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INFORMAZIONI IN DETTAGLIO SULLE FORNITURE ENERGETICHE IN ITALIA
La situazione energetica nazionale nel 2014.
http://dgsaie.mise.gov.it/dgerm/downloads/situazione_energetica_nazionale_2014_v4_con_allegati.pdf
Bilancio Energetico Nazionale 2014
http://dgsaie.mise.gov.it/dgerm/ben/ben_2014.pdf
Documento di predisposizione del PAEE 2014- Obiettivi nazionali di efficienza energetica 2020
http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/documenti/PAEE2014_ENEA_4giu_vers2003.pdf
Carta dei titoli minerari in Italia
http://unmig.mise.gov.it/unmig/cartografia/tavole/titoli/titoli.pdf
http://unmig.mise.gov.it/unmig/cartografia/cartografia.asp



















Ho provato decine di volte a chiedere a persone di mia conoscenza quanti metri cubi di metano consumassero per riscaldare un metro quadrato della loro abitazione e nessuno è mai stato in grado di rispondere. Ho chiesto quanti kwh consumasse  mediamente ogni giorno la famiglia e nessuno mi ha saputo rispondere. Non sanno neppure quanti litri di combustibile hanno acquistato per le proprie auto nell'anno precedente.  Non permettevi poi di domandare quanta CO2 (che roba sarebbe…?) producono come famiglia perché rischiate di essere malmenati.
L'ignoranza sui consumi energetici nelle famiglie degli italiani regna sovrana nonostante i costi economici ed ambientali.
Invece sanno tutto sul numero di scarpe del calciatore leader nella propria squadra.
Non chiedetegli poi le caratteristiche dell'ultimo sansumg galaxy s7 che vi  inonderanno di informazioni dettagliatissime.
Ma i metri cubi di metano necessari a scaldare casa per metro quadro, di quelli proprio se ne fregano.

Prima di andare a votare il 17 aprile prossimo, ogni italiano dovrebbe leggersi perlomeno i tre documenti di cui riportiamo i link nel box del presente intervento.
Letti questi diciamo subito che l'Italia ha una situazione piuttosto critica in termini di sicurezza e indipendenza degli approvvigionamenti. Al 2012, l'82% del fabbisogno energetico italiano è coperto da importazioni nette, con produzione nazionale da rinnovabili, gas e greggio che coprono rispettivamente solo l'11%, il 4,3% e il 3,5% del fabbisogno nazionale. Il dato si confronta con una quota media di importazioni nette nell'Unione Europea a 28 Paesi significativamente più bassa, pari circa il 55%. Il fenomeno ha un forte impatto macro-economico per il Paese, che nel 2012 ha speso 57,9 miliardi di euro in importazioni di petrolio e gas.



Quanto ai prezzi dell'energia in Italia per il gas, il gap tra i prezzi pagati dalle famiglie italiane e quelle europee è sostanzialmente determinato dalla componente fiscale che, con l'eccezione della Francia per le classi più bassi di consumo, rende il nostro gas per uso domestico il più caro in Europa (del 20-30 per cento a seconda delle classi di consumo). Per le imprese invece il gap è assente fatta eccezione per le imprese con consumi più bassi, che, dopo le imposte, pagano un prezzo superiore del 10% della media europea (ma consumano meno dell' 1% del gas per utilizzi industriali). Per l'energia elettrica la situazione è differente. Con l'eccezione delle famiglie collocate nelle fasce inferiori di consumo (che consumano il 42 per cento della domanda residenziale), il prezzo italianodell'energia elettrica è tra i più elevati (dal 12 al 75 per cento in più della media dell'UE27),


in particolare, per le imprese; queste ultime sostengono prezzi più elevati della media europea in tutte le classi di consumo (di oltre il 35-48 per cento).

Diamo poi un'occhiata anche alla tabella che riporta i dati della produzione e consumo di gas e petrolio nazionali sia a terra  che a mare e l'apporto degli stessi ai consumi nazionali.
Infine prendiamo una bolletta Enel del primo bimestre 2016 di una famiglia “ricca” che consumato 1941 kwh (nei primi due mesi del 2016) ha speso 498,49€ suddivisi per  (a) il 33,72% come spesa per la materia energia (che ha un prezzo di mercato); (b) il 14,60% per le spese di trasporto e la gestione della fornitura (fissati dal GSE); (c) il 36,59% come spese per oneri di sistema (fissati per legge);  (d) il 13,88% per totale imposte ed IVA ed  (e) il resto è insignificante1,19% .
Apri l'immagine in una altra  schermata.

Questo insieme di informazioni che ho volutamente tenuto sintetico al massimo ci dice che possiamo benissimo portare a compimento lo sfruttamento energetico del gas e del petrolio nei nostri mari finché scadranno i diritti di estrazione ed impiegare il frattempo per lo sviluppo massiccio del solare e dell'eolico per ridurre al minimo ogni importazione di gas e petrolio dall'estero.
Siccome l'Italia è il paese dove il temporaneo diventa permanente, occorre che un referendum  chiuda definitivamente a scatto i rubinetti altrimenti non chiuderanno mai.
Anche perché nel frattempo si sono scoperti giacimenti nell'alto Adriatico e nell'estremo sud-est del Mediterraneo: lo Zhor che presentano problemi di identificazione nei diritti di estrazione tra gli stati confinanti. Problemi che vanno risolti bilateralmente.

Un piano energetico nazionale, vista la nostra dipendenza energetica, non può tener conto soltanto del “se continuare ad estrarre ed eventualmente ampliare” le estrazioni nei territori italiani a terra e mare così come non può tenere conto soltanto  dei grandi metanodotti  Russia-UE che stiano nel nord Europa oppure a sud della stessa Ue.

Un piano energetico nazionale ormai deve incrociarsi con una politica estera molto forte ed articolata verso quei paesi  culla o lievito di qualsiasi forma di terrorismo.
Occorre cioè seguire per l'Italia, se del caso, dismettere assieme all'Ue le forniture da alcuni paesi (Libia p.e.) per  molti mesi in modo che la mancanza di finanziamenti imponga un netto cambio di strategia da parte degli stessi (paesi) verso il terrorismo.

In questo senso lo sviluppo delle fonti elettriche eoliche e solari fino al 2-3 volte entro i prossimi dieci-quindici anni (fotovoltaico con accumulo) va messo in un programma di sviluppo del paese e dell'Ue (dove noi siamo sempre i fratelli poveri o scemi, in materia).
Anche il settore trasporti pubblici (bus metro treni) deve prevedere una decisa direzione in favore dell'elettrico mentre l'ibrido (motore elettrico + endotermico)  nel trasporto privato è un prodotto del tutto insensato. Semmai l'uso dell'auto privata va disincentivata con una forte accentuazione dei costi dell'uso del suolo pubblico (parcheggi) per favorire l'utilizzo del mezzo pubblico elettrico.
In sostanza il petrolio e connessi va riservato in gran parte all'utilizzo nella chimica e via via nel residuo parco automobilistico.
Va fatta anche un'indagine nazionale sulla proprietà e sui finanziamenti  delle fonti energetiche alternative (i grandi impianti solari ed eolici) italiani per verificare e interdire lo sfruttamento mafioso del sistema.

Ultimo ma importante è anche il prezzo finale dell'energia nelle sue varie componenti. In buona sostanza oggi il costo dell'energia elettrica al consumatore non è determinato dal mercato ma da soggetti esterni, il governo in primis. Fino al 52% della bolletta elettrica vediamo che trattasi di “spese misteriose” che vanno ampiamente rimodulate fino a dimezzarsi attraverso sia la compressione di alcune che l'eliminazione di altre. Idem dicasi per quel 13,88% di tasse ed IVA che vanno ridotte ad un'unica imposta (IVA).














Nel marzo di trentasei anni fa Italo Calvino pubblicava su questo giornale un articolo intitolato Apologo sull'onestà nel paese dei corrotti. Vale la pena di rileggerlo (o leggerlo) non solo per coglierne amaramente i tratti di attualità, ma per chiedersi quale significato possa essere attribuito oggi a parole come “onestà” e “corruzione”. Per cercar di rispondere a questa domanda, bisogna partire dall'articolo 54 della Costituzione, passare poi ad un detto di un giudice della Corte Suprema americana e ad un fulminante pensiero di Ennio Flaiano, per concludere registrando il fatale ritorno dell'accusa di moralismo a chi si ostina a ricordare che senza una forte moralità civile la stessa democrazia si perde.
Quell'articolo della Costituzione dovrebbe ormai essere letto ogni mattina negli uffici pubblici e all'inizio delle lezioni nelle scuole (e, perché no?, delle sedute parlamentari).
Comincia stabilendo che « tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi » . Ma non si ferma a questa affermazione, che potrebbe apparire ovvia. Continua con una prescrizione assai impegnativa: « i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore » . Parola, quest'ultima, che rende immediatamente improponibile la linea difensiva adottata ormai da anni da un ceto politico che, per sfuggire alle proprie responsabilità, si rifugia nelle formule « non vi è nulla di penalmente rilevante » , « non è stata violata alcuna norma amministrativa » . Si cancella così la parte più significativa dell'articolo 54, che ha voluto imporre a chi svolge funzioni pubbliche non solo il rispetto della legalità, ma il più gravoso dovere di comportarsi con disciplina e onore.
Vi è dunque una categoria di cittadini che deve garantire alla società un “ valore aggiunto”, che si manifesta in comportamenti unicamente ispirati all'interesse generale. Non si chiede loro genericamente di essere virtuosi. Tocqueville aveva colto questo punto, mettendo in evidenza che l'onore rileva verso l'esterno, « n'agit qu'en vue du public », mentre «la virtù vive per se stessa e si accontenta della propria testimonianza».
Ma da anni si è allargata un'area dove i “servitori dello Stato” si trasformano in servitori di sé stessi, né onorati, né virtuosi. Si è pensato che questo modo d'essere della politica e dell'amministrazione fosse a costo zero. Si è irriso anzi a chi richiamava quell'articolo e, con qualche arroganza, si è sottolineato come quella fosse una norma senza sanzione. Una logica che ha portato a cancellare la responsabilità politica e a ridurre, fin quasi a farla scomparire, la responsabilità amministrativa. Al posto di disciplina e onore si è insediata l'impunità, e si ripresenta la concezione «di una classe politica che si sente intoccabile», come ha opportunamente detto Piero Ignazi. Sì che i rarissimi casi di dimissioni per violato onore

vengono quasi presentati come atti eroici, o l'effetto di una sopraffazione, mentre sono semplicemente la doverosa certificazione di un comportamento illegittimo. Questa concezione non è rimasta all'interno della categoria dei cittadini con funzioni pubbliche, ma ha infettato tutta la società, con un diffusissimo “così fan tutti” che dà alla corruzione italiana un tratto che la distingue da quelli dei paesi con cui si fanno i più diretti confronti. Basta ricordare i parlamentari inglesi che si dimettono per minimi abusi nell'uso di fondi pubblici: i ministri tedeschi che lasciano l'incarico per aver copiato qualche pagina nella loro tesi di laurea: il Conseil constitutionnel francese che annulla l'elezione di Jack Lang per un piccolo sforamento nelle spese elettorali; il vice-presidente degli Stati Uniti Spiro Agnew si dimette per una evasione fiscale su contributi elettorali (mentre un ministro italiano ricorre al condono presentandolo come un lavacro di una conclamata evasione fiscale).
Sono casi noti, e altri potrebbero essere citati, che ci dicono che non siamo soltanto di fronte ad una ben più profonda etica civile, ma anche alla reazione di un establishment consapevole della necessità di eliminare tutte le situazioni che possono fargli perdere la legittimazione popolare. In Italia si è imboccata la strada opposta con la protervia di una classe politica che si costruiva una rete di protezione che, nelle sue illusioni, avrebbe dovuto tenerla al riparo da ogni sanzione. Illusione, appunto, perché è poi venuta la più pesante delle sanzioni, quella sociale, che si è massicciamente manifestata nella totale perdita di credibilità davanti ai cittadini, di cui oggi cogliamo gli effetti devastanti. Non si può impunemente cancellare quella che in Inghilterra è stata definita come la “ constitutional morality”.
In questo clima, ben peggiore di quello degli anni Ottanta, quale spazio rimane per quella “controsocietà degli onesti” alla quale speranzosamemte si affidava Italo Calvino? Qui vengono a proposito le parole di Louis Brandeis, giudice della Corte Suprema americana, che nel 1913 scriveva, con espressione divenuta proverbiale, che «la luce del sole è il miglior disinfettante ». Una affermazione tanto più significativa perché Brandeis è considerato uno dei padri del concetto di privacy, che tuttavia vedeva anche come strumento grazie al quale le minoranze possono far circolare informazioni senza censure o indebite limitazioni (vale la pena di ricordare che fu il primo giudice ebreo della Corte). L'accesso alla conoscenza, e la trasparenza che ne risulta, non sono soltanto alla base dell'einaudiano “conoscere per deliberare”, ma anche dell'ancor più attuale “ conoscere per controllare”, ovunque ritenuto essenziale come fonte di nuovi equilibri dei poteri, visto che la “democrazia di appropriazione” spinge verso una concentrazione dei poteri al vertice dello Stato in forme sottratte ai controlli tradizionali.




Articolo 54 della Costituzione Italiana

Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.

Tema attualissimo in Italia, dove si sta cercando di approvare una legge proprio sull'accesso alle informazioni, per la quale tuttavia v'è da augurarsi che la ministra per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione voglia rimuovere i troppi limiti ancora previsti. Non basta dire che limiti esistono anche in altri paesi, perché lì il contesto è completamente diverso da quello italiano, che ha bisogno di ben più massicce dosi di trasparenza proprio nella logica del riequilibrio dei poteri. E bisogna ricordare la cattiva esperienza della legge 241 del 1990 sull'accesso ai documenti amministrativi, dove tutte le amministrazioni, Banca d'Italia in testa, elevarono alte mura per ridurre i poteri dei cittadini. Un rischio che la nuova legge rischia di accrescere.
Ma davvero può bastare la trasparenza in un paese in cui ogni giorno le pagine dei giornali squadernano casi di corruzione a tutti livelli e in tutti i luoghi, con connessioni sempre più inquietanti con la stessa criminalità? Soccorre qui l'amara satira di Ennio Flaiano. «Scaltritosi nel furto legale e burocratico, a tutto riuscirete fuorché ad offenderlo. Lo chiamate ladro, finge di non sentirvi. Gridate che è un ladro, vi prega di mostrargli le prove. E quando gliele mostrate: “Ah, dice, ma non sono in triplice copia!”». Non basta più l'evidenza di una corruzione onnipresente, che anzi rischia di alimentare la sfiducia e tradursi in un continuo e strisciante incentivo per chi a disciplina e onore neppure è capace di pensare.
I tempi incalzano, e tuttavia non vi sono segni di una convinta e comune reazione contro la corruzione all'italiana che ormai è un impasto di illegalità, impunità ostentata o costruita, conflitti d'interesse, evasione fiscale, collusioni d'ogni genere, cancellazione delle frontiere che dovrebbero impedire l'uso privato di ricorse pubbliche, insediarsi degli interessi privati negli stessi luoghi istituzionali (che non si sradica solo con volenterose norme sulle lobbies). Fatale, allora, scocca l'attacco alla magistratura e l'esecrazione dei moralisti, quasi che insistere sull'etica pubblica fosse un attacco alla politica e non la via per la sua rigenerazione. E, con una singolare contraddizione, si finisce poi con l'attingere i nuovi “salvatori della patria” proprio dalla magistratura, così ritenuta l'unico serbatoio di indipendenza. Il caso del giudice Cantone è eloquente, anche perché mette in evidenza due tra i più recenti vizi italiani. La personalizzazione del potere ed una politica che vuole sottrarsi alle proprie responsabilità trasferendo all'esterno questioni impegnative. Alzare la voce, allora, non può mai essere il surrogato di una politica della legalità che esige un mutamento radicale non nelle dichiarazioni, ma nei comportamenti.



















TRIPOLI. «C'è una sola richiesta che tutti facciamo all'Italia: non pensate alle armi, ai soldati e ai cacciabombardieri. Riaprite l'Istituto di cultura, riaprite il consolato e le scuole di italiano, tornate ad aiutare i giovani, le donne, la società civile. Fate programmi civili per aiutare i libici a fare la pace, fate programmi per riabilitare i nostri ospedali, le scuole, i servizi. Fate questo e sconfiggeremo i terroristi meglio di quanto pensate».
Marzia, Alia e Nour sono le professoresse della scuola di italiano “più pazza del mondo”. Insegnavano a Tripoli all'Istituto di cultura, che ha chiuso insieme all'ambasciata e al consolato. Ma loro hanno riaperto di loro iniziativa una piccola scuola privata, che si appoggia a un asilo libico nelle ore di chiusura, ogni pomeriggio.
Marzia Sapienza è di Sapri, ha sposato un libico. Alia Tlassi e Nour sono mamma e figlia: la madre di Alia era toscana, il papà libico. «Siamo la testimonianza dell'Italia che i libici amano», dice Marzia, una donna piccola, dura ma gentile. «Sono stati cinque anni pesanti quelli trascorsi dalla rivoluzione a oggi, io per esempio avevo partorito in Italia nell'estate del 2014, sono rientrata e due

 settimane dopo è scoppiata la guerra civile, proprio Cinque settimane chiusi in casa, sotto le bombe. Non abbiamo mollato e adesso siamo qui».La scuola è una piccola oasi di felicità e anche una distrazione in una città che ha una resilienza incredibile, ma davvero è vicina al collasso psicologico. Dice Alia che «nei momenti di tregua più prolungata riusciamo ad avere fino a 60-70 studenti. Tutti attratti dalla voglia di Italia, dalla passione per l'italiano, dal desiderio di aprirsi al mondo e alla cultura. Certo, lo faccio per me, per non star ferma per indirizzare la mia energia. Ma posso dire che lo faccio soprattutto per questi giovani, per i miei paesi che sono l'Italia e la Libia? A Natale abbiamo giocato alla tombola, in Libia naturalmente non sanno cos'è la tombola, cosa vuol dire “mescolare bene i numeri” prima di estrarli! Abbiamo cantato l'inno nazionale, abbiamo preparato il torrone e la pizza». Nour, la figlia di Alia, è un medico, la mattina lavora in ospedale e il pomeriggio insegna italiano: «Le ragazze come al solito sono le più brave», dice mentre le sue studentesse applaudono. Una di loro, Sondos, studia ingegneria meccanica e poi di pomeriggio viene qui a imparare l'italiano.

«Ho visitato con la mia famiglia il Ferrari World ad Abu Dhabi, chissà che non ce la faccia a lavorare a Maranello in fabbrica: una donna, libica, ingegnere, alla Ferrari…» Un'altra, Ranya, è già architetto, ha finito di studiare italiano, e lavora in un'impresa di costruzioni: «È una soddisfazione sapere che in un paese con tutte queste difficoltà c'è gente, ci sono giovani e meno giovani che guardano all'italiano come una lingua che è uno strumento di cultura, non solo l'inglese che serve per lavorare, che magari è più utile, ma meno sofisticato».
Un buon ricordo l'ha lasciato l'ultimo direttore dell'Istituto di cultura, Pietro Rosselli. Un ottimo ricordo come al solito una donna, l'ultima console che prima dell'evacuazione è rimasta per giorni in ufficio fino alle 2 di notte per chiudere tutte le pratiche per gli ultimi visti, per le ultime pratiche. «L'amore dei libici per l'Italia è incredibile, noi dobbiamo amare la Libia, capirla e aiutare a ricostruirla per bene». La scuola delle donne è una grande scuola.

(Vincenzo Nigro per Repubblica 08 aprile 2016)






















State bene addossati al muro ed avvinghiati alla ringhiera che sta arrivando la banda larga. Che non é la banda bassotti ulteriormente ingrassati (larghi…) ma “«entro il 2020 tutta Italia viaggerà su Internet a almeno 30 megabit al secondo. E il 50% del territorio potrà navigare a 100 mega. È arrivato il futuro anche in Italia».
L'ha annunciato Matteo Renzi da Palazzo Chigi assieme al piano di Enel con partner privati (Vodafone e Wind) per andare come razzi sul web.  Sta'nbanda. Al suo fianco l'amministratore delegato del colosso energetico e i sindaci di Perugia, Cagliari, Bari, Venezia e Catania. Il programma nei prossimi 4 anni arriverà in 224 città e si comincia proprio da questi cinque comuni (seguiti da Firenze, Genova, Napoli, Palermo e Padova), per un investimento totale di 2,5 miliardi.
Continua il nostro: «noi oggi presentiamo un progetto di Enel che è molto innovativo, coinvolge tutto il territorio e dimostra che le opere pubbliche, sulle quali noi stiamo lavorando, sono la nostra cifra costitutiva .Il governo è qui per realizzare le cose che per anni non si sono fatte. Siamo qui per questo. Siamo qui per sbloccare le opere, compresa la banda larga, e siamo sempre pronti a dare una mano a quei soggetti, pubblici e privati, che danno una mano all'Italia a sbloccare i progetti. Intanto nelle aree a fallimento di mercato (cluster C e D)- precisa Renzi - la prima gara partirà il 29 aprile, stessa data per celebrare i 30 anni di Internet in Italia con una grande festa a Pisa».

La messa in opera della fibra ottica finora ha seguito gli interessi degli operatori privati che hanno finanziato la messa in opera della fibra con la fornitura di un servizio trasmissione dati eterogeneo (telefono, televisione, cinema, musica).
Il fatto è che in dieci anni le aziende operatrici del servizio telefonico hanno cambiato pelle dividendosi in due: sono diventate in buona sostanza delle venditrici di cellulari oltre ad investire nella stesura dei cavi.

Le aziende che hanno investito nella fibra hanno ovviamente privilegiato le zone A e B (grandi città) dove hanno potuto fornire anche servizi oltre il semplice telefonare o internet.
Per portare la fibra nelle zone  meno appetibili commercialmente (le C e D) il governo ha suggerito  ed ottenuto una alleanza Enel Vodafone Wind cui andranno finanziamenti autorizzati dall'Ue,  per 2,5 miliardi di euro.

Poi. Le società che gestiranno una rete in fibra ottica creata completamente con denaro pubblico verseranno un canone di concessione allo Stato. E lo Stato investirà i soldi incassati per dare dei voucher, dei buoni sconto alla famiglie deboli che sottoscriveranno un abbonamento. In generale, le società che gestiranno reti ultraveloci dovranno poi concederle in affitto a condizioni eque e non discriminatorie, se costruite anche solo in parte con denaro della collettività. Interessate a queste reti saranno società di tlc - magari di medie e piccole dimensioni - che non hanno una infrastruttura propria e devono affittarne una per poi vendere il servizio finale al cittadino.
 
Il Garante per le Comunicazioni (l'AgCom) entra nella partita della banda ultra larga dettando le sue linee guida in materia (relatore del provvedimento Antonio Preto). Destinatari di queste linee sono le aziende che gestiranno reti Internet velocissime e pubbliche. Sono considerate pubbliche perché realizzate in tutto o in parte con il denaro di tutti. Le linee guida sono richieste dalla Commissione Ue che vigilia sulla legittimità degli aiuti di Stato perché non ledano la concorrenza.

A noi pare che si stia creando un gran casino sotto il cielo dal momento che se finora ci poteva essere una logica  di mercato  nella suddivisione del territorio nazionale nella quattro zone commerciali  con importanza a decadere: A,B,C,D è anche vero che essendo la fibra ottica un'opera strategica per il paese, come la rete elettrica oppure quella del gas o le autostrade e le ferrovie, a nostro avviso questa rete deve avere un azionariato diffuso e partecipato dagli utenti oltre che da tutti gli operatori.
Vale a dire che la rete deve essere di una proprietà del tutto staccata dalle società che vogliono dare servizi. Le quali accederanno alla rete pagando un canone di affitto.
Niente quindi una pluralità di reti di una pluralità di proprietari ibridi, ma da una parte “le rete” e dall'altra parte “i fornitori di contenuti”. Che possono essere un canale RAI come un canale di una tv della Val d' Ossola oppure un editore oppure un'azienda che trasmette magari per poche ore e pochi giorni.
Quindi non ci sono le reti private (metro web p.e.) e le reti miste pubblico-privato come quelle che il governo intende adesso creare per le zone C e D.
Va sciolto quindi il nodo gordiano per cui chi vuole vendere p.e. un film deve avere  la fibra, il film, la pubblicità, la struttura tecnica per gestire il tutto.
In questo modo si consente a molti soggetti di entrare nella fornitura dei servizi via cavo a pagamento, senza bisogno che debbano correre ad aggiustare un cavo rotto da un improvvido pacherista oppure a risolvere un blackout elettrico in alta Val Seriana.
La divisione della proprietà tra chi costruisce e gestisce la rete da chi può fornire i contenuti crea anche la  condizione per cui il privato possa diventare socio dell'una e dell'altra parte. Ma mentre la società proprietaria della rete (privata e pubblica) deve avere nel cda anche una solida rappresentanza degli utenti (eletti da loro e non nominati dalla politica…) le società creatrici e venditrici di contenuti sono aziende private a tutti gli effetti e quindi offrono un prodotto che il  consumatore può scegliere di acquistare o meno.

Oggi le famiglie italiane pagano il canone  della TV pubblica, ma in questo modo questo canone potrebbe diventare il modo per accedere alla rete. La famiglia paga una rata mensile per disporre di una rete che gli garantisce un accesso  a 100 Bb/sec e poi acquista (di volta in volta o con un abbonamento) il servizio particolare che sceglie.
In questo modo si supera anche la stronzata per cui i canoni riscossi dallo stato dovrebbero servire “ai poveri”. Si fa come adesso col canone RAI: a una certa età non si paga.

Direi che il forsennato ed inutile ricambio del mercato attuale dei cellulari potrebbe meglio essere indirizzato (come spesa privata) verso questa forma di investimento che resterebbe tutta in Italia e favorirebbe l'occupazione piuttosto che la situazione attuale per cui l'intero mercato dei cellulari va a vantaggio di paesi stranieri.
Ovviamente un mercato cresciuto anarchicamente sfruttando “il chi arriva per primo” si trova davanti all'obbligo di ristrutturarsi a fondo ma questo è un bene perché la forza lavoro che si occuperà della fibra e della produzione dei contenuti non è il solito  disamorato e disadattato che ti vende il cellulare  o che confeziona il pacco in un magazzino amazon.

Il fatto è che… non ci crede nessuno che nel 2020 la popolazione italiana sarà connessa almeno a 30Mb/sec. Questo il guaio.




Le notizie sui media e sulla trasmissione degli stessi del 09 aprile 2016 sono tre.
Uno. Urbano Cairo lancia un'offerta per diventare il proprietario del gruppo editoriale del Corriere della Sera, dall'attuale posizione del 4,7%. La proposta, che è tecnicamente una "Offerta pubblica di scambio", prevede di ricevere 0,12 azioni Cairo Communication per ciascun titolo Rcs consegnato all'acquirente. L'Ops si rivolge alla totalità delle azioni di Rcs Mediagroup, quotato a Piazza Affari. Nei fatti, ogni 8,333 azioni Rcs apportate all'offerta, gli aderenti riceveranno una azione Cairo Communication.
Due. Mediaset va a nozze con Vivendi e diventa azionista indiretta — un vecchio sogno di Silvio Berlusconi — di Telecom Italia. Sky riunisce tutte le sue piattaforme europee in un unico contenitore per respingere l'assalto di Netflix.
Tre. Sky come Vivendi stanno lavorando dietro le quinte in queste ore per cercare accordi con i principali protagonisti di casa nostra: Cattleya, Lucisano, Wildside, Palomar, Lucky Red e Indiana production.
Mentre da una parte lo stato e le aziende telefoniche stanno cercando di coprire col servizio ad alta capacità tutto il territorio nazionale, nel contempo aziende editoriali o prevalentemente produttrici di contenuti (che finora hanno anche dovuto dotarsi delle infrastrutture per la trasmissione) stanno associandosi per ridurre i costi e migliorare l'offerta.
Ovviamente meglio tacere sulla qualità complessiva dell'offerta delle tv a pagamento come dello streaming. Epperò non si getta via il bambino coll'acqua sporca.
Se tutto va bene ci vorranno almeno cinque anni – bassa crescita cinese permettendo- prima che il sistema delle telecomunicazioni e dell'offerta  tv via cavo e satellite si siano “abbastanza o sufficientemente” ristrutturate sia in Europa che in Italia.
Se è vero che il mercato capitalistico per sua natura propone una pluralità di mezzi che vanno dalla carta stampata al doppino di rame alla fibra ottica fino all'wifi e al satellite, tutto l'insieme va tenuto sotto occhio dal punto di vista  della democrazia perché la possibilità e libertà di accesso (oltre che la effettiva concreta materiale disponibilità) resta il “nodo” della democrazia.
Perché se io compero un libro o un quotidiano stampato su carta, questo lo posso conservare in casa finchè dura, lo posso anche nascondere in caso di avvento di una dittatura, lo posso copiare e trasmettere a un terzo.
Differente invece è utilizzare un file comprato e scaricato dalla rete perché in questo caso ne posseggo “soltanto” il diritto di uso che mi viene consentito  dal collegamento internet ma che mi può anche essere impedito per un semplice softwhare sicuramente presente nel file scaricato.
Il libro me lo debbono sequestrare per togliermelo. Un file mi possono impedire di leggerlo senza venire a sequestrarmelo