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Quand'è che uno Stato democratico può perdere la pazienza? Non c'è alcunché di leggero o di faceto nell'affermazione.
Di fronte a uno scandalo simile - il più grande e crudele - e di fronte
alle risposte oltraggiose che, in proposito, ha offerto il regime
egiziano, cos'altro si deve attendere perché l'Italia dica che la
misura è colma? Certo, è indubbio che, sulla morte di Giulio Regeni,
sia in atto uno scontro all'interno del sistema . di potere di quel
paese; ed è altrettanto sicuro che qualche segmento delle istituzioni
egiziane mostrano una certa esile volontà di collaborazione. Ma tutto
questo, finora, ha prodotto solo una successione vertiginosa di
menzogne.
Chiariamo subito un punto: qui non si vogliono rompere le relazioni
politiche, diplomatiche, istituzionali, economiche e commerciali con
l'Egitto: si vuol piuttosto che, all'interno di quel sistema di
rapporti, la questione della tutela dei diritti
fondamentali della persona occupi un posto centrale. Sia priorità tra
le priorità. E mai sia ridotta ad accessorio superfluo, a promemoria
retorico, a enfasi delle belle intenzioni e dei buoni propositi. Tutto
qui: e so bene che si tratta di un'impresa particolarmente ardua, ma
intanto incominciamo ad affrontarla. Ad esempio, per restare al. caso
di Giulio Regeni, è previsto il 5 aprile un incontro tra gli
investigatori della polizia egiziana e gli investigatori italiani.
Qualora si rivelasse l'ennesimo diversivo, potremo ancora attendere o
dovremo, infine, spazientirci?
Io penso che si debbano assumere, infine, quelle che appaiono come
scelte ineludibili e indifferibili. Ovvero, in primo luogo, il richiamo
per consultazioni dell'Ambasciatore d'Italia a II Cario, Maurizio
Massari |
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Dovremo
poi prendere atto che la vicenda Regeni, non è solo un fatto privato
che ha provocato una ferita non rimarginabile tra i familiari e gli
amici, ma che riguarda un paese intero nei suoi rapporti con un altro
paese. Di conseguenza, andrà adottata una revisione profonda delle
relazioni diplomatico-consolari tra i due Stati; e, in questo quadro,
si potrà ipotizzare un ridimensionamento delle nostre rappresentanze in
Egitto. Da ultimo, l'Unità di Crisi della Farnesina potrebbe essere
costretta a prendere atto che recarsi in Egitto può implicare dei
rischi per l'incolumità dei cittadini italiani; e che le autorità di
quel paese, lungi dall'essere in grado di tutelare la sicurezza
personale di chi vi si reca, possono addirittura costituire una
minaccia per essa.
E allora il nostro ministero degli Esteri, attraverso l'Unità di crisi,
appunto, potrebbe dichiarare l'Egitto “Paese non sicuro”, con
conseguenze inevitabili sui flussi turistici italiani - e forse, non
solo - verso lo Stato Nordafricano. Può considerarsi sicuro, infatti',
un paese dove, nei soli primi mesi del 2016, sono state fatte sparire
88 persone, 8 delle quali ritrovate cadaveri? Ed è dunque l'Egitto, un
luogo dove è possibile, secondo i criteri del diritto internazionale,
attuare pratiche di respingimento di profughi giunti sulle nostre coste?
Ripeto: tutto ciò non è “dichiarare guerra all'Egitto”, figuriamoci: è,
appunto, esercitare quella pressione diplomatica ed esprimere quella
forza democratica, che sono le sole risorse di cui disponiamo per
affermare la piena tutela dei diritti umani. E questa stessa tutela è
la condizione perché le relazioni economiche e commerciali anche con
l'Egitto, alle quali pure teniamo, e molto, possano realizzarsi in un
clima di amicizia vera: non quella che definisce “ottimi rapporti” le
relazioni segnate dal reciproco ricatto.
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Non
vogliamo insegnare il mestiere a nessuno, specialmente ad una ex insegnante ed
autrice di libri che naturaliter si deve ritenere esperta e professionalizzata
benissimo in merito.
Il fatto é che la Giunta Serra oltre ad avere imbavagliato i suoi
assessori e consiglieri proibendo loro l'uso (men che banale) dei network, ha
una grave carenza comunicativa nei confronti dei cittadini. Lasciamo
perdere il fenomeno pietoso del giornaletto comunale (Curno IN comune). La
comunicazione é scarsa sia nella motivazione "politica" delle
delibere di giunta che nelle risposte in consiglio come di fronte a delle
letture di fatti importanti.
Il problema della telecamera abusiva nel garage del municipio é
finito nel porto delle nebbie per i cittadini. Il problema dei complicati
rapporti coi dipendenti comunali, specie l'ufficio tecnico, che naviga nel
procelloso chiacchiericcio popolare dal 02 giugno 1946 viene a galla con
delibere asettiche, con passaggi burocratici non spiegati, forse con la sottintesa
speranza che nessuno se ne accorga. Poi leggiamo in un blog di un incontro del sindaco con un gruppo di
cittadini capitanati dal solito consigliere sulla moschea/centro islamico
prossimo venturo e … ci si aspetterebbe un comunicato alla popolazione mentre
invece si legge la notizia in una latrina privata. Poi in un consiglio comunale
abbiamo un consigliere di opposizione che ammicca al vicesindaco una specie di
"io so che tu sai che io so" e il vicesindaco, dato ormai come
assente dalla prossima lista Vivere Curno per scoglionamento, scodella una verità
stranota: la Giunta Serra ritiene che l'attuale ufficio non sia in grado di
realizzare i progetti in programma. Che non é proprio una carezza. Per non
parlare delle assemblee pubbliche, dove sono costantemente in azione i
guastatori al servizio della Giunta per far tacere immediatamente le voci
scomode. Senza dimenticare che il Paese ha attraversato poche settimane or sono
momenti complessi dove “la politica” doveva farsi sentire e invece i nostri
amministratori – maggioranza ed opposizione- hanno brillato per il silenzio,
dimostrandosi nuovamente proni al vari Bertoni, Ruini and Company. Un voto guadagnato val bene un silenzio!. Il silenzio genera
qualunquismo: salvo poi stupirsi se gli elettori vanno al mare anziché a
votare.
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Angelo
Panebianco sul Corriere di sabato 02 aprile 2016 esordisce con una
domanda: quale prezzo dovrà pagare l'Europa, quali concessioni dovrà
fare alle comunità musulmane che risiedono nei suoi territori per
ottenere che esse si impegnino a contrastare le vaste aree (così
risulta dai sondaggi) di simpatizzanti e sostenitori dell'estremismo
islamico presenti al loro interno? cui segue un lungo articolo nel
quale a un certo punto si legge : perché solo le comunità musulmane
possiedono le risorse culturali per riportare alla ragione tutti quei
giovani (ma non solo) che oggi simpatizzano per l'estremismo. Ma poiché
nessuno fa niente per niente, il problema diventerà: quali concessioni
verranno fatte dai governi europei in cambio dell'aiuto richiesto? Non
è difficile immaginare che natura e entità di quelle concessioni
avranno una grande influenza sul futuro dell'Europa.
E via raccontando: riuscirà l'Europa ad ottenere l'appoggio delle
comunità musulmane contro il terrorismo e l'estremismo in genere senza
vendersi l'anima?.
Direi che si tratta di un articolo scritto per guadagnarsi il pane e il
companatico quotidiano. Una solenne cappellata insomma scritta senza
nemmeno il minimo di riflessione.
Prima di tutto le nazioni europee hanno elaborato e creato delle
costituzioni per i propri stati che contengono una serie di valori non
cambiabili se non con ampie maggioranze. Un conto è una modifica
costituzionale che riduce al minimo il senato o una legge elettorale
maggioritaria a due turni ed altro conto sono i principi fondanti.
Quindi qui non c'è nulla da negoziare ma tutto da rispettare da parte di chiunque approdi nei paesi Ue. Ne sopra ne sotto banco.
Semmai le domande che i paesi Ue debbono porsi sono altre (e non per deviare il discorso).
1-Il modello di sviluppo dei paesi moderni che abbisogna di enormi
quantità di petrolio e gas in buona parte pagati con armamenti, fin
quando si può
portare avanti?
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2-La demografia dei paesi Ue può reggere con le prestazioni attuali ?
3-Ha ancora un senso che l'ONU si permetta di intervenire in paesi in
guerra per creare o imporre modelli sociali o politici, mantenendo gli
attuali rapporti economici tra paesi sviluppati e paesi sottosviluppati?
4-La rete consentirà a tutti i popoli del mondo di conoscersi e
scambiarsi. Sarò ancora possibile che esistano paesi con tenori
di vita così differenti com'è attualmente? Finora si è applicato il
principio per cui i paesi poveri diverranno ricchi con la democrazia,
il libero mercato, la scuola, ecc. Non è che “dopodomani” non ci
saranno tutti paesi ugualmente ricchi ma tutti i paesi saranno
ugualmente poveri tranne alcune cose fondamentali uguali per tutti ?
Il terrorismo di matrice isis non si può combattere ed abbattere cogli
scarponi per terra; non si riesce a combattere con l'intelligenza
perché ormai il benessere l'ha resa altamente ottusa; una rete
sofisticata di controlli fa crollare tutti i valori politici economici
e culturali dei nostri paesi. L'idea che un qualche accordo tra una
società bianca malmessa come la nostra e le parti di società “altre”
consenta ancora alla società bianca di farsi i cazzacci propri
delegando alle società “altre” il controllo del terrorismo è una
cretinata solenne.
Prendiamo come esempio la Libia, che oggi avrebbe la massima
concentrazione ISIS nel Mediterraneo. La Libia si “mette a posto” nel
momento in cui i paesi sviluppati smettono di acquistare i 250.000
barili di petrolio equivalente prodotti nei suoi pozzi e di
pagarli in buona parte con armi ed altri servizi.
Le maggiori compagnie petrolifere straniere che operavano prima
dell'insurrezione in Libia erano la francese Total, l'Eni dell'Italia,
la China National Petroleum Corp (CNPC), la British Petroleum, il
consorzio petrolifero spagnolo Repsol, e poi Exxon
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Mobil, Chevron, Occidental Petroleum, Hess, Conoco Philps.
In base alle più recenti stime (2012) si ritiene che le riserve di
petrolio della Libia siano di 60 miliardi di barili. Le sue riserve di
gas di 1.500 miliardi di metri cubi. Attualmente la sua produzione è
tra 1,3 e 1,7 milioni di barili al giorno, ben al di sotto della sua
capacità produttiva.
L'Occidente deve quindi decidere se può tagliare questi 1,3-1,7 milioni
di barili al giorno di petrolio per un periodo abbastanza lungo (un
anno? due anni?), come deve compensare il paese energeticamente
più dipendente dalle forniture libiche, che rialzo del prezzo del
petrolio può sopportare e per quanto tempo “togliendo dal mercato” quei
fatidici o maledetti 250mila barili quotidiani. L' Agenzia
Internazionale per l'Energia ha stimato che i consumi di petrolio nel
2014 siano stati di 92,7 milioni di barili al giorno.
Anche se i dati di produzione e consumo dei barili di petrolio
equivalenti non sono omogenei è evidente che “abbandonare” un fornitore
che da il 2% del petrolio quotidiano non dovrebbe essere un peso
insopportabile per il mondo specialmente in questi anni di grande
decremento dei consumi da parte di tutte le grandi nazioni.
Il problema quindi ci pare sia la pochezza politica dell'ONU e delle
grandi nazioni. La guerra non necessariamente è l'aggiornamento di
modelli del passato. Avere il coraggio e l'onestà e la solidarietà per
cui il mondo si sostituisce alla Libia come fornitore dei suoi attuali
clienti (l'Italia…..!!!!!!) vuol dire cancellare l'ISIS, cancellare le
mille milizie che operano in Libia, vuol dire lanciare un messaggio a
tutti gli stati petroliferi poco o nulla democratici che d'ora in poi…
NO MONEY, NO WAR.
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I COLLEGAMENTI IN RETE:
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http://www.corriere.it/opinioni/16_aprile_02/europa-non-venda-sua-anima-1cf7cdc4-f833-11e5-b848-7bd2f7c41e07.shtm http://www.lettera43.it/economia/macro/libia-isis-e-multinazionali-sull-oro-di-bengasi_43675229303.htm http://www.eniscuola.net/2016/01/18/dieci-anni-di-domanda-di-petrolio/
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La
somiglianza c'era: “Mi fermavano per strada e mi confondevano sempre
con Jannacci: 'Il suo ultimo disco è stupendo'. In principio negavo, ma
nel tempo, per comodità, mi abituai a mentire. Posavo per le foto,
facevo gli autografi, mi spendevo nelle dediche 'In scarp de tennis,
tuo Enzo'”. “La realtà – dice Angelo Guglielmi – vive di incoerenze” e
invecchiando anche i misteri lasciano spazio al raziocinio. “Da giovane
non pensavo che Feltrinelli fosse salito veramente su quel pilone a
Segrate, così come non credevo a ciò che su Pasolini e sull'Idroscalo
ci era stato detto, ma alla fine qualcosa del genere deve essere
accaduto e forse in entrambi i casi è andata proprio come ci hanno
raccontato”. A una settimana dagli 87 anni: “Essere arrivato fin qui è
incredibile”, ricordare chi si è stati è un esercizio di semplicità:
“Mi sono trovato al posto giusto nel momento giusto”. Scrittore,
critico letterario, direttore di una celebrata stagione di Rai 3. Sul
tavolo, tra labrador ai piedi e timide primavere alla finestra, decine
di libri, appunti, pezzi di carta: “Stavo votando per i David di
Donatello e nonostante abbia apprezzato “Non essere cattivo” e venga da
Arona, la stessa brutta cittadina in cui nacque Caligari, ho scelto il
film di Matteo Garrone“.
Perché Garrone?
Nell'assoluto grigiore nazionale contemporaneo, esteso senza
distinzioni a pittura, musica, letteratura, teatro, cinema e tv,
Garrone prova sempre a superare il conformismo.
Si muove in solitudine?
Da quanto tempo non abbiamo un Berio, un Bene o un Gadda? C'è una
perdita di energia. Una cultura che incapace di qualsiasi ribellione
riesce soltanto a riesumare un lontano ieri.
Viviamo in un eterno rimpianto?
Il postmoderno è questo: rifare il passato. La scorciatoia semplice:
'Il presente è fuggito? Riproponiamo l'antico'. Idee nuove, zero.
Nella sua Rai 3 qualche idea c'era.
Craxi e De Mita, i padroni del Paese, avevano deciso di concedere ai
comunisti una rete minore ancorata al 2 per cento di share. Biagio
Agnes, una volpe, una vera lenza, tradito dal duo Carrà-Baudo in fuga
verso Mediaset, mi lasciò fare. 'Sei libero'. Il problema a quel punto
divenne interamente mio. 'Posso fare tutto – mi dissi – ma cosa
esattamente?'. Cominciai domandandomi cosa mancasse alla tv italiana.
E cosa si rispose?
Che mancava un'informazione seria sulle condizioni del Paese. Fino a
metà anni '80 la tv era stata un nastro trasportatore. Portava nelle
case romanzi, teatro, musica e film senza mai raccontare il contesto
sociale né sfiorare il contatto con le persone. 'Farò il contrario',
giurai. E fui criticatissimo, anche da quelli che stimavo. Peccato aver
smarrito il carteggio con Strehler.
Vi scrivevate?
Lettere aspre. Strehler non capiva che la tv è una disciplina
linguistica con regole proprie e che riempire il palinsesto con il
teatro significava parlare straniero. Adoro Beethoven, ma non mi è mai
venuto in mente di metterlo in prima serata. Ci sono i luoghi giusti. I
tempi giusti
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odiava anche gli ebrei. Nemici da sempre, nei secoli dei secoli.
Da critico letterario i nemici non le sono mancati.
C'era chi, penso a Moravia, accettava le critiche con spirito allegro
ed era così intelligente da fottersene delle aggressioni che gli
riservavo e chi come Pasolini che era dolce, ma non simpatico, reagiva
con insofferenza. Mi serviva un suo brano per un'antologia e gli
telefonai. Mi subissò di improperi: 'Lei mi odia, perché mi cerca?'.
La riempì di insulti?
No. Non adoperava molte parolacce, neanche nei suoi romanzi. Era della
scuola di Arbasino. Sulla pagina, il vaffanculo è bruttissimo. Oggi non
c'è libro, anche casto, che non sia ricco di un 'cazzo, cazzo, cazzo'
ogni due righe. Se i nostri mesti narratori ricorrono al turpiloquio
per stupire siamo messi veramente male.
Moravia e Pasolini non le piacevano.
Moravia aveva scritto un solo bel romanzo, Gli indifferenti, e lo aveva
fatto inconsapevolmente. Pasolini anche peggio. Ragazzi di vita era
antropologia linguistica e Una vita violenta era tremendo. Non a caso
il terzo capitolo della trilogia romana, previsto, non vide mai la
luce. Moravia si accorse del fallimento letterario e lo trascinò con sé
in India.
Lei salvò Petrolio.
L'unico vero romanzo. Un insieme di riflessioni, pezzi di giornale,
note di cronaca. In Petrolio, non facendosi condizionare dai limiti
narrativi, Pasolini fece finalmente entrare il mondo nelle pagine.
Un romanzo incompleto.
Com'era incompleto il Pasticciaccio. Un merito più che una colpa. Il
luogo in cui Pasolini ha risolto la sua ambizione – diventare una
stessa cosa con la realtà – è stato il cinema. Salò è un film
incredibile. Pezzi di corpi, lembi strappati, sofferenza. Vedevi lo
scempio. Ti squassava. Come nel neorealismo di De Sica e Rossellini che
amavamo perché ti faceva toccare le cose, il Pasolini da set era
materialista. Senza i crepuscolarismi, senza il naturalismo di stampo
ottocentesco, i vibranti slanci di retorica fasulla, l'intimismo
sgradevole che albergava in tutto quello che consideravo come la peste:
Metello di Pratolini o La ragazza di Bube di Cassola.
Qualcuno sostiene che in Salò Pasolini abbia prefigurato l'addio.
Non credo alle prefigurazioni. Gli è capitato di andarsene in quel
modo, ma viveva in maniera pericolosa e non mi meravigliai. Poteva
accadergli qualsiasi cosa, persino di non morire.
Lei ama il paradosso.
Forse perché ho visto di tutto. Guerra mondiale, '48, boom, '68,
terrorismo, caduta della Prima Repubblica e bugie della Seconda. Da
ragazzi pensavamo di dover rinnovare in toto la cultura. Il Paese si
stava trasformando, ma latitavano le produzioni della mente: 'Cambia
tutto – ci dicevamo – perché non dovrebbe capovolgersi anche la
letteratura?'. Ci pareva essenziale. Eravamo stupiti che non accadesse.
Il Gruppo 63 nacque anche per questo?
Fummo accusati di arrivismo: 'Ecco i nuovi che smaniano per prendere il
potere'. Era falso. Il Gruppo 63 nacque quasi senza che ce ne
accorgessimo. Incontrai un amico a Roma, in piazza Cavour: 'A ottobre
saremo a Palermo per parlare di letteratura'. Andai. Esserci mi sembrò
semplicemente giusto. Volevamo un mondo diverso da prima e quindi anche
i nostri gesti dovevano marcare uno scarto. I parametri di giudizio
d'altra parte erano allucinanti.
Esempi?
Gadda era considerato un belletrista. Un raffinato che scriveva bene,
un calligrafico. Era il contrario. La sua prosa scavava, rovesciava la
realtà per rivelarne le ombre, adoperava un linguaggio contaminato dai
dialetti e da momenti tragici, lirici e teorici. Era un operaio di una
lingua che trasformava in uno strumento straordinario, non certo
l'incantato ammiratore di se stesso. Tra l'altro era lontanissimo dal
professare la religione degli scrittori delle epoche successive.
Ovvero?
L'autopromozione di se stessi. Gadda era di un'ingenuità assoluta.
Viveva nell'eterna preoccupazione che le donne volessero sposarlo o che
qualcuno parlasse male di lui. Quando uscì Hilarotragoedia di
Manganelli, bussò alla porta di Giorgio: 'Mi stai prendendo in giro?'.
L'aveva letto come parodia della sua narrativa, della sua via Merulana,
della sua persona.
Arbasino è stato importante?
Fa una rivoluzione: porta il parlato nelle pagine. Un lampo di
modernità poi ampiamente imitato. I nostri poveri narratori si
ravvivano inserendo pezzi di parlato. Altri grandi contemporanei sono
stati Celati e Tondelli.
Su Rimini in verità lei fu molto duro.
Lì Tondelli aveva perso per strada il linguaggio di Altri libertini. Non era colpa mia. Al limite sua.
Di linguaggio e sperimentalismo si occupò fin da giovane, sul Verri.
Con i suoi conti sempre precari, il Verri fu salvato da Feltrinelli.
Giangiacomo si rivelò leggero in alcune scelte. Ma fu un uomo
straordinario. Costruì una casa editrice dal nulla e si giocò ricchezze
in imprese che gli restituirono più grane che gloria e profitti.
Da direttore qualche grana toccò anche a lei.
I sette anni di Rai 3 arrivarono in un contesto incredibile e
irripetibile: tra il crollo del Muro di Berlino e quello dei partiti.
Il mondo si stava rovesciando. Noi accompagnammo lo sgretolamento e in
qualche modo lo vaticinammo. Qualcuno, nel partito e non solo, ci
rimproverò la sconfitta del '94. Repubblica fu durissima: 'Rai3 è tra i
principali motivi della disfatta.
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Lei ci ha mai creduto?
Mai. Le accuse erano ridicole. La verità è che sono stati dei coglioni.
Avevano già vinto. Davanti a loro c'era un'autostrada. Le scelte di
Occhetto ebbero un ruolo. Dopo la caduta del comunismo bisognava
cambiare, ma il rinnovamento occhettiano disarticolò il partito e lo
indebolì. Creò smarrimento e disaffezione. Berlusconi ebbe gioco
facile. Pensò: 'Prendiamoci tutti i partiti decotti e combattiamo
contro l'unico che ha ancora qualcosa di vivo'. E vinse. Come in Gogol,
c'erano in giro solo anime morte. Berlusconi le ingaggiò. Le comprò. Le
pagò tutte.
Se al posto di Occhetto ci fosse stato D'Alema?
È intelligente, ma è un uomo di potere molto affezionato a se stesso.
Non so se avrebbe fatto meglio, anzi. Posso dire però che col senno di
poi si è capito perché ha vinto Berlusconi.
E perché ha vinto?
Perché sapeva ottenere cose incredibili mischiando illegalità assoluta,
teatralità e senso degli affari. Berlusconi era figlio di un
disgraziato. Di un direttorino di banca. Anche se non bisogna chiedersi
da dove vengano i soldi perché da dove vengono è chiarissimo, era
impossibile non provare per Berlusconi una certa ammirazione. Era
difficile non odiarlo senza provare una perversa simpatia.
L'ha incontrato spesso?
Lui è un furbone. Cerca di rubare ogni cosa. Si era messo in testa di
portarmi a Mediaset. Finsi di starci e rilanciai: 'Va bene, ma solo se
con me viene tutta la rete'. Incredibilmente sul tema si tenne più di
una riunione. Nell'ultima, a casa di Costanzo, c'erano anche
Confalonieri, Galliani e quello sciagurato di Dell'Utri. Poi non se ne
fece nulla. Sapevamo che era impossibile.
Rai 3 era chiamata Telekabul.
E non mi dispiaceva, come non dispiaceva a Curzi. Tranne Montanelli e
forse Scalfari, o si è grandi direttori o grandi giornalisti. Sandro
probabilmente non era un grandissimo giornalista, ma era un direttore
enorme. Le sue scalette condizionavano la politica. Erano seguitissime
e temute. In un primo tempo, di certi suoi toni rozzi mi vergognavo.
Sbagliavo. Erano perfetti.
Come arrivò alla direzione di Rai 3?
Il mio nome lo suggerì Veltroni. Anche se scrive i romanzi che scrive,
Walter è un uomo curioso e intelligente. I romanzi non sono la sua
partita.
E i film?
I bambini insomma. Meglio quello su Berlinguer. Che gli adolescenti non sappiano chi vive al Quirinale un po' impressiona.
La Rai di oggi?
È un'azienda morta. Non produce nulla. Non crea lavoro. Esiste solo per
la sua stessa sopravvivenza. In Italia gli operatori di cinema e tv,
Rai compresa, sono 47.000. In Francia il doppio. In Inghilterra più del
triplo. Nonostante questo, la Rai ha un indice d'ascolto più alto di
Mediaset, gli sponsor pagano bene e quindi nessuno si azzarda a
inventare niente. Ci si appoggia a quel che c'è già e che funziona
perfettamente come Sanremo e si comprano format esteri. La Rai non ha
altra preoccupazione che fornire un pasto indigesto che forse piace
proprio perché è indigesto.
La qualità?
Esclusi Montalbano e il vecchio La piovra, sceneggiati con cui la Rai è
uscita dalla miseria dei propri confini, le fiction degli ultimi
decenni un po' fanno pena e un po' fanno ridere. Almeno costano poco.
E le nomine?
Potevano essere migliori, ma non sono il punto. Chi c'è ora, Bignardi
inclusa, non potrà fare nulla di meglio di quello da cui siamo già
offesi. Finché la Rai non si trasforma in una grande azienda di
produzione culturale, puoi chiamare a Viale Mazzini anche Gesù ma non
risolvi niente.
In Cda c'è il suo amico Freccero.
Il Cda non conta nulla. A Carlo dico sempre che sa parlar bene, ma non sa fare. Lui si incazza, però è vero.
Antonio Campo Dall'Orto?
L'ho incontrato a un dibattito, mi è parso un uomo di nessun interesse
e di totale inconsistenza. Non solo povero di idee, ma anche un po'
gradasso.
Renzi gli ha dato pieni poteri.
Quando mi hanno detto che il premier, un tipo che io considero furbo,
voleva farne l'elemento di punta ho pensato a una balla. Era vero. Con
la riforma, Campo Dall'Orto può far molto. Sempre ammesso che lo sappia
fare.
Da Il Fatto Quotidiano del 27 marzo 2016
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La sua Rai3 era il luogo giusto per sperimentare?
Aveva una sua energia interiore. Viveva di sé, senza chiedere niente a
nessuno. Dicono che sia stato Pasolini a scoprire il palazzo, ma non è
vero. È stato Chiambretti. Il suo postino a colloquio con Cossiga,
infiltrato al ricco compleanno di un cardinale o mandato a fare in culo
dal ministro Gaspari era di una potenza assoluta. C'è poco da fare: le
parole non hanno mai la stessa forza delle immagini.
Chiambretti è una sua invenzione.
Circuì la segretaria con l'inganno e si infilò anche nello studio di
Andreotti. Indugiava davanti agli schedari, diceva e non diceva. Cinque
minuti e arrivarono i carabinieri: 'La violazione di domicilio è un
reato'. Piero si scusò e batté in ritirata.
Qualcuno si arrabbiava.
Con Staino e la banda di Teletango qualche problema ci fu. Gli avevo dato 15 minuti settimanali a tema libero.
Cosa accadde?
In uno sketch, Craxi andava a trovare un gruppo di zingari. Faceva il
comizio, abbracciava tutti e poi dopo averli derubati risaliva in
macchina per dividere la refurtiva con gli altri socialisti. Mi chiamò
Manca, incazzatissimo. Io il filmato non l'avevo visto. E lo ammisi.
Con Samarcanda nacque il talk-show politico.
Il genere è logoro, sono diventati tutti uguali, ne farei sopravvivere
uno solo. L'altra sera ho fatto la spola tra DiMartedì e Ballarò. Si
discuteva di Bruxelles. Già sapevi cosa avrebbero detto. C'era
quell'aria luttuosa, quell'atmosfera di pena, una cosa intollerabile.
Peccato per Giannini. Floris è un giornalista televisivo. Giannini
invece è un bravo giornalista.
Augias, Leosini, Lerner, Santoro. Nella sua rete c'erano molti giornalisti.
A parte la conferma di Barbato, fondamentale, mi misi alla ricerca di
nuovi conduttori. Inventare fu anche una necessità. In magazzino,
politica estera a parte, c'era poco.
Politica estera?
Straordinari documentari sul Vietnam di Colombo, Levi e Barbato
soprattutto. Reperti dell'epoca fanfaniana, molto antiamericani come
era ovvio.
Perché era ovvio?
Perché Fanfani detestava gli americani, troppo morbidi con i sovietici e da filopalestinese
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