Chiaro quindi che in questo quadro, fatto di poche e sicure
pennellate, conti nuare a discutere dell'am montare e di
previsioni in ordine alle pensioni è un “parlare d'altro” che mira a
mettere nel sacco soltanto i piccoli e i poveri.
Col sovrannumero che molti di loro votano proprio per le formazioni
politiche che difendono evasori e quelli che vogliono scipparci pure le
poche marchette versate. Dall'italiano medio non si sradica mai l'idea
che fare il furbo è un diritto.
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Dal
3 al 15 marzo si sono tenute, in una Pechino coperta da una coltre di
polvere plumbea, le two Sessions, (liǎnghuì 两会), le sessioni plenarie
del Parlamento e della Conferenza Consultiva Politica del Popolo
Cinese. Questo importante appuntamento rappresenta il volano che dovrà,
stimolando la forza motrice e rilasciando energia (pulita!), assicurare
la tenuta della potente macchina cinese, per compensarne le
oscillazioni, rendere uniforme lo sviluppo e realizzare obiettivi
sempre più ambiziosi, riflessi più che mai nella geopolitica di tutti i
continenti.
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Elisabetta Esposito Martino
Sono nata nello scorso secolo, anzi millennio, nel 1961. Mi sono
laureata in Scienze Politiche, Indirizzo Internazionale, presso La
Sapienza con una tesi sul consolidamento della Repubblica Popolare
cinese (1949 – 1957); ho conseguito il Diploma in Lingua e
Cultura Cinese presso l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo
Oriente di Roma ed il Perfezionamento in Lingua Cinese presso l’ISMEO.
Sono stata delegata italiana per l’International Youth culture and
study tour presso la Tamkang University Taipei, e poi docente di
discipline giuridiche ed economiche. Ho lavorato come consulente
sinologa e svolto attività di ricerca. Ora lavoro in un ente di ricerca
e continuo la mia formazione (MIP Business School del Politecnico di
Milano e dalla SDA Bocconi School of Management, Griffith College
di Dublino e Francis King School of English di Londra). Ho
pubblicato sull’”Osservatorio Costituzionale”, dell’associazione
italiana dei costituzionalisti (AIC) , su “Affari Internazionali”
e su “Mondo Cinese”.
Dopo aver sfaccendato tra pappe e pannolini per quattro figli, da
quando sono cresciuti ho ripreso alla grande la mia antica passione per
la Cina, la geopolitica e le istituzioni politiche e
costituzionali. Suono la chitarra, preparo aromatici tè ma non mi
sveglio senza… il caffè!
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STRUTTURE PIRAMIDALI –
L'apertura dei lavori del Comitato Nazionale della Conferenza
Consultiva Politica del Popolo Cinese ha preceduto di un paio di
giorni, come da prassi, l'avvio della quarta sessione plenaria della
XXII Assemblea Nazionale del Popolo, vertice di una piramide di
assemblee popolari articolate in più livelli, che ha deliberato i
target del XIII Piano quinquennale per il 2016-2020, già discussi in
seno al CC del PCC. Il Comitato Nazionale della Conferenza ha formulato
molteplici proposte, sostanzialmente recepite dal Parlamento, in
interazione dialettica con l'organo consultivo che, dal 1945 al 1949,
svolse funzioni legislative e che, da allora, riunisce le diverse
formazioni politiche della Repubblica Popolare, che non è mai stata
formalmente a partito unico, ma lo è sostanzialmente per il ruolo di
direzione che il PCC svolge. Si è confermata anche quest'anno l'estrema
importanza, nella vita politica e sociale dello stato, delle Liǎnghuì
per una costruzione socialista moderna, la tutela dell'unione e
dell'unità dello Stato, come recita il preambolo della Costituzione
cinese vigente e come i vertici governativi non cessano di ricordare.
QUESTIONI CHIAVE –
Le questioni sul tappeto hanno toccato i gangli vitali dell'apparato
sociale, economico e politico della RPC, con rilevanti ripercussioni
per la politica estera. Il Governo, assecondando la globalizzazione e i
processi di integrazione sovranazionale, aspira al cambio di governance
dei mercati internazionali attraverso una stabilizzazione della
crescita economica, che, per alcuni versi, riecheggia le teorie
reaganiane in quanto rivolta all'offerta. Per la prima volta viene
fissato un obiettivo flessibile del tasso di crescita, compreso in un
range tra il 6,5% ed il 7%, che deve permettere alla Cina non
solo di scongiurare il sempre paventato hard landing, ma soprattutto di
puntare sul miglioramento qualitativo, sostanza della nuova normalità,
di tagliare il debito, di riformare le imprese di Stato e di regolare i
mercati finanziari.
LE VIE DELLA SETA – Lo sviluppo può consolidarsi solo in una
prospettiva di lungo periodo e di massima apertura, mai concepita prima
in maniera così forte, dando un ulteriore input all'OBOR (One Belt One
Road), intreccio della storica Via della Seta con la Maritime Silk Road
del nuovo millennio, per tessere un nuovo regionalismo multilaterale,
che
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potenzialmente
coinvolgerebbe un'area che rappresenta il 55 % del PIL del mondo, il 70
% della popolazione mondiale e il 75 % delle riserve energetiche
conosciute, e
che viene trasfuso in una vasta gamma di accordi per uno stanziamento
di circa 40 miliardi di dollari.
Ma la strategia va molto oltre, fino al cuore dell'Europa, attraverso
la costruzione di stretti legami con i suoi Paesi orientali (come il
Presidente cinese ha sostenuto nel viaggio di fine marzo nella
Repubblica Ceca), in un network di cooperazione che si sta estendendo,
attraverso ingenti investimenti su progetti a basso rendimento in Paesi
ad alto rischio, a tutto il mondo post-occidentale, che la Cina aspira
a guidare, distribuendo 50 miliardi di dollari per la nuova Banca
Asiatica di investimento per le infrastrutture (AIIB) e 10 miliardi per
Nuova Banca di Sviluppo, guidata dai BRICS.
UNA CINA GREEN –
La normalizzazione dello sviluppo procede attraverso una
riqualificazione in senso innovativo, fondata su una economia green ed
ecosostenibile, implementando la lotta all'inquinamento, diminuendo i
consumi di energia del 15% e le emissioni di CO2 del 18% rispetto al
2015. In quest'ottica sono previste politiche industriali nuove,
soprattutto nei settori siderurgico e minerario, sferzati da importanti
crisi di sovraccapacità ed oggetto di profonda riconversione
(soprattutto per le aziende statali altamente improduttive, definite
zombies companies). Nel corso del viaggio di Xi Jinping in Medio
Oriente e Nord Africa molto spazio si è dato all'approvvigionamento di
risorse energetiche(proprio per non attingere alle risorse inquinanti
interne) e per l'uso dell'energia nucleare in una cornice protetta,
come emerso anche al Summit sulla Nuclear Security.
PROBLEMI SOCIALI – Le nuove politiche economiche, che prevedono tagli
per 1,8 milioni di posti di lavoro 'nei settori del carbone e
dellacciaio, dovranno però tener conto dei riflessi che impattano
pesantemente sul tessuto sociale e richiedono il varo di solide
politiche di welfare state per attenuare le troppo stridenti
disuguaglianze, che conducono a proteste sempre più diffuse,
sintomatiche di un disagio in espansione. È previsto lo stanziamento di
massicci fondi (si parla di 100 miliardi di yuan) per il ricollocamento
dei lavoratori in altri ambiti, soprattutto metropolitani, a seguito
del sorpasso storico dei cinesi stanziati in città su quelli residenti
in aree rurali, prevedendo però l'hukou urbano solo per il 45% della
popolazione totale. Il XIII Piano quinquennale fonda la fattibilità su
un postulato: la profonda riforma del sistema di registrazione, che
consentirà anche alla popolazione proveniente dalle campagne di poter
consumare senza preoccupazioni il proprio reddito in quanto, potendo
fruire pienamente dei servizi pubblici, sarà possibile un'inversione di
tendenza della tradizionale propensione al risparmiodelle famiglie
cinesi.
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Le
riforme sono quindi avviate, tra molte contraddizioni, in un Paese
flagellato ancora dalla povertà, che avviluppa più di 70 milioni di
cinesi nonostante la forte crescita dei salari e del reddito delle
famiglie. Il Piano appena approvato si focalizza pertanto non tanto
sugli investimenti e l'export (che comunque supereranno i 600 miliardi
di dollari), quanto sui servizi e suiconsumi interni, prevedendo un
aumento notevole dei fondi destinati alle politiche educative e
alla sanità, fissando un obiettivo ambizioso: il raddoppio entro il
2020 del PIL pro capite e un aumento di 6 punti percentuale del settore
servizi, che pare da una parte in continua ascesa. Si tenterà anche
diabbassare il tasso di disoccupazione, ora intorno al 5,1%, ma
probabilmente calcolato per difetto, creando posti di lavoro per un
futuro dinamico, di benessere condiviso tra i nuovi attori della
globalizzazione, afflitti da enormi disparità interne.
CHIUSURA DELLE SESSIONI – Li Keqiang, nella conferenza di chiusura
delle due Sessioni, ha sostenuto che il malfunzionamento dell'economia
reale rappresenta il maggiore rischio per una reale stabilizzazione
della Cina, inserita in un contesto di crescita globale ancora fiacca e
di una inquietante mutevolezza del quadro geopolitico. Inoltre, il
Governo deve procedere con il riaggiustamento strutturale attraverso
radicali riforme, che passano anche per i mercati finanziari,
soprattutto dopo i recenti crolli di borsa, che hanno diffuso il timore
di una svalutazione dello yuan da cui deriverebbe una ancor maggiore
volatilità dei mercati globali. In questa ottica si collocano sia
il taglio dei tassi di interesse che le riduzioni mirate alle aliquote
di riserva imposte alle banche, al fine di creare un legame proficuo
tra l'economia reale e le istituzioni finanziare, sfidando la
supremazia del dollaro da una piattaforma più solida, ancorata
all'information technology, che sta dando amplio contributo
all'informazione e alla crescita, oltre che alla lotta contro il
terrorismo internazionale, arrivato alle frontiere cinesi.
LE PROSPETTIVE FUTURE –
Emerge così una progettualità nuova, da grande potenza né aggressiva né
egemonica, che sta cercando di inserirsi nell'attuale ordine
internazionale, dirigendolo verso nuovi confini, come appena delineato
nel corso del China Development Forum 2015 (CDF2015) che, dal 2000, si
tiene nella capitale cinese, e riunisce un numero sempre più
consistente di delegati di Governi ed organizzazioni internazionali,
studiosi di fama mondiale e rappresentanti delle imprese più
competitive. L'impegno che il Governo cinese si prefigge, corollario di
quanto emerso nel corso delle lianghui, è quello di lavorare per
raggiungere non solo una società moderatamente prospera in Cina, ma di
esportare un po' di benessere sulle strade tracciate dalla Via della
Seta fino ai confini del mondo, seppur tra mille dubbi e incertezze.
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