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184 - 18 MARZO 2016
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Quasi cinque anni fa, nel giugno 2011, ventisei milioni di italiani votarono sì in un referendum con il quale si stabiliva che l'acqua deve essere pubblica. Oggi, ma non è la prima volta, si cerca di cancellare quel risultato importantissimo, approvando norme che sostanzialmente consegnano ai privati la gestione dei servizi idrici. Non è una questione secondaria, perché si tratta di un bene della vita e perché viene messa in discussione la rilevanza di uno strumento essenziale per l'intervento diretto dei cittadini. Tutto questo avviene in un momento in cui si parla intensamente di referendum sì che, prima di approfondire la questione, conviene dire qualcosa sul contesto nel quale ci troviamo.
Una domanda, prima di tutto. Il 2016 è l'anno del referendum o dei referendum? Da molti mesi si insiste sul referendum autunnale, dal quale dipendono un profondo mutamento del sistema costituzionale e, per esplicita dichiarazione del presidente del Consiglio, la stessa sopravvivenza del governo. Ma nello stesso periodo si sono via via manifestate diverse iniziative dei cittadini per promuovere altri referendum, ma anche per raccogliere firme per presentare leggi di iniziativa popolare e per chiedere che la Corte costituzionale si pronunci sulla legittimità della nuova legge elettorale (e già il Tribunale di Messina ha inviato l'Italicum alla Consulta).
Questo non significa che quest'anno saremo chiamati a pronunciarci su una serie di referendum. Questo avverrà in un solo caso, il 17 aprile, quando si voterà per dire sì o no alle trivellazioni nell'Adriatico. Per gli altri dovremo aspettare il 2017. Ma già dai prossimi giorni cominceranno le diverse raccolte delle firme, con effetti politici che non possono essere trascurati. In un tempo dominato dal distacco tra i cittadini e la politica, dalla progressiva perdita di fiducia nelle istituzioni, questo attivismo testimonia l'esistenza di riserve diffuse di attenzione per grandi e concreti problemi, di mobilitazioni non sollecitate dall'alto che non possono per alcuna ragione essere sottovalutate. Ma non saremo di fronte soltanto ad un inventario di domande sociali. Poiché a ciascuna di queste domande si fa corrispondere una iniziativa istituzionale, questo significa che i cittadini diventano protagonisti della costruzione dell'agenda politica, dell'indicazione di temi di cui governo e Parlamento dovranno occuparsi. Non è un fatto secondario per chi vuole stabilire lo stato di salute della democrazia nel nostro Paese.






Seguiamo i diversi casi in cui si vuol dare voce ai cittadini. Una larga coalizione si è costituita intorno a tre referendum “sociali”, che riguardano lavoro, scuola, ambiente e beni comuni, per abrogare norme di leggi recenti (Jobs act, “buona scuola”) che più fortemente incidono sui diritti.
Tre sono pure i referendum istituzionali, poiché a quello sulla riforma costituzionale se ne aggiungono due riguardanti l'Italicum. Le leggi d'iniziativa popolare riguardano l'articolo 81 della Costituzione, il diritto allo studio nell'università (per iniziativa della rete studentesca Link), la disciplina dell'ambiente e dei beni comuni.
E bisogna aggiungere l'iniziativa della Cgil che sta consultando tutti i suoi iscritti su una “Carta dei diritti universali del lavoro”, mostrando come si vada opportunamente diffondendo la consapevolezza che vi sono decisioni che bisogna prendere con il coinvolgimento il più largo possibile di tutti gli interessati.
Sarebbe un grave errore archiviare queste indicazioni come se si fosse di fronte ad una elencazione burocratica. Vengono invece poste tre serissime questioni politico-istituzionali: come riaprire i canali di comunicazione tra istituzioni e cittadini, per cercar di restituire a questi la fiducia perduta e avviare così anche una qualche ricostruzione dei contrappesi costituzionali; come evitare che si determini una inflazione referendaria; come riprendere seriamente la riflessione su “ciò che resta della democrazia” (è il titolo del bel libro di Geminello Preterossi da poco pubblicato da Laterza).


Ma sarebbe grave anche giungere alla conclusione che l'unico referendum che conta sia quello, sicuramente importantissimo, sulla riforma costituzionale, e che tutti gli altri non meritino alcuna attenzione e che si possa ignorarne gli effetti.
Sembra proprio questa la conclusione alla quale maggioranza e governo sono giunti negli ultimi giorni, nell'approvare le nuove norme sui servizi idrici, che contraddicono il voto referendario del 2011. Quel risultato clamoroso avrebbe dovuto suscitare una particolare attenzione politica e, soprattutto, una interpretazione dei risultati referendari la più aderente alla volontà dei votanti. E invece cominciò subito una guerriglia per vanificare quel risultato, tanto che la Corte costituzionale dovette intervenire nel 2012 con una severa sentenza che dichiarava illegittime norme che cercavano di riprodurre quelle abrogate dal voto popolare. Ora, discutendo proprio una nuova legge in materia, si è prodotta una situazione molto simile e viene ripetuto un argomento già speso in passato, secondo il quale formalmente l'acqua rimane pubblica, essendo variabili solo le sue modalità di gestione. Ma qui, come s'era cercato di spiegare mille volte, il punto chiave è appunto quello della gestione, per la quale le nuove norme e il testo unico sui servizi locali fanno diventare quello pubblico un regime eccezionale e addirittura ripristinano il criterio della ”adeguatezza della remunerazione del capitale investito” cancellato dal voto referendario.



È evidente che, se questa operazione andrà in porto, proprio il tentativo di creare occasioni e strumenti propizi ad una rinnovata fiducia dei cittadini verso le istituzioni rischia d'essere vanificato. Se il voto di milioni di persone può essere aggirato e messo nel nulla, il disincanto e il distacco dei cittadini cresceranno e crollerà l'affidabilità degli strumenti democratici se una maggioranza parlamentare può impunemente travolgerli.
Questo, oggi, è un vero punto critico della democrazia italiana, non il rischio di una inflazione referendaria sulla quale Ian Buruma ha richiamato l'attenzione. Le sue preoccupazioni, infatti, riguardano un particolare uso del referendum, populistico e plebiscitario, promosso dall'alto, e dunque l'opposto del referendum per iniziativa dei cittadini, che è il modello adottato dalla Costituzione. I costituenti, una volta di più lungimiranti e accorti, hanno previsto una procedura per il referendum che lo sottrae al rischio di divenire strumento di quel dialogo ravvicinato tra “il capo e la folla” indagato da Gustave Le Bon. E che prevede una separazione tra tempi referendari e tempi della politica, per evitare che questi stravolgano il senso del ricorso a uno strumento così delicato della democrazia diretta.
Anche per questa via, dunque, siamo obbligati ad interrogarci intorno al senso della democrazia nel tempo che stiamo vivendo. Di essa si è talora certificata la fine o si sono segnalate trasformazioni tali da indurre a parlare, ben prima delle recenti sgangherate polemiche, di democrazia “plebiscitaria”, “autoritaria”, “dispotica” (forse la lettura di qualche libro dovrebbe essere richiesta a chi pretende di intervenire nelle discussioni). Per analizzare il concreto funzionamento delle istituzioni credo che non sia più sufficiente parlare di democrazia “in pubblico” e che il moltiplicarsi degli strumenti di intervento quotidiano dovrebbe farci ritenere almeno che la democrazia si è fatta “continua”. Ma forse, se vogliamo indagare il nuovo rapporto tra Parlamento e governo, con il progressivo trasferimento a quest'ultimo di quote crescenti di potere di decisione, questa nuova realtà si coglie meglio parlando, come fa Pierre Rosanvallon, di una “democrazia di appropriazione”, nella quale il mantenimento degli equilibri costituzionali è affidato alla costruzione di istituzioni in cui sia strutturato un ruolo attivo dei cittadini, passaggio necessario per recuperare una “democrazia della fiducia”.

















possibilità, reazioni e soluzioni che possono verificarsi quando all'interno di una compagine (collettiva o personale, partito politico, chiesa, matrimonio o unione di fatto) sorgono delle controversie.
Se i contrasti, anche chiariti duramente e mai del tutto superati, risultano compatibili, l'unione persiste: i coniugi non divorziano, i compagni non si lasciano, i dissidenti non escono dal partito o dalla chiesa. Se i contrasti si rivelano — per ragioni oggettive o per la psicologia dei contendenti — inconciliabili, l'unità viene intaccata: secessione dal partito, microscisma della chiesa quello di Lefebvre, separazione dei partener. Il distacco può avvenire nel rispetto e nella persistenza di un legame affettivo oppure nello scontro violento, in cui l'originario legame si trasforma in feroce avversione.
Se quel legame, di qualsiasi genere, era stato autentico, la sua rottura non dovrebbe avvenire senza responsabili tentativi di sanare le ferite. Si assiste invece a una continua accelerazione dei processi dissolutivi, uscite, rientri e nuove uscite


tutti essere riconosciuti per legge?
Anche l'incesto può essere brutale violenza ma anche passione umana, come ci hanno raccontato tante umanissime storie di vita vissuta e tanta grande letteratura. In Svezia, anni fa, un fratello e una sorella avevano chiesto di sposarsi, cosa che non fu loro concessa e non credo solo per timori eugenetici, che potrebbero comunque venire in vari modi aggirati. Freud (per tali ragioni pure duramente attaccato) ci ha insegnato che con la sublimazione di certi desideri, a esempio ma non solo quelli edipici, con la loro trasformazione in un'altra forma di amore, ha inizio la civiltà. È una sciagura sublimare troppo, ma lo è anche non sublimare nulla. Si è visto nella famiglia tradizionale un nucleo dell'antropologia civile. La famiglia tradizionale può essere e molte volte è stata anche violenta, soffocante e nemica del libero sviluppo della persona. È ovvio che persone capaci di intelligente e attento amore possano far crescere un bambino meglio di genitori carnali incoscienti e snaturati o anche solo ottusamente


da gruppi politici e proliferazione di questi ultimi, tempi sempre più abbreviati per lo scioglimento delle unità famigliari e affettive, eterno amore che finisce alla prima lite per la scelta delle vacanze. Se acquisto uno shampoo e non ne sono soddisfatto, posso sostituirlo immediatamente, ma dovrebbe essere diverso se il distacco avviene da una persona un tempo cara, da un partito o da una chiesa in cui ci si era riconosciuti. Invece la velocità delle conversioni o delle apostasie è invece sempre più alta, non si riesce più a seguire chi ha fondato un nuovo partito o una nuova corrente perché questi sono già riconfluiti in un altro alveo, così come non si riesce a star dietro a chi si separa da chi per mettersi con chi nelle riviste illustrate che si leggono dal parrucchiere.
Diritti e desideri. Ogni desiderio, se è forte, chiede, esige di essere appagato, e in questa tensione, qualsiasi sia il desiderio, c'è uno struggimento, una nostalgia dolorosa che sono parte essenziale della nostra persona. Possono tutti essere riconosciuti per legge?


incapaci di intelligente amore.
L'amore omosessuale può essere elevato o turpe al pari di quello eterosessuale. Basta aver letto Il Grande Sertão di João Guimarães Rosa per sapere e capire che ci si innamora non di un sesso, ma di una persona. Ma gli antichi Greci celebravano l'amore omosessuale per il suo rapporto anche spiritualmente diverso con la generazione, con la radice duale dell'umanità. Ho conosciuto e conosco omosessuali bravi genitori del loro figlio — avuto da una donna, non da un utero affittato. In ogni caso, il protagonista non è il desiderio della coppia né omo né eterosessuale, bensì il bambino, che comunque nasce da un uomo e da una donna e la cui maturazione è verosimilmente arricchita dalla crescita non necessariamente con i genitori naturali ma con un uomo e una donna, espressione per eccellenza di quella diversità (culturale, nazionale, sessuale, etnica, religiosa e così via) che è di per sé più creativa e formativa di ogni identità a senso unico. Il bambino, ha scritto su Facebook Vannino Chiti, «è soggetto di diritti, non un mero oggetto di desideri».

Può ogni desiderio (escludendo beninteso quelli criminosi) costituire un diritto? Una delle pochissime persone che hanno affrontato questa domanda con rigore, chiarezza e umanità è stato Giuseppe Vacca, presidente dell'Istituto Gramsci. Come Vacca, pure Mario Tronti, senatore del Pd e, cosa ben più importante, leader e forte testa pensante dell'operaismo italiano degli anni Settanta, riconoscendo tutti i diritti alle coppie omosessuali (assistenza, eredità, convertibilità delle pensioni e così via), ha espresso forti riserve sulle adozioni gay, tanto da sottoscrivere il documento contrario a quest'ultime. Non è un caso che tali chiare e sofferte prese di posizione vengano da figure di rilievo della cultura marxista, formate da un pensiero forte capace di affrontare la drammaticità del reale e la difficoltà e necessità delle scelte. L'odierna e dominante «società liquida» (come l'ha chiamata Bauman) miscela invece ogni problema e ogni presa di posizione in una melassa sdolcinata e tirannica, in un conformismo che ammette tutto e il contrario di tutto.
Tranne ciò che contesta il suo nichilismo giulivo e totalitario. Il diritto — ricordava di recente sul Piccolo un autorevole costituzionalista, Sergio Bartole — tutela l'individuo ma anche la società e non può disinteressarsi delle ricadute di una legge sull'antropologia civile ossia sui fondamenti che tengono insieme una comunità e una società. Uno dei primissimi a capire la trasformazione delle autentiche e umane visioni del mondo in un indistinto titillamento pulsionale è stato Pasolini, quando scriveva sull'aborto o quando diceva che il voto per il divorzio era un voto giusto — anche lui aveva votato a favore del divorzio — che tuttavia molti avevano dato per ragioni sbagliate. La maggioranza aveva votato come lui, ma egli non poteva riconoscersi in essa, perché lui aveva votato per il divorzio quale rimedio a situazioni dolorose e bloccate, quale possibilità di ricomporre esistenze inceppate.
Rimedio ovvero eccezione che non negava i valori e sentimenti della famiglia né la funzione formatrice della sua unità. Quella maggioranza che aveva votato come lui gli riusciva odiosa, espressione di un relativismo nichilista che riduce tutto, anche sentimenti e valori, a merce di scambio e tende sempre più a dissolvere ogni unità forte di vita e di pensiero. Lo si constata sempre più in ogni settore, dalla politica alla cultura alla vita privata. È il trionfo del consumo, denunciato da Pasolini; del consumo che esorbita dal suo ambito — il consumo e la possibilità di accedervi sono ovviamente una fondamentale condizione di vita dignitosa e godibile — per inglobare ogni aspetto della realtà e dell'esistenza.
«Il riconoscimento per legge del desiderio individuale quale fonte della libertà e del diritto» — ha detto Giuseppe Vacca — crea inevitabilmente frammentazione e atomizzazione in ogni campo. Non a caso nascono molte nuove e spesso effimere formazioni politiche sorte dall'impulso a scindersi, alla prima divergenza, da una precedente aggregazione con la cui linea prevalente non si concorda. Molti anni fa, in uno dei suoi geniali saggi, Lealtà, defezione e protesta , Albert Hirschman analizzava le diverse














Lo spettacolo che sta dando la lotta tra le varie anime del Pd sarebbe sconsolante se non fosse un delirio di tali dimensioni da allontanare un sentimento delicato come la malinconia per dare vita ad una solida collera da scapaccioni. L'immagine mi è venuta in mente pensando non ad un partito o ad esponenti politici bensì ad un gruppo di bambini che si contendono urlando una palla o un sacchetto di biglie. Ci scindiamo, non ci scindiamo, convivere è ormai impossibile, allora io me ne vado. Chi ha un'età avanzata o ha letto qualche libro se le ricorda quasi tutte le tante scissioni della sinistra a cominciare da quella storica del 1921 a Livorno per finire con quella semplicemente suicida delle elezioni regionali liguri dove un ex sindacalista di vaglia invecchiato nel rancore ha preferito far vincere il candidato della destra sottraendo alla candidata dell'odiato Renzi quel tanto di voti bastanti a farla perdere. Manovra che ora si minaccia di ripetere alle comunali di Milano, Napoli e Roma dove l'ex sindaco Ignazio Marino, fortemente risentito per il trattamento rude di cui si ritiene vittima, potrebbe provocare con i voti che riuscirà a raccogliere la sconfitta della sua (ex) parte politica.


Nemmeno ai livelli più alti questa sorda lotta cambia una sostanza nella quale alcune opinabili motivazioni politiche s'intrecciano con sordi risentimenti reciproci. Massimo D'Alema attacca Matteo Renzi per vendicarsi di non essere stato scelto per il prestigioso incarico europeo di cui l'Italia disponeva. Renzi a suo tempo preferì non designare D'Alema per non mettersi il nemico in casa, si disse sottovoce. Sicuramente mandare D'Alema come Alto Rappresentante della politica estera dell'Unione avrebbe dato a noi e all'Europa un certo prestigio. La sua mancata designazione fu un errore così come lo è adesso la furia demolitrice di D'Alema che preferisce pascere il suo rancore rispetto ad ogni altra considerazione. Una parte della sinistra italiana soffre il trauma del dover governare che implica sempre una certa adattabilità al reale. Il gioco delle esclusioni fa il resto. «Risulta difficile capire — ha scritto Emanuele Macaluso, autorevole esponente del vecchio Pci — quando comincia la lotta politica e quando finisce una questione personale». Il risultato comunque è garantito: perdere.







Residents return to shattered Kurdish town of Cizre in the southeastern Turkey after authorities partially lifted a curfew in place since December for a controversial military operation against Kurdish PKK militants, on March 2, 2016.