Vito Conti, oggi vicesindaco ed assessore “alle politiche del territorio ed alla viabilità” sta in consiglio comunale da 26 anni, ufficialmente come indipendente eletto nella lista del PCI e poi  nelle liste omologhe successive. Come Pelizzoli ha rappresentato nel comune gli interessi dei negozianti secondo la tradizionale linea rossa in merito*, a Conti è toccato rappresentare per conto del PCI prima e poi, la linea di sostegno alle piccole imprese (edili) in netto contrasto coi grandi immobiliaristi. Posizione bene spendibile come ambientalista nella sua semplicità.
Da sempre all'ordine del giorno della politica locale c'é il tema della pessima situazione dei beni comunali ed ovviamente gli “imputati” erano gli impiegati addetti. Qualunque assessore si sia cimentato nell'impresa, dopo nemmeno un anno, entrava in rotta di collisione coll'ufficio in detta materia.
Poichè quegli impiegati erano tutti entrati nell'organico previo concorso (basta vedere la composizione politica sindacale degli organi di concorso per capire il meccanismo) , ovvio che non potevano essere licenziati e perché dipendenti pubblici e perché “io so che tu sai che io so”.
Preso atto delle consolidate critiche feroci che la politica riservava a un comportamento nettamente contrapposto e ritardante dell'UUTT nei confronti delle sue indicazioni – critiche che  si sentono da oltre 30 anni- si poteva immaginare che dopo l'esperienza della giunta Morelli la giunta Serra, appena nominata, NON confermasse gli incarichi dirigenti precedenti nell'UUTT. Invece sono passati tre anni (nei quali l'UUTT ha fatto tutto sommato felicemente vacanza rispetto ai tempi appena passati visto il blocco dell'attività edilizia sia pubblica che privata) perché la giunta decidesse – dopo ampio scontro coll'UUTT- di cambiarne l'organizzazione.
Con delibera di giunta (la n.151) del 5 novembre 2015 vengono decisi dei provvedimenti organizzativi di accorpamento servizio manutenzioni al settore gestione e sviluppo del patrimonio e mobilità interne dei relativi dipendenti comunali.
Il 17 dicembre 2015 viene approvato con delibera di giunta (la n.173) un atto di indirizzo per la gestione del patrocinio immobiliare pubblico con allegato un (potente!) “documento preliminare di indirizzo”.
Il 19 gennaio 2016 la giunta affida all'arch. Anna Gagliardi di Filago l'incarico previsto nelle delibera 173.,

Pare infine che dal dibattito in consiglio comunale (su questo non abbiamo certezza per via del solito maxi brusio di voci dell'assemblea) sia emerso anche:
-    l'architetto dirigente dell'UUTT avrebbe chiesto ed ottenuto di dimezzare i tempi della sua presenza a Curno e di impiegarsi in altro comune
-    che come dirigente del settore manutenzione e opere pubbliche del comune sia stato chiamato part time – al posto del geometra Mastromattei- un geometra del comune di Treviolo



No, non sognate: un lavoro del genere a Curno non lo vedrete mai!



Questo invece è sicuro: Conti ha dichiarato papale papale che la giunta ha deciso di cambiare registro nella organizzazione dell'ufficio tecnico ritenendo che questo non riuscisse a conseguire i risultati programmati dalla giunta stessa e che quindi, nonostante il netto contrasto coll'ufficio, abbia deciso di ricorrere ad una società che realizzi un servizio completo di tutto.
Il fatto è che questa dichiarazione non è venuta dall'assessore Cavagna (cui tuttora risulta assegnato l'incarico di organizzare e sovrintendere alla “manutenzione del patrimonio comunale” ma è stata fatta da Conti.

Lascia francamente perplessi che siano stati necessari tre anni ad un Conti (con 26 anni di politica alle spalle), una Serra (dieci anni ), un Benedetti (forse quindici ) per non rendersi conto di avere in mano una situazione irrisolvibile se non con un netto colpo di scimitarra.
Il responsabile del settore gestione e sviluppo del patrimonio fa anche il sindaco per una lista di centrodestra nel Comune di Lallio da due legislature: o il terzetto Serra, Conti, Benedetti sono pochissimo attenti perché appena eletti, dovevano cambiare completamente i dirigenti degli uffici.
Dei politici trasparenti dovevano andare in consiglio comunale (e alla popolazione) e dire semplicemente: noi siamo  una maggioranza con certi principi che non collimano con quelli della maggioranza presieduta dal responsabile del settore gestione e sviluppo del patrimonio e quindi abbiamo deciso di sostituirlo.
Perché un conto è il dipendente che nell'urna vota diversamente dalla maggioranza del comune dove lavora, altro conto è un SINDACO, la cui funzione non è un abito che si indossa o si sveste secondo i momenti.
Quindi gli equivoci o le doppiezze o le furbate, alla fine vengono al pettine e naturalmente si evidenziano con forza quando di soldi ne girano pochi o niente

e quindi gli ingranaggi scricchiolano frantumando la ghiaia che ci casca dentro piuttosto che il grasso che ci cola dentro.

La soluzione prospettata (da noi) era quella di unire 3-4-5 comuni per crearne uno di 25-30-35mila abitanti in modo da selezionare al meglio il personale e rafforzarne la professionalizazione, ma da questa parte nessuno politico ci sente e quindi sposa la facile drammatica e pericolosa strada dell'esternalizzazione di un servizio. Come se –constatato che ne la politica ne gli addetti sanno fare il loro mestiere- automaticamente con l'esternalizzazione diventassero tutti pronti preparati professionalizzati. Hai voglia !.
In queste condizione esternalizzare vuol dire inserire nelle casse comunali – quindi nelle tasche dei cittadini- una sorta di potente idrovora direttamente sui loro conti correnti.
Stona assai (ed uso un verbo elegante…) che un Conti arrivi dopo 25 anni a denunciare in consiglio una situazione che gli era nota fin dai primi anni del suo stare in consiglio. Tenere per qualche tempo un sassolino nella scarpa per capire se sia davvero un sassolino o un dito malformato a dolere ha una motivazione. Che siano necessari 25 anni per arrivare a capirlo getta una pessima luce sulle tue qualità di amministratore sia come “amministratore” che come “politico trasparente”.





























Quand'è che uno Stato democratico può perdere la pazienza? Non c'è alcunché di leggero o di faceto nell'affermazione.
Di fronte a uno scandalo simile - il più grande e crudele - e di fronte alle risposte oltraggiose che, in proposito, ha offerto il regime egiziano, cos'altro si deve attendere perché l'Italia dica che la misura è colma? Certo, è indubbio che, sulla morte di Giulio Regeni, sia in atto uno scontro all'interno del sistema . di potere di quel paese; ed è altrettanto sicuro che qualche segmento delle istituzioni egiziane mostrano una certa esile volontà di collaborazione. Ma tutto questo, finora, ha prodotto solo una successione vertiginosa di menzogne.
Chiariamo subito un punto: qui non si vogliono rompere le relazioni politiche, diplomatiche, istituzionali, economiche e commerciali con l'Egitto: si vuol piuttosto che, all'interno di quel sistema di rapporti, la questione della tutela dei diritti
fondamentali della persona occupi un posto centrale. Sia priorità tra le priorità. E mai sia ridotta ad accessorio superfluo, a promemoria retorico, a enfasi delle belle intenzioni e dei buoni propositi. Tutto qui: e so bene che si tratta di un'impresa particolarmente ardua, ma intanto incominciamo ad affrontarla. Ad esempio, per restare al. caso di Giulio Regeni, è previsto il 5 aprile un incontro tra gli investigatori della polizia egiziana e gli investigatori italiani. Qualora si rivelasse l'ennesimo diversivo, potremo ancora attendere o dovremo, infine, spazientirci?
Io penso che si debbano assumere, infine, quelle che appaiono come scelte ineludibili e indifferibili. Ovvero, in primo luogo, il richiamo per consultazioni dell'Ambasciatore d'Italia a II Cario, Maurizio Massari





Dovremo poi prendere atto che la vicenda Regeni, non è solo un fatto privato che ha provocato una ferita non rimarginabile tra i familiari e gli amici, ma che riguarda un paese intero nei suoi rapporti con un altro paese. Di conseguenza, andrà adottata una revisione profonda delle relazioni diplomatico-consolari tra i due Stati; e, in questo quadro, si potrà ipotizzare un ridimensionamento delle nostre rappresentanze in Egitto. Da ultimo, l'Unità di Crisi della Farnesina potrebbe essere costretta a prendere atto che recarsi in Egitto può implicare dei rischi per l'incolumità dei cittadini italiani; e che le autorità di quel paese, lungi dall'essere in grado di tutelare la sicurezza personale di chi vi si reca, possono addirittura costituire una minaccia per essa.
E allora il nostro ministero degli Esteri, attraverso l'Unità di crisi, appunto, potrebbe dichiarare l'Egitto “Paese non sicuro”, con conseguenze inevitabili sui flussi turistici italiani - e forse, non solo - verso lo Stato Nordafricano. Può considerarsi sicuro, infatti', un paese dove, nei soli primi mesi del 2016, sono state fatte sparire 88 persone, 8 delle quali ritrovate cadaveri? Ed è dunque l'Egitto, un luogo dove è possibile, secondo i criteri del diritto internazionale, attuare pratiche di respingimento di profughi giunti sulle nostre coste?
Ripeto: tutto ciò non è “dichiarare guerra all'Egitto”, figuriamoci: è, appunto, esercitare quella pressione diplomatica ed esprimere quella forza democratica, che sono le sole risorse di cui disponiamo per affermare la piena tutela dei diritti umani. E questa stessa tutela è la condizione perché le relazioni economiche e commerciali anche con l'Egitto, alle quali pure teniamo, e molto, possano realizzarsi in un clima di amicizia vera: non quella che definisce “ottimi rapporti” le relazioni segnate dal reciproco ricatto.



Non vogliamo insegnare il mestiere a nessuno, specialmente ad una ex insegnante ed autrice di libri che naturaliter si deve ritenere esperta e professionalizzata benissimo in merito.
Il fatto é che la Giunta Serra  oltre ad avere imbavagliato i suoi assessori e consiglieri proibendo loro l'uso (men che banale) dei network, ha una grave carenza comunicativa  nei confronti dei cittadini. Lasciamo perdere il fenomeno pietoso del giornaletto comunale (Curno IN comune). La comunicazione é scarsa sia nella motivazione "politica" delle delibere di giunta che nelle risposte in consiglio come di fronte a delle letture di fatti importanti.
Il problema della telecamera abusiva  nel garage del municipio  é finito nel porto delle nebbie per i cittadini. Il problema dei complicati rapporti coi dipendenti comunali, specie l'ufficio tecnico, che naviga nel procelloso chiacchiericcio popolare dal 02 giugno 1946 viene a galla  con delibere asettiche, con passaggi burocratici non spiegati, forse con la sottintesa speranza che nessuno se ne accorga. Poi leggiamo in un blog  di un incontro del sindaco con un gruppo di cittadini capitanati dal solito consigliere sulla moschea/centro islamico prossimo venturo e … ci si aspetterebbe un comunicato alla popolazione mentre invece si legge la notizia in una latrina privata. Poi in un consiglio comunale abbiamo un consigliere di opposizione che ammicca al vicesindaco una specie di "io so che tu sai che io so" e il vicesindaco, dato ormai come assente dalla prossima lista Vivere Curno per scoglionamento, scodella una verità stranota: la Giunta Serra ritiene che l'attuale ufficio non sia in grado di realizzare i progetti in programma. Che non é proprio una carezza. Per non parlare delle assemblee pubbliche, dove sono costantemente in azione i guastatori al servizio della Giunta per far tacere immediatamente le voci scomode. Senza dimenticare che il Paese ha attraversato poche settimane or sono momenti complessi dove “la politica” doveva farsi sentire e invece i nostri amministratori – maggioranza ed opposizione- hanno brillato per il silenzio, dimostrandosi nuovamente proni al vari Bertoni, Ruini and Company.
Un voto guadagnato val bene un silenzio!. Il silenzio genera qualunquismo: salvo poi stupirsi se gli elettori vanno al mare anziché a votare.




























Angelo Panebianco sul Corriere di sabato 02 aprile 2016 esordisce con una domanda: quale prezzo dovrà pagare l'Europa, quali concessioni dovrà fare alle comunità musulmane che risiedono nei suoi territori per ottenere che esse si impegnino a contrastare le vaste aree (così risulta dai sondaggi) di simpatizzanti e sostenitori dell'estremismo islamico presenti al loro interno?   cui segue un lungo articolo nel quale a un certo punto si legge : perché solo le comunità musulmane possiedono le risorse culturali per riportare alla ragione tutti quei giovani (ma non solo) che oggi simpatizzano per l'estremismo. Ma poiché nessuno fa niente per niente, il problema diventerà: quali concessioni verranno fatte dai governi europei in cambio dell'aiuto richiesto? Non è difficile immaginare che natura e entità di quelle concessioni avranno una grande influenza sul futuro dell'Europa.
E via raccontando: riuscirà l'Europa ad ottenere l'appoggio delle comunità musulmane contro il terrorismo e l'estremismo in genere senza vendersi l'anima?.
Direi che si tratta di un articolo scritto per guadagnarsi il pane e il companatico quotidiano. Una solenne cappellata insomma scritta senza nemmeno il minimo di riflessione.
Prima di tutto le nazioni europee  hanno elaborato e creato delle costituzioni per i propri stati che contengono una serie di valori non cambiabili se non con ampie maggioranze. Un conto è una modifica costituzionale che riduce al minimo il senato o una legge elettorale maggioritaria a due turni ed altro conto sono i principi fondanti.
Quindi qui non c'è nulla da negoziare ma tutto da rispettare da parte di chiunque approdi nei paesi Ue. Ne sopra ne sotto banco.
Semmai le domande che  i paesi  Ue debbono porsi sono altre (e non per deviare il discorso).
1-Il modello di sviluppo dei paesi moderni che abbisogna di enormi quantità di petrolio e gas in buona parte pagati con armamenti, fin quando si può
portare avanti?

2-La demografia dei paesi Ue può reggere con le prestazioni attuali ?
3-Ha ancora un senso che l'ONU si permetta di intervenire in paesi in guerra per creare o imporre modelli sociali o politici, mantenendo gli attuali rapporti economici tra paesi sviluppati e paesi sottosviluppati?
4-La rete consentirà a tutti i popoli del mondo di conoscersi e scambiarsi. Sarò ancora possibile  che esistano paesi con tenori di vita così differenti com'è attualmente? Finora si è applicato il principio per cui i paesi poveri diverranno ricchi con la democrazia, il libero mercato, la scuola, ecc. Non è che “dopodomani” non ci saranno tutti paesi ugualmente ricchi ma tutti i paesi saranno ugualmente poveri tranne alcune cose fondamentali uguali per tutti ?

Il terrorismo di matrice isis non si può combattere ed abbattere cogli scarponi per terra; non si riesce a combattere con l'intelligenza perché ormai il benessere l'ha resa altamente ottusa; una rete sofisticata di controlli fa crollare tutti i valori politici economici e culturali dei nostri paesi. L'idea che un qualche accordo tra una società bianca malmessa come la nostra e le parti di società “altre” consenta ancora alla società bianca di farsi i cazzacci propri delegando alle società “altre” il controllo del terrorismo è una cretinata solenne.

Prendiamo come esempio la Libia, che oggi avrebbe la massima concentrazione ISIS nel Mediterraneo. La Libia si “mette a posto” nel momento in cui i paesi sviluppati smettono di acquistare i 250.000 barili di petrolio equivalente prodotti  nei suoi pozzi e di pagarli in buona parte con armi ed altri servizi.
Le maggiori compagnie petrolifere straniere che operavano prima dell'insurrezione in Libia erano la francese Total, l'Eni dell'Italia, la China National Petroleum Corp (CNPC), la British Petroleum, il consorzio  petrolifero spagnolo Repsol, e poi Exxon


 Mobil, Chevron, Occidental Petroleum, Hess, Conoco Philps.
In base alle più recenti stime (2012) si ritiene che le riserve di petrolio della Libia siano di 60 miliardi di barili. Le sue riserve di gas di 1.500 miliardi di metri cubi. Attualmente la sua produzione è tra 1,3 e 1,7 milioni di barili al giorno, ben al di sotto della sua capacità produttiva.
L'Occidente deve quindi decidere se può tagliare questi 1,3-1,7 milioni di barili al giorno di petrolio per un periodo abbastanza lungo (un anno? due anni?), come deve compensare il paese  energeticamente più dipendente dalle forniture libiche, che rialzo del prezzo del petrolio può sopportare e per quanto tempo “togliendo dal mercato” quei fatidici o maledetti 250mila barili quotidiani. L' Agenzia Internazionale per l'Energia ha stimato che i consumi di petrolio nel 2014 siano stati di 92,7 milioni di barili al giorno.
Anche se i dati di produzione e consumo dei barili di petrolio equivalenti non sono omogenei è evidente che “abbandonare” un fornitore che da il 2% del petrolio quotidiano non dovrebbe essere un peso insopportabile per il mondo specialmente in questi anni di grande decremento dei consumi da parte di tutte le grandi nazioni.
Il problema quindi ci pare sia la pochezza politica dell'ONU e delle grandi nazioni. La guerra non necessariamente è l'aggiornamento di modelli del passato. Avere il coraggio e l'onestà e la solidarietà per cui il mondo si sostituisce alla Libia come fornitore dei suoi attuali clienti (l'Italia…..!!!!!!) vuol dire cancellare l'ISIS, cancellare le mille milizie che operano in Libia, vuol dire lanciare un messaggio a tutti gli stati petroliferi poco o nulla democratici che d'ora in poi…
NO MONEY, NO WAR.






      I COLLEGAMENTI IN RETE:

http://www.corriere.it/opinioni/16_aprile_02/europa-non-venda-sua-anima-1cf7cdc4-f833-11e5-b848-7bd2f7c41e07.shtm
http://www.lettera43.it/economia/macro/libia-isis-e-multinazionali-sull-oro-di-bengasi_43675229303.htm
http://www.eniscuola.net/2016/01/18/dieci-anni-di-domanda-di-petrolio/









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La somiglianza c'era: “Mi fermavano per strada e mi confondevano sempre con Jannacci: 'Il suo ultimo disco è stupendo'. In principio negavo, ma nel tempo, per comodità, mi abituai a mentire. Posavo per le foto, facevo gli autografi, mi spendevo nelle dediche 'In scarp de tennis, tuo Enzo'”. “La realtà – dice Angelo Guglielmi – vive di incoerenze” e invecchiando anche i misteri lasciano spazio al raziocinio. “Da giovane non pensavo che Feltrinelli fosse salito veramente su quel pilone a Segrate, così come non credevo a ciò che su Pasolini e sull'Idroscalo ci era stato detto, ma alla fine qualcosa del genere deve essere accaduto e forse in entrambi i casi è andata proprio come ci hanno raccontato”. A una settimana dagli 87 anni: “Essere arrivato fin qui è incredibile”, ricordare chi si è stati è un esercizio di semplicità: “Mi sono trovato al posto giusto nel momento giusto”. Scrittore, critico letterario, direttore di una celebrata stagione di Rai 3. Sul tavolo, tra labrador ai piedi e timide primavere alla finestra, decine di libri, appunti, pezzi di carta: “Stavo votando per i David di Donatello e nonostante abbia apprezzato “Non essere cattivo” e venga da Arona, la stessa brutta cittadina in cui nacque Caligari, ho scelto il film di Matteo Garrone“.

Perché Garrone?
Nell'assoluto grigiore nazionale contemporaneo, esteso senza distinzioni a pittura, musica, letteratura, teatro, cinema e tv, Garrone prova sempre a superare il conformismo.
Si muove in solitudine?
Da quanto tempo non abbiamo un Berio, un Bene o un Gadda? C'è una perdita di energia. Una cultura che incapace di qualsiasi ribellione riesce soltanto a riesumare un lontano ieri.
Viviamo in un eterno rimpianto?
Il postmoderno è questo: rifare il passato. La scorciatoia semplice: 'Il presente è fuggito? Riproponiamo l'antico'. Idee nuove, zero.
Nella sua Rai 3 qualche idea c'era.
Craxi e De Mita, i padroni del Paese, avevano deciso di concedere ai comunisti una rete minore ancorata al 2 per cento di share. Biagio Agnes, una volpe, una vera lenza, tradito dal duo Carrà-Baudo in fuga verso Mediaset, mi lasciò fare. 'Sei libero'. Il problema a quel punto divenne interamente mio. 'Posso fare tutto – mi dissi – ma cosa esattamente?'. Cominciai domandandomi cosa mancasse alla tv italiana.
E cosa si rispose?
Che mancava un'informazione seria sulle condizioni del Paese. Fino a metà anni '80 la tv era stata un nastro trasportatore. Portava nelle case romanzi, teatro, musica e film senza mai raccontare il contesto sociale né sfiorare il contatto con le persone. 'Farò il contrario', giurai. E fui criticatissimo, anche da quelli che stimavo. Peccato aver smarrito il carteggio con Strehler.
Vi scrivevate?
Lettere aspre. Strehler non capiva che la tv è una disciplina linguistica con regole proprie e che riempire il palinsesto con il teatro significava parlare straniero. Adoro Beethoven, ma non mi è mai venuto in mente di metterlo in prima serata. Ci sono i luoghi giusti. I tempi giusti




odiava anche gli ebrei. Nemici da sempre, nei secoli dei secoli.
Da critico letterario i nemici non le sono mancati.
C'era chi, penso a Moravia, accettava le critiche con spirito allegro ed era così intelligente da fottersene delle aggressioni che gli riservavo e chi come Pasolini che era dolce, ma non simpatico, reagiva con insofferenza. Mi serviva un suo brano per un'antologia e gli telefonai. Mi subissò di improperi: 'Lei mi odia, perché mi cerca?'.
La riempì di insulti?
No. Non adoperava molte parolacce, neanche nei suoi romanzi. Era della scuola di Arbasino. Sulla pagina, il vaffanculo è bruttissimo. Oggi non c'è libro, anche casto, che non sia ricco di un 'cazzo, cazzo, cazzo' ogni due righe. Se i nostri mesti narratori ricorrono al turpiloquio per stupire siamo messi veramente male.
Moravia e Pasolini non le piacevano.
Moravia aveva scritto un solo bel romanzo, Gli indifferenti, e lo aveva fatto inconsapevolmente. Pasolini anche peggio. Ragazzi di vita era antropologia linguistica e Una vita violenta era tremendo. Non a caso il terzo capitolo della trilogia romana, previsto, non vide mai la luce. Moravia si accorse del fallimento letterario e lo trascinò con sé in India.
Lei salvò Petrolio.
L'unico vero romanzo. Un insieme di riflessioni, pezzi di giornale, note di cronaca. In Petrolio, non facendosi condizionare dai limiti narrativi, Pasolini fece finalmente entrare il mondo nelle pagine.
Un romanzo incompleto.
Com'era incompleto il Pasticciaccio. Un merito più che una colpa. Il luogo in cui Pasolini ha risolto la sua ambizione – diventare una stessa cosa con la realtà – è stato il cinema. Salò è un film incredibile. Pezzi di corpi, lembi strappati, sofferenza. Vedevi lo scempio. Ti squassava. Come nel neorealismo di De Sica e Rossellini che amavamo perché ti faceva toccare le cose, il Pasolini da set era materialista. Senza i crepuscolarismi, senza il naturalismo di stampo ottocentesco, i vibranti slanci di retorica fasulla, l'intimismo sgradevole che albergava in tutto quello che consideravo come la peste: Metello di Pratolini o La ragazza di Bube di Cassola.
Qualcuno sostiene che in Salò Pasolini abbia prefigurato l'addio.
Non credo alle prefigurazioni. Gli è capitato di andarsene in quel modo, ma viveva in maniera pericolosa e non mi meravigliai. Poteva accadergli qualsiasi cosa, persino di non morire.
Lei ama il paradosso.
Forse perché ho visto di tutto. Guerra mondiale, '48, boom, '68, terrorismo, caduta della Prima Repubblica e bugie della Seconda. Da ragazzi pensavamo di dover rinnovare in toto la cultura. Il Paese si stava trasformando, ma latitavano le produzioni della mente: 'Cambia tutto – ci dicevamo – perché non dovrebbe capovolgersi anche la
letteratura?'. Ci pareva essenziale. Eravamo stupiti che non accadesse.
Il Gruppo 63 nacque anche per questo?
Fummo accusati di arrivismo: 'Ecco i nuovi che smaniano per prendere il potere'. Era falso. Il Gruppo 63 nacque quasi senza che ce ne accorgessimo. Incontrai un amico a Roma, in piazza Cavour: 'A ottobre saremo a Palermo per parlare di letteratura'. Andai. Esserci mi sembrò semplicemente giusto. Volevamo un mondo diverso da prima e quindi anche i nostri gesti dovevano marcare uno scarto. I parametri di giudizio d'altra parte erano allucinanti.
Esempi?
Gadda era considerato un belletrista. Un raffinato che scriveva bene, un calligrafico. Era il contrario. La sua prosa scavava, rovesciava la realtà per rivelarne le ombre, adoperava un linguaggio contaminato dai dialetti e da momenti tragici, lirici e teorici. Era un operaio di una lingua che trasformava in uno strumento straordinario, non certo l'incantato ammiratore di se stesso. Tra l'altro era lontanissimo dal professare la religione degli scrittori delle epoche successive.
Ovvero?
L'autopromozione di se stessi. Gadda era di un'ingenuità assoluta. Viveva nell'eterna preoccupazione che le donne volessero sposarlo o che qualcuno parlasse male di lui. Quando uscì Hilarotragoedia di Manganelli, bussò alla porta di Giorgio: 'Mi stai prendendo in giro?'. L'aveva letto come parodia della sua narrativa, della sua via Merulana, della sua persona.
Arbasino è stato importante?
Fa una rivoluzione: porta il parlato nelle pagine. Un lampo di modernità poi ampiamente imitato. I nostri poveri narratori si ravvivano inserendo pezzi di parlato. Altri grandi contemporanei sono stati Celati e Tondelli.
Su Rimini in verità lei fu molto duro.
Lì Tondelli aveva perso per strada il linguaggio di Altri libertini. Non era colpa mia. Al limite sua.
Di linguaggio e sperimentalismo si occupò fin da giovane, sul Verri.
Con i suoi conti sempre precari, il Verri fu salvato da Feltrinelli. Giangiacomo si rivelò leggero in alcune scelte. Ma fu un uomo straordinario. Costruì una casa editrice dal nulla e si giocò ricchezze in imprese che gli restituirono più grane che gloria e profitti.
Da direttore qualche grana toccò anche a lei.
I sette anni di Rai 3 arrivarono in un contesto incredibile e irripetibile: tra il crollo del Muro di Berlino e quello dei partiti. Il mondo si stava rovesciando. Noi accompagnammo lo sgretolamento e in qualche modo lo vaticinammo. Qualcuno, nel partito e non solo, ci rimproverò la sconfitta del '94. Repubblica fu durissima: 'Rai3 è tra i principali motivi della disfatta.

Lei ci ha mai creduto?
Mai. Le accuse erano ridicole. La verità è che sono stati dei coglioni. Avevano già vinto. Davanti a loro c'era un'autostrada. Le scelte di Occhetto ebbero un ruolo. Dopo la caduta del comunismo bisognava cambiare, ma il rinnovamento occhettiano disarticolò il partito e lo indebolì. Creò smarrimento e disaffezione. Berlusconi ebbe gioco facile. Pensò: 'Prendiamoci tutti i partiti decotti e combattiamo contro l'unico che ha ancora qualcosa di vivo'. E vinse. Come in Gogol, c'erano in giro solo anime morte. Berlusconi le ingaggiò. Le comprò. Le pagò tutte.
Se al posto di Occhetto ci fosse stato D'Alema?
È intelligente, ma è un uomo di potere molto affezionato a se stesso. Non so se avrebbe fatto meglio, anzi. Posso dire però che col senno di poi si è capito perché ha vinto Berlusconi.
E perché ha vinto?
Perché sapeva ottenere cose incredibili mischiando illegalità assoluta, teatralità e senso degli affari. Berlusconi era figlio di un disgraziato. Di un direttorino di banca. Anche se non bisogna chiedersi da dove vengano i soldi perché da dove vengono è chiarissimo, era impossibile non provare per Berlusconi una certa ammirazione. Era difficile non odiarlo senza provare una perversa simpatia.
L'ha incontrato spesso?
Lui è un furbone. Cerca di rubare ogni cosa. Si era messo in testa di portarmi a Mediaset. Finsi di starci e rilanciai: 'Va bene, ma solo se con me viene tutta la rete'. Incredibilmente sul tema si tenne più di una riunione. Nell'ultima, a casa di Costanzo, c'erano anche Confalonieri, Galliani e quello sciagurato di Dell'Utri. Poi non se ne fece nulla. Sapevamo che era impossibile.
Rai 3 era chiamata Telekabul.
E non mi dispiaceva, come non dispiaceva a Curzi. Tranne Montanelli e forse Scalfari, o si è grandi direttori o grandi giornalisti. Sandro probabilmente non era un grandissimo giornalista, ma era un direttore enorme. Le sue scalette condizionavano la politica. Erano seguitissime e temute. In un primo tempo, di certi suoi toni rozzi mi vergognavo. Sbagliavo. Erano perfetti.
Come arrivò alla direzione di Rai 3?
Il mio nome lo suggerì Veltroni. Anche se scrive i romanzi che scrive, Walter è un uomo curioso e intelligente. I romanzi non sono la sua partita.
E i film?
I bambini insomma. Meglio quello su Berlinguer. Che gli adolescenti non sappiano chi vive al Quirinale un po' impressiona.
La Rai di oggi?
È un'azienda morta. Non produce nulla. Non crea lavoro. Esiste solo per la sua stessa sopravvivenza. In Italia gli operatori di cinema e tv, Rai compresa, sono 47.000. In Francia il doppio. In Inghilterra più del triplo. Nonostante questo, la Rai ha un indice d'ascolto più alto di Mediaset, gli sponsor pagano bene e quindi nessuno si azzarda a inventare niente. Ci si appoggia a quel che c'è già e che funziona perfettamente come Sanremo e si comprano format esteri. La Rai non ha altra preoccupazione che fornire un pasto indigesto che forse piace proprio perché è indigesto.
La qualità?
Esclusi Montalbano e il vecchio La piovra, sceneggiati con cui la Rai è uscita dalla miseria dei propri confini, le fiction degli ultimi decenni un po' fanno pena e un po' fanno ridere. Almeno costano poco.
E le nomine?
Potevano essere migliori, ma non sono il punto. Chi c'è ora, Bignardi inclusa, non potrà fare nulla di meglio di quello da cui siamo già offesi. Finché la Rai non si trasforma in una grande azienda di produzione culturale, puoi chiamare a Viale Mazzini anche Gesù ma non risolvi niente.
In Cda c'è il suo amico Freccero.
Il Cda non conta nulla. A Carlo dico sempre che sa parlar bene, ma non sa fare. Lui si incazza, però è vero.
Antonio Campo Dall'Orto?
L'ho incontrato a un dibattito, mi è parso un uomo di nessun interesse e di totale inconsistenza. Non solo povero di idee, ma anche un po' gradasso.
Renzi gli ha dato pieni poteri.
Quando mi hanno detto che il premier, un tipo che io considero furbo, voleva farne l'elemento di punta ho pensato a una balla. Era vero. Con la riforma, Campo Dall'Orto può far molto. Sempre ammesso che lo sappia fare.

Da Il Fatto Quotidiano del 27 marzo 2016



La sua Rai3 era il luogo giusto per sperimentare?
Aveva una sua energia interiore. Viveva di sé, senza chiedere niente a nessuno. Dicono che sia stato Pasolini a scoprire il palazzo, ma non è vero. È stato Chiambretti. Il suo postino a colloquio con Cossiga, infiltrato al ricco compleanno di un cardinale o mandato a fare in culo dal ministro Gaspari era di una potenza assoluta. C'è poco da fare: le parole non hanno mai la stessa forza delle immagini.
Chiambretti è una sua invenzione.
Circuì la segretaria con l'inganno e si infilò anche nello studio di Andreotti. Indugiava davanti agli schedari, diceva e non diceva. Cinque minuti e arrivarono i carabinieri: 'La violazione di domicilio è un reato'. Piero si scusò e batté in ritirata.
Qualcuno si arrabbiava.
Con Staino e la banda di Teletango qualche problema ci fu. Gli avevo dato 15 minuti settimanali a tema libero.
Cosa accadde?
In uno sketch, Craxi andava a trovare un gruppo di zingari. Faceva il comizio, abbracciava tutti e poi dopo averli derubati risaliva in macchina per dividere la refurtiva con gli altri socialisti. Mi chiamò Manca, incazzatissimo. Io il filmato non l'avevo visto. E lo ammisi.
Con Samarcanda nacque il talk-show politico.
Il genere è logoro, sono diventati tutti uguali, ne farei sopravvivere uno solo. L'altra sera ho fatto la spola tra DiMartedì e Ballarò. Si discuteva di Bruxelles. Già sapevi cosa avrebbero detto. C'era quell'aria luttuosa, quell'atmosfera di pena, una cosa intollerabile. Peccato per Giannini. Floris è un giornalista televisivo. Giannini invece è un bravo giornalista.
Augias, Leosini, Lerner, Santoro. Nella sua rete c'erano molti giornalisti.
A parte la conferma di Barbato, fondamentale, mi misi alla ricerca di nuovi conduttori. Inventare fu anche una necessità. In magazzino, politica estera a parte, c'era poco.
Politica estera?
Straordinari documentari sul Vietnam di Colombo, Levi e Barbato soprattutto. Reperti dell'epoca fanfaniana, molto antiamericani come era ovvio.
Perché era ovvio?
Perché Fanfani detestava gli americani, troppo morbidi con i sovietici e da filopalestinese