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193-16 aprile 2016




















Quel discolo del Renzi ha rotto il giocattolo con cui s'erano trastullati per cinquant'anni deputati e senatori: promettere e promettersi di fare  una riforma senza mai concluderla. Brutta o bella adesso l'hanno votata quasi tutti (meno uno) della maggioranza spuria che regge questo governo. Le minoranze  hanno fatto come le pecore inseguite dal lupo: sono saltate nel vuoto uscendo sdegnose dall'aula e andandosene per i fatti loro. Posizione scontata perchè la votazione stessa -al di la dell'esito-  segnava una loro sconfitta. Quando hai una maggioranza con un alleato come Alfano, uno zero assoluto, devi prendere per buono quel che viene. Ringraziando Bersani della mezza vittoria e della mezza sconfitta. Oltretutto, stante la situazione attuale, é un cambiamento (elettorale) che va bene a tutti. Tragicomica poi la scelta di mantenere quel relitto che sarà il Senato, che garantirà  ad una nutrita cricca di "scelti" fortunati di beccarsi per niente una lauta prebenda quinquennale. Il parco buoi ed anche i butteri del Parlamento

hanno compreso che col Renzi stavolta c'era il rischio certo di finire alle elezioni anticipate e la Troika in casa. Le minoranze, in nome degli alti principi che costano zero (visto che  non partecipando al voto non perdono il gettone di presenza)  sono andate al bar o a donnine
Questa riforma non ci piace granche. Noi avremmo abolito del tutto il Senato; avremmo fatto una sola Camera con un deputato ogni  centomila voti presi (quindi se votano 30milioni la prima sfornata sarebbe di 300 deputati); doppio turno tra le prime due liste arrivate se la prima lista non raggiunge il 40% (che sarebbe premiata fino al 52%). Divieto di alleanze prima e decadenza in caso di cambio casacca; un solo posto per ciascun candidato in lista e parità di genere tra i candidati.
Comunque adesso c'é da vincere col SI il referendum contro le trivelle.


L'assessore Stefano Zenoni del Comune di Bergamo, incaricato della pianificazione territoriale e mobilità, ha mandato alla Regione Lombardia alcuni suggerimenti in un'ottica di collaborazione tra Enti, nel mese in cui la commissione competente dovrà vagliare gli eventuali emendamenti al Piano Regionale e Trasporti in via di adozione da parte della medesima.
Ne riportiamo alcune parti che riteniamo interessino “anche” Curno accompagnati dalla nostre osservazioni.
– si conferma la condivisione dell'azione F7 – Collegamento Ferroviario Orio al Serio e si conferma la scelta ferroviaria quale elemento di connessione dello scalo aeroportuale bergamasco al sistema di trasporti regionale e nazionale, anche attraverso la creazione della linea suburbana S18 da Milano e Carnate;
(A)    A nostro avviso questo collegamento dovrebbe prevedere sia il collegamento ferroviario (presumibilmente in superficie) ma dalla stazione FFSS sarebbe utile il proseguimento una linea metro interrata che segua tutto il viale Papa Giovanni , sottopassi la stazione funicolare e prosegua con fermate sulla verticale di Piazza Vecchia e Colle Aperto.
– (…) potenziamento della tratta ferroviaria tra Ponte San Pietro – Bergamo – Seriate – Montello ad uso metropolitano. Su tale tratta di collocherebbero le nuove fermate a servizio dell'area metropolitana bergamasca (tra cui la nuova fermata a servizio del polo ospedaliero



– azione F19 – e il necessario sottopassaggio ferroviario in prossimità di Via Martin Luther King, oggetto recentemente di accordo tra Regione Lombardia e RFI).
(B)    Il tratto ferroviario metropolitano tra Ponte san Pietro e Montello intercetta l'(1) l'ospedale di Ponte san Pietro, (2) il Papa Giovanni, (3) l'Umanitas e (4) il Bolognini. Ritengo utile che questa tratta MIRI a intercettare gli accessi a queste importanti strutture sanitarie di interesse regionale.
In generale:
(C) Ferrovia valle Brembana
Riteniamo utile, essendo in fase di progettazione del raddoppio del tratto Curno-Almè della SP pensare a un collegamento ferroviario da Dalmine verso Almè e quindi la Valle Brembana con una curva di raccordo alla Dorotina di Mozzo lungo la linea Bergamo > Ponte san Pietro.
Questo renderebbe inutile il rifacimento della tratta urbana delle ferrovia dismessa e nel contempo attiverebbe collegamenti diretti tra la Valle e la bassa e il Milanese con evidenti ricadute positive sulla Valle.
(D)    Creare dei  parcheggi lungo l'asse ferroviario Montello - Calusco d'Adda in modo da farvi affluire sia il trasporto regionale su gomma che molta parte del trasporto privato (su gomma) proveniente dalla Valle Imagna (a Ponte san Pietro), dall'Isola (Calusco e Ponte); a Mozzo - Curno- Valbrembo per chi viene dalla Valle Brembana; Gorle (Valle Seriana) e Albano (Val Cavallina).

















Dunque partono 130 soldati della Brigata Friuli, tutti veterani e specialisti in questo genere di operazioni ad alto rischio. Però non ci sono ne Salvini ne Gasparri.
Le gazzette dicono trattarsi di “missioni in «condizioni non permissive»: un eufemismo formidabile che mimetizza l'ingresso dell'Italia nella prima linea della guerra contro lo Stato Islamico”. Nel 1999 i bombardamenti in Kosovo vennero chiamati «difesa integrata», oggi invece in Iraq comincia «l'attività di personnel recovery in condizioni non permissive». Otto elicotteri italiani interverranno per soccorrere feriti e recuperare soldati accerchiati. Se necessario, lo faranno anche sotto il fuoco nemico, combattendo e atterrando alle porte di Mosul, la capitale del Califfato. Per questo a Erbil è cominciato lo schieramento della brigata Friuli, la nostra “cavalleria dell'aria” che traduce in tattiche moderne le azioni congiunte di elicotteri e fanti rese celebri dal film “Apocalypse now”. I primi quattro velivoli sono già arrivati nel Kurdistan iracheno, il resto dello squadrone li raggiungerà entro fine mese. La stampa locale li ha accolti con entusiasmo: i peshmerga non hanno mai avuto un sostegno così potente. La nuova spedizione in Iraq invece non è un segreto. A febbraio il ministro Roberta Pinotti l'ha annunciata in tutte le sedi. Ma forse i nostri parlamentari, spesso disattenti alle questioni militari, ne hanno sottovalutato l'impatto operativo. Perché lo squadrone della Friuli entrerà in azione a maggio, in contemporanea con l'attesa offensiva per liberare Mosul, la città dove al Baghdadi ha proclamato il Califfato.
È in questo scenario confuso che atterrano a Erbil gli otto elicotteri italiani. E che cominciano i sopralluoghi per una missione molto più complessa: i lavori della diga di Mosul, affidati alla Trevi di Cesena. Sarà un cantiere colossale - l'opera in parte di cemento è alta 131 metri e lunga più di tre chilometri - e verrà protetto da altri 450 fanti,


con mezzi blindati e armi pesanti. Questa task force entro l'estate diventerà il più importante contingente occidentale in Iraq: nessun paese straniero ha tanti soldati in una singola posizione. Una base enorme da difendere, a venti chilometri dalle posizioni del Califfato.

Non è andata invece meglio a Palmira. Parliamo di una delle città più antiche della Siria, un tempo dell'imperatrice Zenobia, luogo di transito delle carovane che attraversavano l'arido deserto lungo la Via della Seta, poi bizantina, poi araba, per infine diventare Patrimonio mondiale dell'Unesco. Ma dov'erano tutte quelle persone che hanno pianto l'occupazione di Daesh nello scorso maggio e che oggi sono rimaste in silenzio di fronte alla riconquista da parte dell'esercito siriano supportato dalle milizie sciite libanesi di Hezbollah e dall'aviazione russa?
Francesco Rutelli e Dario Franceschini, rispettivamente ex ed attuale ministro dei Beni culturali in Italia, si sono entrambi detti pronti ad inviare a Palmira i cosiddetti “caschi blu della cultura”, una task force internazionale concordata qualche mese fa con il capo della Farnesina Paolo Gentiloni e volta a difendere ogni patrimonio artistico e culturale del mondo. Palmira non è più di tutti, ma di chi in queste ore conduce le operazioni di sminamento e rischia di saltare in aria sopra le oltre duemila mine lasciate sotto il catrame dai miliziani prima di abbandonare definitivamente la città.
Di italiani non si vede  ne si è vista nemmeno l'ombra ne l'odore. Ci sono solo i russi. Non ci sono nemmeno Salvini e Gasparri.
Fa male a pensarci, ma dove ci sono gli affari gli italiani arrivano. Non arrivano nemmeno a dare una mano allo sminamento ed alla ricostruzione del minimo di infrastrutture civili distrutte dall'ISIS.
Poi magari un despota egiziano ci ammazza un figlio e ci prende pure per i fondelli.



La visita che Papa Bergoglio va a Lesbos è il terzo viaggio del papa nei luoghi critici dell'emigrazione, e rivela ancora una volta l'attenzione speciale che Francesco riserva al problema migranti. Ormai è evidente che l'insistere su questa preoccupazione non deriva solo dalla sua personale sensibilità biografica, come figlio di emigranti, ma che nell'emigrazione egli ha individuato il punto più drammatico della crisi che sta investendo il mondo.
Il fatto è che il Papa non va “in Grecia” ragione per cui il “capo di governo” vaticano va in visita ad un'altra nazione.
Il viaggio di Papa Bergoglio a Lesbo è “un viaggio in Europa”, si  configura cioè come la visita che potrebbe fare alla sede del parlamento europeo.
Che poi dell'Europa Bergoglio abbia scelto un luogo altamente simbolico della incapacità dei 508 milioni di europei di trovare una soluzione razionale e ragionevole al milione di migranti che dall'Africa e Medio oriente arrivano da noi ogni anno da 7-8 anni in qua.
Tenendo conto che in Ue a 28 ci sono già 35 milioni di immigrati extra Ue in grandissima parte del tutto assorbiti o integrati nei rispettivi paesi di residenza.
Sta accadendo che mentre il Papa va in Grecia per un tema “altamente civile” come la condizione dei migranti verso l'Europa, a Lesbo NON c'è l'Europa.
A ricevere Papa Bergoglio non ci saranno ne Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, ne Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo ,


e Jean Claude Juncker, presidente della Commissione europea e nemmeno Federica Mogherini , alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
Senza voler fare i turibolari del Papa, queste assenze segnano la difficoltà dell'Ue a manifestarsi come un popolo e come una nazione; un imbarazzo  se non una ignoranza e maleducazione mastodontiche della dirigenza Ue verso una figura certamente non minore com'è Papa Bergoglio.
Perché se a Lesbo arrivasse Obama, ci sarebbe un pellegrinaggio di leccapiedi per farsi fotografare assieme a lui, piangendo lacrime di coccodrillo con avanti tutti Hollande, Merkel, Cameron.
Del resto a questa Europa delle imprese e delle banche importa zero dei diritti umani e civili. La precisione da orologiai svizzeri con cui l'Ue redige le norme per l'etichettature dei fagioli fa a pugni con l'assenza di una politica unitaria verso i paesi del nord Africa o Medio Oriente o centro Africa, territori di scorribande dei governi europei per collezionare bustarelle dai vantaggi per le proprie imprese  senza tema anche in danno al resto dell'Ue.
Non gli importa nulla nemmeno di un controllo unitario dei flussi potenzialmente criminali come  della adozione di una politica fiscale e sociale il più possibile comuni.
E che pensa l'Ue del Papa a Lesbo?
Per l'Ue forse c'è andato perché c'è il mare  di primavera.





































Il parcheggio tra il Centro Zebra e la via Bergamo (ex Briantea) venne realizzato ai tempi di Carlo Codega (prima del 2000) come standard della discoteca, oggi rifatta e destinata a concessionario di auto. Una operazione –la discoteca- nella quale pare che una delle maggiori banche italiane ci abbia rimesso gran parte dell'intero gruzzoletto prestato come leasing.

IL PROGETTO BODEGA
La precedente amministrazione (giunta Gandolfi) alla fine del proprio mandato portò in consiglio comunale un progetto di trasformazione edilizia assai ambizioso sia sotto il profilo strutturale che architettonico, immaginando che – in primis per il paccone di soldini (sembra 5 milioni di euro: ma sono solo promesse sulla carta)  che sarebbero pervenuti al comune- il progetto sarebbe filato via liscio in consiglio
A favore del Comune di Curno secondo l’ex sindaco Gandolfi sarebbero arrivati:
– 1.194.398,63 € di oneri primari
– 807.846,28 € di oneri di urbanizzazione secondaria
– 3.233.081,35 e di oneri di qualità (oneri aggiuntivi)
Di questi circa 600.000 € in denaro fresco dopo 30 gg. dall'adozione (30 ottobre 2011) e 2.133.081,33 alla sottoscrizione della Convenzione (con i 500.000 € restanti l'operatore immobiliare avrebbe restaurato la cascina Santini dietro la Chiesa a completamento del nuovo parco di via Marconi (due putt…te memorabili).
Gandolfi immaginava che con questo denaro fresco pari a 2.733.081,33 in due rate si sarebbero risolti i problemi futuri di bilancio, tra cui quelli relativi al patto di stabilità, quelli relativi alla spese correnti (indirettamente), quelli relativi alle entrate correnti, crudelmente recise dal governo centrale (indirettamente).

controllando ogni forma di concorrenza.

LE DIMISSIONI DELLA MAGGIO RANZA DEL CONSIGLIO
Se ai primi di settembre 2011 c'era stata la bocciatura del progetto Bodega, ai primi di marzo 2012, con un tempismo accurato, le dimissioni in massa di 8 consiglieri e un assessore hanno fatto cadere la Giunta Gandolfi. I consiglieri sono Pedretti e Leidi (Lega Nord), Morelli, Perlita Serra, Vito Conti, Benedetti (Insieme per cambiare Curno), Cangelli (Idv), Corti e l'assessore Locatelli (Pdl). Il Comune sarà così commissariato fino alle elezioni del 6-7 maggio 2012. Le dimissioni sono arrivate dopo un turbolento Consiglio Comunale sul varo del Piano di Governo del Territorio. Visto che il documento era rimasto a disposizione dei cittadini solo per una settimana le minoranze avevano chiesto e ottenuto il ritiro dell'adozione del Pgt.
La capogruppo di minoranza Morelli ebbe a dichiarare che le dimissioni sono state per loro la logica conseguenza di una situazione mortificante per il ruolo e l'istituzione: nella seduta del consiglio comunale, dopo l'approvazione della loro proposta di ritiro dell'adozione del PGT, il sindaco, che presiede il Consiglio, ha abbandonato l'aula senza aggiungere motivazioni mentre altri membri della ormai dissolta maggioranza se ne sono andati addirittura prima del voto e nessuno poté gestire gli ultimi due punti dell'ordine del giorno, “in spregio ai consiglieri rimasti e al folto pubblico ancora presente”.

STESSO PATER DEL PGT COL CSX E CDX+LEGA
Ovviamente  maggioranza e minoranza hanno sempre fatto finta di nulla sul fatto che il PGT fosse nato su incarico della Giunta Morelli (CSX) ad un




I neo-speculatori, alla luce della crisiedilizia in atto da otto anni, sono diventati tutti ambientalisti.
Infatti eccoli sbandierare l'idea che demolire un vecchio stabilimento chiuso per la crisi ed edificare un centro commerciale o una serie di palazzine a schiera non significa “consumo del territorio” perché lo spazio era già edificato e poi in Italia vige il principio del “rispetto dei diritti acquisiti”. Anzi! Pretendono anche la benedizione perché riporterebbero in vita un'area degradata o destinata a tale fine.
Naturalmente a Curno come a Bergamo come dappertutto, se venissero realizzate tutte le possibilità edificatorie consentite dagli attuali piani, l'Italia potrebbe ospitare altri venti-venticinque milioni di abitanti in più rispetto agli attuali 60 milioni (“nigher” esclusi).
Se poi consideriamo che la natalità in Italia è tra le più basse delle prime dieci nazioni UE e che le prospettive economiche per gli anni a venire, contrariamente a quanto dicono politici e gazzette, saranno nerissime perché il mondo ormai sa reggersi da  solo (quel che occorre per una vita civile  lo sanno e possono produrre dappertutto, quindi…) quando oggi si fa un piano semmai si devono prevedere sostanziosi tagli sia delle potenzialità edificatorie


Sottolineatura che a Curno viene sempre dimenticata come importante: qualcosa del genere avvenne anche con la seconda parte del piano della shopping center: mantennero le superfici e diminuirono le altezze del fabbricati. Potendo così vendere la balla della riduzione volumetrica mentre il “vendibile” non perdeva un metro quadro. Il commerciale si vende a metri quadri non a  metri cubi. Qui addirittura, se il consigliere ha fatto bene le elementari, la superficie vendibile come commerciale e uffici cresce addirittura  di un quarto.

LA VENDETTA DELL'ECO MOSTRO
Impostare il PGT come una semplice ridenominazione del vecchio PRG comporta “il rispetto dei diritti acquisiti” e quindi trattasi di una mera spesa obbligatoria a vantaggio dei professionisti piuttosto che dei cittadini. Tonnellate di carta e di parole per riconfermare il già deliberato.
La mancanza di cultura politica e la precisa volonta' di tutelare gli interessi dei costruttori è stata la scelta politica ordinata dalla politica all'estensore del PGT. Del resto Vito Conti è sempre stato l'uomo messo dal PCI a tutelare gli interessi SOPRATTUTTO dei piccoli costruttori in antitesi a quella dei grandi  speculatori.
Il contrasto sostanziale tra un Vito Conti e la coppia Pedretti-Innocenti consta o constava soltanto nel fatto che il primo attraverso un controllo duro delle concessioni fabbricatorie consentiva ai piccoli operatori di massimizzare la rendita indipendentemente dalla qualità edilizia dei manufatti mentre per cultura politica la coppia Pedretti-Innocenti aveva un'idea molto più estensiva del modo di creare la rendita fondiaria ed edilizia.















Cioè, secondo Gandolfi -che immaginava di avere già messo in cascina la rielezione- questa operazione avrebbe evitato di aumentare le tasse ai cittadini. Infine, avrebbe potuto sbloccare l'avanzo di 2.400.000 € bloccati dal patto di stabilità, essendo i 2.733.081,33 in entrata superiori all'avanzo stesso. Se l'operazione fosse riuscita, venivano disponibili   oltre 4 milioni al Comune.

IL FUOCO DI SBARRAMENTO DI LEGA, FI E CSX
Invece iniziò immediatamente il fuoco di sbarramento contro il progetto, quello esplicito della Lega con Pedretti davanti a tutti col bandierone dell'”ecomostro” (e in effetti rispetto ai suoi –di Pedretti- canoni architettonici, quello era davvero un ecomostro…) e quello spiritosamente istituzionale della minoranza di centro sinistra con davanti  Massimo Conti segretario del PD locale e cugino dell'assessore all'urbanistica Vito Conti per i quali “non c'era stata condivisione del progetto” ritenuto comunque di volumetria eccessiva rispetto all'area. Effettivamente il sotto+il sopra quanto a volumetria non scherzava. Sicuramente oltre 30mila fuori terra ed ignoto quanti piani sotto.
Il progetto Bodega verrà bocciato dal consiglio comunale con 8 contrari, sette favorevoli e due astenuti. Voteranno contro anche due consiglieri della maggioranza (Locatelli e Maini) di Gandolfi.
L'errore di Gandolfi è stato quello di essere arrivato… ultimo al tavolo del banchetto edilizio. Dopo che la sua maggioranza  aveva approvato molti piani integrati –per oltre 200.000 mc scrive il segretario del PD in un suo post del 13.09.2011- immaginava di convertire ( o abbindolare?) la sua maggioranza e il consiglio con questa montagna di denari ma non aveva fatto la semplice riflessione che gli operatori di quei fantastici 200mila metri cubi, nel pieno della crisi edilizia, mica avrebbero digerito supinamente l'avvento sulla piazza di un ulteriore concorrente. Oltre al fatto che a Curno Lega, CDX e FI avevano sempre “vigilato” ferramente perché nessuno si permettesse di porre sul mercato  dell'edilizia di qualità rispetto ai modelli correnti fino allora esitati. Oltre al fatto che il controllo dei piani integrati era strettamente necessario per lavorare

professionista consigliere provinciale per il PD, che l'incarico fosse stato riconfermato dalla Giunta Gandolfi di CDX+Lega e che il PGT arrivasse in aula… senza la necessaria condivisione.
Fatto che ovviamente si sa benissimo come leggere o interpretare.

Molta acqua è passata sotto i ponti e dopo la memorabile cretinata dell' “ecomostro” del progetto Bodega, ecco che dirimpetto, in uno di quei piani integrati approvati dalla Giunta Gandolfi (e successive modifiche secondo le necessità degli operatori): “in data 17.07.2012 è stata sottoscritta convenzione urbanistica con i soggetti promotori
del PII denominato “ex Briantea nord” a seguito di approvazione definitiva con Deliberazione di Consiglio Comunale n. 65 del 28.06.2011, la cui convenzione urbanistica è stata modificata con deliberazione di Consiglio Comunale n. 1 del 26.01.2012”);
ecco scodellata l'ennesima variante del PGT su una parte dello smembrato piani intervento integrato.
Nelle seduta di consiglio del 14 maggio 2015 esordisce l'ass. Vito Conti per il quale (la variante) tratta di uno dei due passaggi finali del piano Integrato di Intervento Briantea Nord. A causa della crisi, ma sarebbe più corretto dire non solo per questo, la prospettiva era la cancellazione dell'operazione, con la conseguente restituzione di
quanto anticipato dagli operatori, o una sua revisione. Uno dei problemi non secondari è che i due operatori coinvolti non hanno le stesse esigenze temporali, da qui la scelta di scindere i due piani. La configurazione proposta non è soddisfacente ma oggi è l'unica che si possa sostenere.
Il Conti prosegue precisando che ciò che viene presentato è esattamente ciò che verrà realizzato, che i volumi sono stati ridotti da 22 a 7mila metri cubi.  L'opera strategica (qui c'è sicuramente un bug nella registrazione della seduta) sarà una parte della pista ciclabile che andrà a collegare Curno al nuovo ospedale di Bergamo (possiamo ridere di codesta enorme cazzata?).
Gli risponde il consigliere Cavagna (normalmente trattato da ingenuo dai consiglieri comunali)  il quale sottolinea come –se pure diminuisce il volume- in concreto si aumenta del 25% la superficie lorda di pavimento e si consuma il suolo. Chiamalo ingenuo!.


che dell'edificato perché non ci sarà nessuno da ospitare. Ne come persona ne come attività.
La crisi economica comporta anche una riduzione delle entrate comunali e quindi gli spazi e i servizi pubblici vanno ridotti perché non sarà possibile sopportarne le spese di mantenimento.
Pertanto non è uno scandalo pensare a un PGT nel quale siano cancellati molti spazi privati e pubblici oggi edificati e domani le aree trasformate a verde.
Già!. Vallo a dire alla gggente.




























































Nella fattispecie la titolazione dell'”ecomostro” attribuito al progetto Bodega si sono congiunti questi interessi:
(a) non permettere un'edilizia di qualità che avrebbe mostrato i difetti dell'attuale offerta.
(b) con la crisi del mercato edilizio in atto un nuovo  intervento (per di più di alta qualità) era un concorrente decisamente imbarazzante per quelli già deliberati .
(c) il modo grezzo con cui Gandolfi  ha gestito la politica  aveva finito per scocciare decisamente tutto il consiglio comunale .
(d) non c'è da sottovalutare  la voce delle banche che avevano già in corso finanziamenti difficoltosi con gli operatori già premiati coi piani deliberati.
(e) una bella mascheratura sotto la dizione di “ecomostro” poteva raccogliere facilmente il consenso da una popolazione non particolarmente ferrata in materia.

Tutto il can can ipocrita messo quindi in piedi dalla Lega-FI e dalla coppia Morelli-Vito Conti verso il progetto Bodega adesso viene platealmente smentito da questo intervento che piazza codesta mega facciata di calcestruzzo proprio sulla rotonda all'ingresso del paese a cancellare del tutto  anche il minimo di vista verso le colline di Bergamo.
Il bello è che tutto questo accade perché il “sindaco del buongoverno” ebbe a incassare una sostanziosa polpetta che nel caso non fosse stato modificato il piano, rischiava di essere richiesta indietro (170mila euro?) dall'operatore e la faccenda avrebbe mandato in grave crisi il bilancio comunale della Giunta Serra. Vito Conti dichiara: “a causa della crisi, ma sarebbe più corretto dire non solo per questo, la prospettiva era la cancellazione dell'operazione, con la conseguente restituzione di quanto anticipato dagli operatori, o una sua revisione”.
Se davvero il progetto Bodega era un “ecomostro”, non è che l'attuale dirimpettaio sia disegnato da un Bernini redivivo.
Fine del cinema: il re adesso è nudo.























Il cantiere delle pensioni italiane non si ferma mai, l'instabilità di orientamenti della politica è sempre alla ricerca di nuovi interventi. Che, come effetto, alimentano una percezione pubblica di totale insicurezza in milioni di italiani. Ieri è stato approvato il decreto attuativo di una delle due misure previdenziali previste nella legge di stabilità 2016, relativo al prepensionamento anticipato in forma di part time. Lo dichiaro subito: non sono per nulla d'accordo. Non capisco proprio, con un governo che non ha ancora fatto nulla per la povertà né per i giovani disoccupati, numeri alla mano della somma di Jobs ASct e decontribuzione sullo stock occupati 2016 su 2015, come e perché si trovino fondi pubblici per far passare chi un lavoro ce l'ha a tempo indeterminato a un part time, pagandogli i contributi figurativi come se restasse a tempo pieno e assicurandogli retribuzione aggiuntiva esentasse. Proprio non lo capisco, è solo un'ulteriore conferma che politica e sindacato hanno in mente che sta relativamente meglio, rispetto a chi sta sicuramente peggio.
Ma prima di capirne significato e impatto, serve una premessa, sui numeri previdenziali complessivi.
Tutti ripetono che la spesa previdenziale italiana è stata messa in sicurezza come in nessun paese europeo. In realtà la spesa previdenziale annua è di 4 punti di Pil superiore alla media europea: noi siamo sopra il 16%, e a legislazione invariata nei prossimi 4 anni la spesa crescerà di ulteriori 20,5 miliardi, passando dai 261,9 previsti nella Nota Def per il 2016 ai 282,4 del 2019. A farla crescere, essenzialmente la demografia dell'Italia: cresce la longevità ma non il tasso di partecipazione al lavoro e l'occupazione. Sono queste le cifre che dovrebbero essere costantemente ricordate, da sindacati e  partiti che chiedono incessantemente di tornare ad abbassare i tetti previdenziali in graduale salita, disposti dalla riforma Fornero. Viene sollevato ripetutamente l'argomento che prepensionare servirebbe a creare automaticamente posti di lavoro per i giovani: quando non funziona affatto così, perché in presenza di alta inoccupazione le imprese continuano a preferire lavoratori le cui abilità sono già formate, cioè non i giovani. Persino a fronte dell'elevatissima decontribuzione offerta alle imprese nel 2015 per i contratti a tutele crescenti, a giovarsene sono stati gli over cinquantenni con oltre 280mila occupai aggiuntivi, mentre tra i 35 e 49 anni abbiamo perso 206 mila occupati in Italia, se raffrontiamo fine febbraio 2016 con lo stesso mese del 2015,

e per i più giovani la variazione è stata inferiore alle 20mila unità. Da qui al 2050 la spesa previdenziale non scenderà mai sotto il 15% del Pil, come ha scritto la Ragioneria Generale dello Stato nell'ultimo Rapporto sulle tendenze di medio-lungo periodo di sistema pensionistico e socio-sanitario, presentato a luglio scorso.
Abbiamo sin qui speso oltre 12 miliardi per i 7 interventi di salvaguardia dei cosiddetti esodati, finendo per comprendere in 180mila soggetti tutelati sempre più over 55enni disoccupati di lungo periodo, in realtà non direttamente colpiti dalla riforma Fornero. E in legge di stabilità 2016 il governo ha giustamente respinto le proposte – forti anche nel Pd – di abbassare per tutti l'età pensionabile, accogliendo invece la proroga della cosiddetta opzione donna, per risolvere il problema di un requisito pensionabile che nel 2016 sarebbe salito per le dipendenti del settore privato di 22 mesi nel solo 2016, e poi il part-time incentivato di cui appunto ieri è stata approvata la norma attuativa.
In realtà, si tratterà di un regime sperimentale per al più 15-20 mila soggetti, finanziato infatti con soli 60 milioni di euro per il 2016 (il titolo di Repubblica stamane sui 400mila soggetti ai quali sarebbe riservato è, mi spiace dirlo, un'asinata: con che soldi?) . Riservato ai dipendenti privati – non pubblici,né autonomi – con almeno 20 anni di contributi, che maturino entro fine 2018 il requisito anagrafico previsto dalla legge Fornero e cioè che abbiano a fine 2015 almeno 63 anni e 7 mesi di età. Le donne non escluse, come tutti ripetono, a loro si è già provevduto: le nate nel 1951 potevano già andare in pensione, e idem dicasi per quelle della classe '52 in questo 2016 grazie a una deroga alla Fornero. Per la classe femminile 1953, il requisito Fornero si raggiunge solo nel 2019, quindi solo per loro nulla da fare. Questi soggetti potranno andare in part time agevolato con riduzione d'orario fino al 60%, con l'erogazione in busta paga da parte dell'impresa in maniera esentasse dell'equivalente che sarebbe stato versato dall'azienda come contributi se il rapporto fosse prestato a tempo pieno, e contributi figurativi versati anch'essi dallo Stato (quindi: versati per finta, coperti in deficit) come se il contratto restasse invariato. I contributi figurativi sono a carico statale, ed è su questi che scatta il tetto dei 60 milioni. I primi che sottoscriveranno accordi di questo genere ne avranno diritto: finita la dote prevista nel bilancio pubblico, il diritto non sarà più esercitabile ( a Repubblica hanno deciso di non accorgersene).





Quel che si può prevedere, dunque, è che a beneficiarne saranno poche migliaia di dipendenti, per lo più di grandi gruppi che saranno i più lesti. Insomma, è l'ennesimo intervento a latere. Che farà però scaldare i motori alle richieste che puntualmente verranno riavanzate al governo da destra e sinistra nel prossimo autunno, per abbassare radicalmente per tutti di 2-3 anni i tetti previsti dalla legge Fornero.
Il governo ha promesso che qualcosa farà. Ma le diverse proposte sin qui dibattute, quella dell'onorevole Damiano come quella del presidente Inps Boeri, sono tutte caratterizzate dall'aggravare nel breve il deficit previdenziale. Il responsabile economia del Pd Taddei e il sottosegretario Nannicini, che a palazzo Chigi ha in mano i dossier di finanza pubblica, ripetono sempre che l'intervento dovrà essere a parità di deficit, cioè con tagli agli assegni proporzionati all'anticipo previdenziale. E la decisione finale sarà presa solo quando, di qui a 6 mesi, sarà un po' più chiaro il quadro della crescita europea e del deficit aggiuntivo complessivo accordatoci.
Quel che non entra in testa a politica e sindacato è che col sistema contributivo la flessibilità d'uscita è sì coerente  benvenuta, ma bisogna accettare assegni nettamente più bassi quanto prima si accede alla pensione rispetto ai tetti previsti dalla Fornero, cioè a parità attuariale della rendita spalmata in più anni generata dal montante versato. E' molto difficile pensare che nel prossimo autunno questa idea venga accettata, visto che sindacati, destra e sinistra pensano ai consensi immediati e non all'equilibrio di bilancio previdenziale (ogni anno: poco meno di 100 miliardi vengono all'Inps dalla fiscalità generale). In quel caso, saranno i giovani, come sempre, a pagarne le conseguenze: perché saranno loro a dover pagare ancora coi loro scarsi contributi – funziona così il sistema a ripartizione – le pensioni accordate in anticipo a soggetti rispetto ai quali i giovani non avranno mai una pensione equivalente.  Il resto, lo metteremo noi contribuenti.

(Nostra elaborazione di un testo di Oscar Giannino)





























Ceccarelli scriveva sul Corrierone che “nel profluvio luttuoso e in alcuni casi anche abbastanza ipocrita che ha accompagnato la morte di Gianroberto Casaleggio spiccava ieri una parola, una qualità, un attributo che l'odierna politica, così miserella e schiacciata sul presente, senz'altro fatica a riconoscere: «visionario» “.
Un tempo di diceva che quando nasci accorciano le camicie ai tuoi fratelli, quando ti sposi sei bello e ricco, quando muori sei stato un brav'uomo. Quasi mai corrisponde al vero. Ovvio che di un povero non direbbero mai “visionario”.
Sono abbastanza vecchio –basta avere fatto il '68 a ventuno anni anni ?- per averne viste (e combinate) di tutti i colori e la prima cosa che mi ha colpito di GRC è stato che non voleva fosse rivelata la sua malattia (vedi l'offensiva contro le notizie vere de LaStampa), fino a farsi ricoverare negli ultimi giorni, sotto falso nome in ospedale.
Timidezza e discrezione sarebbero i motivi.
Non sono d'accordo e lo dice uno che –senza colpa- di ospedali ne ha dovuto frequentare troppi. Non c'è nulla da nascondere  delle proprie malattie: lo fanno solo i re o i satrapi.
Perché poi la malattia stessa, se fosse raccontata  per intero, potrebbe essere qualcosa di assolutamente normale: quella che fa schiattare la maggioranza degli italiani anzitempo e che ci dice che non siamo ancora un popolo civile.
All'alba del 2016, le malattie “normali” sono piuttosto il frutto della nostra ignoranza, del bullo che sconfigge sempre tutti. Che per un  muratore semianalfabeta coll'iphone magari può essere ammissibile  mentre per un “visionario” milionario, forse no. Anzi: no di sicuro.
Prima di GRG e Greggio premiata coppia fondatrice del M5S, ho visto il '68, il 75, il terrorismo, Berlinguer, la caduta del muro di Berlino,  tangentopoli e l'IdV, Forza Italia e Berlusconi, la Lega, Segni giù giù fino a Monti, Passera, Storace, gli Arancioni a Milano Napoli Puglia.
Dimenticando gran parte degli avvenimenti all'estero: dall'Algeria per la Francia al Vietnam per gli USA.

Non si mette mai in rapporto questi avvenimenti con lo sviluppo dei media e quindi dell'informazione accessibile liberamente da parte dei cittadini.
Il comunismo è caduto per merito dell'ampliamento dell'offerta tv con la moltiplicazione dei canali: il popolo comunista viveva nella fame miseria violenza e vedeva il benessere dalle tv



occidentali, finalmente decise di sbaraccare tutto.
La prima repubblica coi suoi scandali viene prima ammazzata sul patibolo dei talkshow tv neonati per l'occasione e nello stesso tempo tengono a battesimo e montano sugli altari l'IdV, la Lega e il cavaliere.
I talkshow in Italia nascono nel 1982, Samarcanda nell'1987, Ballarò dal 2002. Grillo –classe 1948- arriva in RAI nel 1977 come comico ma dal 1985  vira decisamente i suoi testi su contenuti politico-satirici, espressi in forma sempre più diretta e pungente. Il Beppe Grillo show fu trasmesso su Rai 1 dal Teatro delle Vittorie di Roma il 25 novembre e il 2 dicembre 1993 con ottimi risultati in termini di ascolti: circa 15 milioni di telespettatori a sera. Lo show fu l'ultima apparizione di Grillo sulle televisioni Rai e Mediaset.
Tenete ben presenti le date, anche se ovviamente non esiste un rapporto temporale perfetto tra gli scandali italiani, lo svilupparsi dei talkshow e i contenuti degli ultimi (al tempo) spettacoli di Grillo.

Leggere la carriera artistica politica di Grillo per trovare che nel gennaio 2005 fonda assieme a GRG un blog che nel 2006 verrà stimato da Tecnorati come il blog al 28° posto come visitatori .
Seguire le iniziative politiche promosse attraverso il suo blog e la contemporanea esplosione sulle mille televisioni nazionali del talk show politici ad ogni ora del giorno e della notte non sorprende che il tutto si coaguli a ottobre del 2009 il Movimento 5 Stelle, tutto organizzato attorno a una piattaforma digitale.
Basta un semplice ricordo per sapere come dopo il 2010 l'alta velocità di interconnessione della rete, specie nelle grandi città, diventi finalmente una realtà sfruttabile.
Che poi i partiti tradizionali, nati con una forte presenza sul territorio, abbiano sottovalutato la rete è un fatto vista la solidissima ignoranza digitale del paese. Un paese che si meraviglia dei tweet del Renzi quando i propri minorenni smanettano centinaia di sms, tweet e WhatsApp al giorno (coi soldini di papa …).
La domanda che mi pongo adesso non riguarda le sorti del M5S in assenza di uno dei suoi feroci fondatori. In Italia non scompare mai nessuno: c'è ancora la DC, figurarsi.
Tutti i movimenti politici nati dopo la prima repubblica sono via via affondati nello stesso disastro che già fu della prima.

Lo stesso M5S assomma al suo interno una serie di contraddizioni politiche fortissime che consentono una discreto e profittevole cabotaggio elettorale nel breve-medio periodo, ma alla fine affonda anche la nuova corazzata. Com'è stato per tutti.
I primi segni si vedono. Dalla alleanza coi fascisti di Farage a Quarto passando per Parma o Livorno o il massacro della Bedori a Milano fino al tragicomico balletto sulle unioni civili e sull'immigrazione.
Concludendo la predica voglio dire che il “visionario” è un'aggettivazione di chi vive con 50 anni di ritardo.
Che non è isolato ma è quello che emerge dalle ricerche del settore. Il 25% delle aziende monitorate (2014) non possiede un sito internet.  Il 73% delle aziende utilizza almeno un canale social ma non lo hanno sviluppato.
Facebook è di gran lunga il social più utilizzato con il 79%, seguito da YouTube con il 55% e da Twitter e Google+ con il 48%
Solo il 50% delle aziende ha una strategia social basata su un preciso piano editoriale, quindi un'azienda su due ha i social ma li usa senza testa (questo dato è comune a tutti i canali social attivati)
Su Facebook, quindi il social di gran lunga più gettonato, il 40% dei post è di carattere commerciale con protagonisti il brand e i suoi prodotti. Il 27% sono relativi ad eventi aziendali e solo il 16% dei post si possono classificare tra quelli “interessanti”, cioè quelli che producono davvero engagement, e creano relazioni e condivisioni tra i fan della pagina.
Grillo e GRC hanno solo applicato in maniera profittevole quel che la tecnologia ha messo a disposizione: produrre davvero, creare relazioni e condivisioni tra i fan.

Venticinque anni or sono la televisione faceva cadere il comunismo in Europa. Cinque anni or sono un utilizzo adeguato della rete ha creato nuovi consensi verso una formazione politica tipicamente italiana, capace di raccogliere il qualunquismo e l'opportunismo di un paese che cambia tutto senza cambiare mai niente tranne fare debiti.
Visionario? Ci vediamo tra vent'anni.
Senza scordarci di DiPietro, Berlusconi, Bossi, Fini, Storace, Monti,.....

















Sono due le persone che hanno inventato Beppe Grillo. La prima è stato Antonio Ricci, l'autore dei testi dei suoi primi successi, soprattutto televisivi. La seconda è stato Gianroberto Casaleggio, che ha trasformato un comico dall'incerto destino, cacciato dalla tv, in una star della rete. Il loro incontro ha cambiato la storia del nostro del nostro paese.
Nei suoi recital, il luddista Beppe Grillo sul palco sfasciava i computer con una mazza da baseball. L'illuminazione gli arrivò dalla lettura di un articolo in rete, Il Web è morto, viva il Web. Volle incontrare l'autore. Gianroberto Casaleggio lo andò a trovare a Livorno, dopo la fine dello spettacolo, nell'aprile del 2004. Fu una rivelazione per entrambi.
 
Casaleggio era un manager che stava lanciando la sua azienda, dopo essersi messo in proprio. Era stato amministratore delegato di Webegg di Telecom Italia, leader nella consulenza ad aziende e pubblica amministrazione in rete. Nel 2002 Webegg e Formez, l'agenzia nazionale per la modernizzazione della pubblica amministrazione, avevano pubblicato un'analisi della situazione: in Italia, conclusero, l'e-government non sarebbe arrivato prima di vent'anni. A Casaleggio quei vent'anni probabilmente erano sembrati un'eternità: la rivoluzione era a portata di mano e non voleva perdersela. Nel 2003 lasciò Webegg e l'anno dopo con quattro colleghi fondò Casaleggio Associati, per offrire consulenze nella realizzazione di siti, nel web marketing e nell'e-governance. Tra i clienti c'erano Antonio Di Pietro e Italia dei Valori (fino dal 2008), ma anche Chiarelettere, la casa editrice fondata da Lorenzo Fazio: tra i suoi best seller, saggi di giornalisti di denuncia come Marco Travaglio, Peter Gomez, Gianni Barbacetto, Gianluigi Nuzzi e lo stesso Grillo. La casa editrice venne lanciata da un aggregatore di blog, Cadoinpiedi: il modello era quello dell'Huffington Post, una delle storie di successo del giornalismo in rete.
 
Casaleggio aveva capito meglio e prima di altri alcuni meccanismi comunicativi e partecipativi delle rete e le sue potenzialità. Li ha sfruttati con abile cinismo, sia per aumentare le visite ai siti dei suoi clienti, sia per impostarne posizionamento, immagine e comunicazione, anche in campo elettorale. E' la “rivoluzione del business, del marketing e della politica attraverso le reti sociali”, come recita il sottotitolo del manualetto-pamphlet scritto da Davide Casaleggio, figlio e collaboratore (oltre che da poco erede designato) di Gianroberto, dove si sintetizza il know how dell'azienda. Per “orientare l'interazione” tra le persone, spiega Davide Casaleggio, i partiti, i governi, le aziende, i media possono (anzi, devono) utilizzare una serie di competenze e di tecniche, ovvero “le leggi della Teoria delle Reti e il Social Network marketing”.
Gianroberto Casaleggio era animato da un pizzico di utopia (con una venatura apocalittica), ma era anche un manager e un imprenditore di cinico realismo. Si era fatto profeta di una visione democratica, aperta, dinamica, partecipativa, che predicava con entusiasmo: “La delega, con la Rete, non ha più senso. A volte è necessaria, ma io la darò soltanto a chi posso seguire in qualunque momento e nel caso dismettere”: tanto gli bastò per profetizzare l'inevitabile fine dei partiti politici. Al tempo stesso era consapevole delle asimmetrie di qualunque comunità umana, anche se digitalmente connessa: “Online il 90% dei contenuti è creato dal 10% degli utenti, queste persone sono gli influencer. Quando si accede alla Rete per avere un'informazione, si accede a un'informazione che di solito è integrata dall'influencer o è creata direttamente dall'influencer. Queste persone in modo diretto o indiretto gestiscono la comunicazione online”.

 

Per far scoppiare la bomba, bastarono pochi mesi. “Il 26 gennaio 2005 ho aperto un blog, senza sapere bene cosa fosse. Sto cominciando a capirlo ora”, scrisse Grillo nella presentazione del dvd beppegrillo.it. Il blog beppegrillo.it venne lanciato alla prima del suo nuovo spettacolo a Pordenone. In scena, l'attore si accalorava a spiegare: “Questa è una nuova forma di comunicazione. Ce l'aveva Prodi e lo ha chiuso dopo venti giorni perché, dice, 'non ho il tempo di comunicare con i miei elettori'. Perché vanno a comunicare a Porta a porta, e lì è la morte civile. Io invece comunico con nome e cognome con le persone. Non con lo share o l'Auditel. Con delle persone. [...] Con queste tecnologie possiamo fare delle cose direttamente, di democrazia diretta”.
Lo spettacolo faceva pubblicità al blog, il blog faceva pubblicità allo spettacolo e più in generale all'attività del blogger. Coinvolgeva frequentatori della rete e frequentatori degli spettacoli. La sinergia tra reale e virtuale è un meccanismo noto a chi produce contenuti in rete e riecheggia la dialettica teatrale tra realtà e finzione: quello che accade in scena ha effetto sulla realtà non in termini di azione diretta ma trasformando lo spettatore. Un secondo aspetto: i siti internet (blog compresi) hanno come responsabile una persona fisica, anche se appartengono e vengono gestiti da un ente o da un'azienda. Questa impostazione ispirerà la struttura “proprietaria” del Partito del Grillo.
 
Casaleggio aveva la competenza tecnica e la visione. Grillo era un personaggio noto a tutti gli italiani, considerato libero e indipendente, che suscitava immediata simpatia. Diede al progetto di Casaleggio un potenziale pubblico di fan, una notevole visibilità mediatica e la qualità di una formidabile presenza. Il successo istantaneo consentì di sperimentare nuove forme di coinvolgimento e attivismo politico. Già il 1° febbraio, pochi giorni dopo il lancio, scattò la prima mobilitazione politica. Durante i suoi show e dal sito, Grillo invitava gli spettatori a mandare un messaggio al Quirinale contro l'intervento italiano in Iraq. In giugno il blog lanciò la campagna “Parlamento Pulito”. A settembre il sito aveva già raggiunto punte di 500.000 accessi, con una media di 160.000 utenti al giorno, per poi stabilizzarsi intorno ai 200.000 (nel 2007 e 2008 tornò a picchi di oltre 500.000 accessi intorno ai grandi raduni pubblici del V Day). A crescere non erano solo gli accessi ma anche le interazioni: il 12 ottobre 2005 andò online il primo post che superò i 3000 commenti. Alla fine dell'anno beppegrillo.it era tra i dieci blog più visitati del mondo, veniva considerato da molti il miglior sito di controinformazione e aveva attirato la curiosità della stampa internazionale: il settimanale “Time” lo inserì tra gli “eroi europei del 2005” (l'altra presenza italiana era Silvana Fucito).
Il blog di Grillo era diventato la leva per innescare alcuni esperimenti politici. Era stato aperto solo da pochi mesi, ma l'intuizione era già chiara: la rete “è lo strumento per realizzare una vera democrazia. Una nuova forma democratica che è stata definita 'democrazia diretta' negli Stati Uniti. [...] E' il passaggio dalla delega in bianco al politico, alla partecipazione dei cittadino”. Di più: era necessario muoversi “verso una forma di autogoverno, una cosa diversa da quella a cui siamo abituati, in cui dovremo impegnarci in prima persona”.
Nell'estate del 2005 era partito un altro esperimento, ancora più complesso. Il modello arrivava, come al solito, dagli Stati Uniti, e per la precisione dalla campagna elettorale di Howard Dean, candidato democratico alle primarie del 2004, poi vinte da Barack Obama. Grillo lanciò l'iniziativa il 16 luglio, con il post Incontriamoci: MeetUp: “MeetUp è un sito che consente di organizzare in modo semplice



incontri tra persone interessate a un argomento in ogni parte del mondo e anche in ogni città italiana. [...] Ho creato una categoria, l'ho chiamata “Beppe Grillo” ed è stato attivato un primo gruppo a Milano che ha come nome: “Gli amici di Beppe Grillo”. Io cercherò di incontrare i gruppi sul territorio durante il mio tour e ogni volta che partecipo a un evento”. Ancora una volta, virtuale e reale iniziavano a interagire in maniera inedita. Quel servizio informatico che permetteva a persone reali di affrontare temi reali fu il presupposto di un movimento con l'obiettivo di cambiare la realtà.

Il resto è storia. Il 25 febbraio 2012 il MoVimento 5 Stelle, grazie a 8 milioni di voti, portò in parlamento 163 tra deputati e senatori. I motivi del successo? In primo luogo la crescente diffusione della rete e il suo libero accesso; un'utenza desiderosa di approfittare delle possibilità di interazione e partecipazione del web 2.0; un'informazione ingessata e considerata poco affidabile, ancora interamente basata su una comunicazione top down e in grave ritardo nel passaggio all'online. Se l'Italia era in netto ritardo rispetto ad altri paesi nella transizione al digitale, Casaleggio aveva intuito che questo non era un vero problema: “Quando si trasmette un messaggio politico in rete, la ricezione non è passiva. Chi ascolta il messaggio lo fa di sua volontà. Se  ritiene che il messaggio sia positivo, lo riporta, ma non solo attraverso Facebook, lo riporta la sera in famiglia, ne parla con i genitori, con i fratelli. La propagazione virale nel mondo reale consente di eliminare in gran parte l'handicap della diffusione ancora limitata di internet”.

Da un lato l'antico sapere teatrale e la popolarità di Beppe Grillo, dall'altro la visione tecnologica di Gianroberto Casaleggio. Il loro incontro stava producendo un inedito progetto politico, in grado di parlare insieme alla pancia e alla rete. Nel paese della “casta”, gerontocratico e corrotto. Grillo poteva manipolare i sentimenti degli elettori con l'antica sapienza dei teatranti, Casaleggio poteva promettere una nuova forma di democrazia diretta, partecipata e inclusiva, in grado di superare la mediazione dei partiti e degli organi tradizionali di informazione.
Viena da chiedersi che cosa potrà accadere al MoVimento 5 Stelle, ora che non ha più la guida del suo “tecnoprofeta”. Se un partito cresciuto impetuosamente in tempi rapidissimi ha saputo costruire una autentica classe dirigente e raggiunto la necessaria maturità politica. Se resteranno in vigore le regole di una democrazia diretta che coinvolge solo pochissimi militanti in decisioni che riguardano tutto il paese. Se alla logica del plebiscito e della lotta mortale dei buoni e puri contro i cattivi e corrotti si sostituirà quella della necessaria mediazione politica. Senza rinunciare ai principi e al valore della vera democrazia.

http://www.iulm.it/wps/wcm/connect/iulmit/iulm-it/personale-docenti/dipartimento-di-arti-e-media/titolari-di-contratto-per-attivita-di-insegnamento-di-corso-ufficiale/ponte-di-pino-oliviero-gaetano-maria

















All'apertura della sessione sinodale dello scorso ottobre, in favore di chi potesse averlo dimenticato, Bergoglio avvertiva che «il sinodo non è un parlamento», non è un luogo «dove ci si mette d'accordo». Ancora più esplicito, alcuni mesi prima, era stato quando, all'accendersi di imbarazzanti tensioni tra gli opposti schieramenti in seno all'assise che doveva licenziare l'Instrumentum laboris a partire dalla Relatio synodis, aveva rammentato che, a norma del Codice di Diritto Canonico, «il sinodo dei vescovi è direttamente sottoposto all'autorità del Romano Pontefice» (Can. 344). Come a dire: parresia à gogo, ma poi decido io, quindi moderiamo i toni. Che poi poteva intendersi pure a questo modo: ho già deciso il da farsi, mi servite solo a dargli la parvenza di una decisione collegiale, quindi cercate di non rompermi il cazzo.
Cosa avesse deciso era già chiaramente intuibile nella stessa decisione di convocare un sinodo straordinario, e proprio sulla famiglia: i margini entro i quali la pastorale poteva azzardare qualche novità consentivano di rinforzare all'esterno l'immagine di un pontificato che più di un fesso già aveva definito «rivoluzionario», senza per questo dover mettere a soqquadro la dottrina. In sostanza, si era riprodotta la situazione che ha già dato altre volte in passato alla Chiesa di Roma l'opportunità di mostrarsi in grado di adattarsi ai tempi, ma senza svendere il suo deposito di fede, e Bergoglio non intendeva lasciarsene scappare l'occasione. Con l'esortazione apostolica postsinodale Amoris laetizia diremmo che l'operazione sia andata a buon fine, ne sono prova le reazioni di chi vuol leggerla come una «rivoluzione».
In realtà, basta attenersi al testo per constatare che le sue accorte ambiguità possono accontentare anche i cattolici più intransigenti, che senza dubbio non rinunceranno a qualche lamentela, ma più per onorare il ruolo assegnato loro in commedia che per sincera preoccupazione. Nei loro confronti, d'altronde, Bergoglio ha mostrato grande delicatezza con l'annuncio di una ripresa delle trattative coi lefebvriani, diffuso, seppur con la dovuta discrezione, appena una settimana prima che fosse pubblicata l'Amoris laetizia.

«La gioia dell'amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa» (1). Sarà superfluo chiarire che parliamo delle «famiglie» che la Chiesa ritiene propriamente tali, perché, tanto per fare un esempio, «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia» (251). D'altra parte, la Chiesa può considerare moralmente legittimo un amore che non sia fecondo dandosi in «immagine









«Diremo forse che colui che dà
maggiormente perde nello scambio
sul valore di ciò che possedeva?
Niente affatto, dal momento
che tale superfluo è per lui senza utilità,
o che comunque, egli ha accettato di farne lo scambio
proprio perché accorda maggior valore
a ciò che riceve che a ciò che abbandona»

Michel Foucault,
Le parole e le cose (1966)





















per scoprire e descrivere il mistero di Dio» (11)?
E allora tutto vien da sé: cinque capitoli (198 dei 325 paragrafi che compongono l'Amoris laetitia) che scorrono anodini a riproporci il modello di famiglia cristiana, quello strano oggetto che dalla testa del prete è proiettato sulla famiglia reale che occupa il banco in prima fila e pare segua con attenzione la sua omelia. Famiglia che non esiste neppure al netto delle assoluzioni per tutte le disattenzioni, ma al prete piace tanto da considerarla l'unica possibile, anche se ha imparato a prendere atto che deve accontentarsi del poco che la proiezione gli restituisce: «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero» (3), anche perché non possono, puttana Eva, e allora conviene «essere umili e realisti, per riconoscere che a volte il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo» (36). «Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l'apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme»(37), e che ci abbiamo ricavato? «Dobbiamo ringraziare per il fatto che la maggior parte della gente stima le relazioni familiari che vogliono durare nel tempo e che assicurano il rispetto all'altro» (38), approfittiamone e cerchiamo di cavarne quel che può tornarci utile.
Sia chiaro, «in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l'ideale pieno del matrimonio» (307), ma cerchiamo di chiudere un occhio tutte le volte che nella realtà dobbiamo constatarlo più mezzo vuoto che mezzo pieno. Parola d'ordine: indorare la pillola. Per meglio dire: sull'amo della dottrina ci vada un bel verme grasso di misericordia, e buona pesca. Viga il principio, ma la regola si adatti al caso. Perché il peccato resti peccato, siate di manica larga col perdono. Divorzio, aborto, eutanasia, fecondazione assistita, matrimonio gay – non cambia niente, è ovvio, ma cerchiamo di non urlarlo a squarciagola, ché ne ricaviamo solo emorroidi. Eucaristia ai divorziati risposati? No, ma sì, cioè, così così.
Ok, potrà «costa[rci] molto dare spazio nella pastorale all'amore incondizionato di Dio», saremo portati a «esig[ere] dai penitenti un proposito di pentimento senza ombra alcuna», ma convincetevi che «la prevedibilità di una nuova caduta non pregiudica l'autenticità del proposito» (311). Buon viso a cattivo gioco, ché a fare la faccia cattiva non si ha buon gioco.
Luigi Castaldi





























La Francia e l'Egitto stanno rafforzando i loro rapporti economici e militari. Parigi cerca di aumentare la propria influenza nel Nordafrica, utilizzando gli egiziani anche sulla crisi libica, e una sponda per il Cairo che trova nella Francia un partner occidentale forte, in un periodo in cui i rapporti con Europa e Stati Uniti sono annacquati sia dalla torbida vicenda che ha coinvolto il ricercatore italiano Giulio Regeni, che dall'avvicinamento egiziano al polo attrattivo islamico rappresentato dall'Arabia Saudita. Oggi, tra l'altro, il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi ha detto: “Non sono stati i Servizi, ma gente malvagia”. E ci sarà il caso di Regeni nell'agenda del presidente francese François Hollande in visita nei prossimi giorni in Egitto, scrive il Corriere della Sera riportando fonti diplomatiche francesi che aggiungono: “A Parigi prendiamo molto seriamente questo dossier, il presidente porrà la questione nei colloqui privati con Al-Sisi”.

VISITE E PRESENZE
Il 18 aprile il presidente francese François Hollande sarà infatti in Egitto per una visita di Stato che si prevede intensa e proficua (passerà anche per Libano e Giordania): sarà accompagnato da una delegazione di oltre 60 tra businessman e funzionari, oltre che da alcuni ministri, con l'intento di chiudere svariati accordi economici e commerciali. La visita è stata anticipata dalla presenza al Cairo del capo del protocollo dell'Eliseo, Elizabeth Dobelle, giunta sul posto nei giorni scorsi con un team di dirigenti francesi di alto livello, per mettere nero su bianco gli aspetti operativi e sostanziali di quelle intese che saranno siglate. La scorsa settimana, sempre in Egitto, s'è recato re Salman di Arabia Saudita: Riad finanzierà un ponte sul Mar Rosso che unirà i due Paesi (che forse sarà intitolato al sovrano saudita) e investirà circa 16 miliardi di dollari nella traballante economia egiziana; inoltre sono stati tracciati definitivamente i confini marittimi tra i due Stati, con l'Egitto che ha ceduto all'Arabia gli isolotti di Tiran e Sanafir. Quest'ultimo un aspetto non secondario, che ha richiesto precisazioni diplomatiche da parte del ministro della Difesa israeliana Moshe Yaloon, dato che Israele per quei confini sul Sinai e sul Mar Rosso ha combattuto guerre con l'Egitto. Ora però la fase di collaborazione è aperta, e l'ottica che collega Gerusalemme-Riad-Cairo è il contrasto alle iniziative dell'Iran (e delle milizie collegate) per una stabilità esistenziale tanto dello stato ebraico quanto dei paesi sunniti, oltreché il counter-terrorism in generale; su ciò si è basata anche la costituzione da parte dell'Arabia Saudita della cosiddetta “Nato islamico”, di cui l'Egitto è uno dei principali contribuenti. La creazione di questi allineamenti è vista anche come un tentativo di sganciarsi dalla dipendenza dagli Stati Uniti, cercando altre sponde occidentali come per esempio la Francia; già a giugno una visita di Laurent Fabius,

il ministro egli Esteri francese, aveva avuto come obiettivo tastare il terreno tra palestinesi, egiziani, giordani e israeliani.

I SOLDI SAUDITI IN FRANCIA
Riad aveva già stanziato dei fondi all'Egitto nel febbraio del 2015 per l'acquisto di 24 jet Rafale, valore della commessa 5,2 miliardi di euro, forniti dalla Francia: a questa il Cairo ha affiancato le due classi Mistral che dovevano finire a Mosca, bloccate poi dalle sanzioni (altra commessa da 3 miliardi), e due corvette Gowind, sempre francesi (un altro miliardo), più, rivela Defense News, un sistema di comunicazione satellitare per un altro miliardo di euro; delle corvette e del satellite si definiranno gli estremi durante la prossima visita di Stato di Hollande, secondo La Tribune (nel contratto finirebbe anche Finmeccanica attraverso Thales Alenia Space, la più importante società europea nel settore delle tecnologie satellitari). I soldi investiti da Riad per rafforzare la difesa egiziana attraverso contratti con la Francia si sommano a quelli che Parigi riceverà per i contratti siglati sul nucleare saudita, dove le ditte francesi si occuperanno delle opere di progettazione e costruzione degli impianti (due previsti per il 2020, sedici per il 2030). Un rapporto che si consolida e che coinvolge una geopolitica ampia: se Credit Agricole e altri istituti francesi 'hanno deciso di finanziare lEgitto, non è tanto per la garanzia posta dal Ministero delle finanze egiziano, ma più che altro perché dietro ci sono i sauditi.
Il rapporto stretto con gli egiziani permette ai francesi di rafforzare la propria presenza nel Maghreb e nel Sahel, dove è già impostato un dispositivo militare che prende il nome di Barkhane, contro il terrorismo e i traffici illeciti, a difesa degli interesse di Parigi estesi su tutta l'area.

NON SOLO ARMI
L'ambasciatore francese al Cairo, Andre Parant, ha annunciato che durante gli incontri collegati alla visita di Stato di Hollande lunedì prossimo “saranno firmati oltre 30 accordi” tra cui “contratti commerciali” e “progetti finanziari” che aumenteranno la mole di scambi commerciali (per ora pari a 2,5 miliardi l'anno), e altri “dieci protocolli di intesa” (MOU) su vari ambiti economici: energia, formazione professionale, turismo. Particolarmente interessante quest'ultimo settore: il turismo in Egitto è gravato dalla presenza dello Stato islamico nel Sinai, contro cui il governo di Abdel Fattah al Sisi sta cercando di combattere una guerra fisica ma anche psicologica. In entrambi i casi arriva l'aiuto francese, perché Parant, differentemente dagli sconsigli posti da diverse altre cancellerie occidentali (e anche quella russa) per ragioni di sicurezza nelle località turistiche del Mar Rosso (e ora pure al Cairo), ha invitato i propri concittadini a viaggiare verso l'Egitto. Sul turismo potrebbero pesare anche i successivi passaggi diplomatici della Farnesina a seguito degli sviluppi








della vicenda Regeni: l'Italia per il momento si è limitata a richiamare per consultazioni l'ambasciatore, ma potrebbe porre veti sui viaggi in Egitto per altre ragioni di sicurezza, legate in questo caso alla gestione del potere di Sisi. Una posizione completamente opposta rispetto a quella della Francia dunque; anche se il ministero degli Esteri francese ha espresso preoccupazione per la volontà egiziana di chiudere il centro El Nadeem per la riabilitazione delle vittime di tortura, lo stesso che aveva fornito al Corriere della Sera nomi e storie di oltre 500 persone imprigionate dal regime.

LE CONTROVERSIE
Il vice direttore della rivista Monde Diplomatique due anni, fa in occasione della prima visita di Sisi in Francia, commentò che quello visto a Parigi era “un ritorno al passato”: “Ci si sente come a vedere Mubarak ricevuto da Chirac o Sarkozy”. Ha spiegato che “qualsiasi governo francese dovrà avere relazioni con un governo egiziano. Ma ad agire come se tutto fosse normale, come se non ci fossero problemi in Egitto, senza alcuna allusione alla situazione, alle persone imprigionate, è abbastanza inquietante”.
Un altro aspetto controverso di questo rapporto tra Egitto e Francia riguarda la crisi libica, che rappresenta per l'Europa una delle problematiche maggiori in termini di sicurezza (non solo: su Newsweek membri italiani dell'agenzia Onu per i rifugiati hanno espresso preoccupazione sulla riapertura massiccia dei flussi di migranti dalla Libia, dove nei primi tre mesi del 2016 c'è stato un incremento dei traffici dell'85 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente). In Libia la Francia appoggia ufficialmente il governo proposto dalle Nazioni Unite, insediatosi momentaneamente a Tripoli e in attesa del voto parlamentare, ma le forze speciali francesi si troverebbero sul lato opposto, nella base Benina a qualche decina di chilometri da Tobruk,   dando supporto alle truppe del generaleKhalifa Haftarinsieme agli egiziani. Una posizione ambigua, visto che in questo momento Tobruk non sta fornendo via libera politico al leader-Onu Fayez Serraj proprio perché forte del sostegno dell'Egitto, che ha sulla Cirenaica una mira separatista geopolitica, e delle conquiste territoriali ottenute a Bengasi, pare anche grazie all'aiuto francese.

Emanuele Rossi
DanEm

http://formiche.net/2016/04/13/francia-egitto-italia/