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182 - 09 marzo 2016

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Secondo incontro di Vivere Curno in vista delle elezioni amministrative del 2017. Tema “ Focus su Curno oggi e nei prossimi cinque anni”. La sindaco Serra ha propinato agli incauti e poco numerosi presenti una sbrodolata di  banali informazioni statistiche sul Comune quasi sempre male interpretate.

L'impressione è stata quella di avere di fronte una persona che non ha una scala di valori nel leggere il proprio paese e non ha nemmeno la capacità minima di sapere  riconoscere quelli che sono i valori positivi e quelli negativi del proprio territorio e del proprio comune. L'esposizione è stata quella della massaia che fa l'inventario delle cose di casa. Alla fine non si è riusciti a capire se la famiglia sia a corto delle une piuttosto che delle altre. La sindaco Serra ha fato la figura di quel direttore di museo che non sa distinguere un Moroni da una crosta del Gioanì Mamalao ma ritiene che debbano stare entrambe esposte in pubblico. Che poi è la stessa lettura del paese che ne fanno un Pelizzoli (storico esponente del vecchio PCI) oppure dell'ex sindaco Morelli, donna di abilissime capacità nel farsi inutilmente odiare dai curnesi. Coppia – Morelli & Pelizzoli- che riuscì, assieme alla sindaco Serra ed al vicesindaco Bellezza nella rara impresa di RE-incollare insieme lega, fascisti e forza italia e far vincere la destra. Un centrodestra dove si odiavano e si odiano a morte, per merito di questi intelligenti politici, trovarono occasione e cemento per fare una lista unitaria e vincere col più improbabile dei sindaci possibili.

La lettura o interpretazione fatta del nostro paese da parte della sindaco è quella superficiale nella quale contano soltanto le relazioni per lo scambio politico elettorale. Lettura che si ritrova in un Pelizzoli quando rievoca dopo  mezzo secolo di rievocazioni la questione dell'asilo, oppure di un Locatelli DC che rimette in campo la polemica sulla biblioteca auditorium. Fino all'intervento della Morelli che vorrebbe chiudere la bocca a qualche presente che OSI cantare fuori dal coro. Oppure alla tremenda banalità dell'assessore Gamba la quale – beata ingenuità!- asserisce che le mamme non avrebbero mai espresso qualche dubbio sulla infelice posizione in mezzo al traffico della scuola materna san Giovanni Bosco. Anzi!. Idem per un Pelizzoli, titolare del maggiore bar della psuedo piazza pedonalizzata che a fronte del suggerimento: decidete se pedonalizzare o consentire il traffico,






ha  manifestato l'opinione  “che va bene così” nel senso che  si pedonalizza laddove il suo bar può mettere i tavolini in strada mentre ai negozi frontisti, si piazza il parcheggio delle auto. Una insensibilità atroce.
La sindaco Serra s'è soffermata per un buon quarto d'ora sulla questione  stranieri presenti a Curno (con tutta una serie di inutili considerazioni numeriche) e la micro polemica  forza-leghista sulla richiesta di realizzare una moschea (in uno spazio di loro proprietà) al posto  del centro culturale islamico, già presente a Curno dal 1996 in uno spazio affittato.
Già al tempo la presenza del centro fu oggetto di una feroce polemica tra il sindaco Bianchi e il Pedretti, leader della Lega indigena. Polemica sfociata col sindaco Bianchi e il Pedretti costretti a mettere la coda tra le zampe per un intervento congiunto del prefetto e di alcuni parlamentari bergamaschi.
Questo lungo soffermarsi della Serra su un problema del tutto inutile ha manifestato un nervo scoperto della sua incapacità di fare politica, cioè di lasciarsi imporre un tema da delle minoranze consigliari che fanno pena perfino nello scrivere le interpellanze. Magri risultati della scolarizzazione….

L'unica novità è l'avviso di (serio  e possibile) sfratto che l'ala bersaniana del PD curnese, che fa capo all'ex segretario PCI Pelizzoli (al secolo: Sighesù alias grande falcetto), ha dato verbalmente all'autocandidata sindaco Serra. Conoscendo il Sighesù da mezzo secolo, le sue parole gesti e mimica non sono facilmente equivocabili: ha chiaramente avvertito la Serra che il candidato sindaco è ancora tutto da decidere. Ed assieme a lui ci sarebbero l'assessore Cavagna e pure Benedetti, la cui assenza dalle prime due riunioni non è passata inosservata. Benedetti ha di suo costume il basso profilo: fedele al Sighesù senza le sue asprezze.
Il tutto da parte del Sighesù senza particolari accentuazioni: che rende anche più esplicito il messaggio dal momento che al dunque, nelle segrete stanze, la Serra dovrà chiedere i voti degli ex del PCI ed a chi chiederli se non a Pelizzoli?


Insomma “la ditta” non accetta ne il disinvolto trasformismo del segretario PD Massimo Conti passato senza colpo ferire da fans di Bersani a Renzi e nemmeno quell' ibrido di “partito della nazione” in cui s'è trasformata “Vivere Curno”, sicuramente peggiore come indirizzi e risultati politici dell'omologa “arancione” che fa capo ad un Pisapia.

Non avessimo scritto fin dal primo anno che sostanzialmente Vivere Curno –messa alla prova- era una sorta di Caritas laico-oratoriana e non avessimo segnalato di volta in volta l'allargamento ad una miriade di associazioni coinvolte in progetti molto carta patinata di una precisa volontà di costruirsi una rete di supporters elettorali nello spazio provinciale, dovremmo stupirci ed invece verifichiamo che pure gli ex PCI sono sulla difensiva della “ditta”.
Del resto sono significative le assenze dalle riunioni di gran parte dei primi fautori della lista arancione mentre sono presenti gli alani schierati dal Sighesù.

Come accade  esattamente da mezzo secolo il dibattito s'è concentrato sulla infelice posizione (e definizione legale) della scuola materna san Giovanni Bosco e sui bisogni degli anziani. Il tema sostanzialmente è sempre quello dello scambio politico: parlare sempre e solo delle cose da cui è possibile trarre consenso spendendo soldi senza troppo badare alla qualità, efficacia, appropriatezza, ragionevolezza (cos'è?!?!?...)  della spesa.
Vedi i costi di mantenimento della costruenda scuola elementare….
Per dimenticare la spassosissima idea della pista ciclabile da Curno (NON RIDETE…) verso l'ospedale, che credo sia  qualcosa di unico sotto la categoria del cretino al cubo.
Problemi posti  dall'inquinamento indotto dal traffico (dei 25.000 veicoli pro-die) dalle semaforizzazioni sulla ex Briantea piuttosto che l'impossibilità economica per la nostra comunità a mantenere due centri sportivi ormai incapaci di reggere il confronto con quelli privati oppure l'assurdo




del blocco 1997-2016 dei lavori nella biblioteca auditorium fino alla figuraccia di un comune che ormai resta l'unico lungo il fiume Brembo tra Ponte san Pietro e la sua foce nell'Adda a non avere un percorso pedonale manco se li pongono. L'idea stessa di sfruttare l'ampia zona a destinazione pubblica –unica nel contesto regionale per dimensioni!- che il paese possiede al suo interno per qualcosa di “produttivo” che coniughi scuola cultura tempo libero qualità ambientale manco gli passa per la testa.
L'idea che un paese finisce in un angolo non perché non regala il panettone natalizio ai vecchietti ma perché tra la banalità di una grassa spesa corrente e un investimento di lungo periodo a forte contenuto, il secondo alla fine restituirà vantaggi economici e vitali a tutta la comunità a questa gente non passa nemmeno per la testa. Che è poi il modo classico di ragionare dei padroncini italiani, che è poi il modo classico di ragionare del “partito della nazione”, che è poi anche il classico modo di ragionare del PCI di Pelizzoli che domani vorrebbe scalzare la concorrente Serra.

La sostanza è che ascoltando i “vecchi e vecchissimi” protagonisti della politica curnese nonché dei cittadini presenti, in questi Curnesi c'è la convinzione che la crisi economica passerà e torneranno i vecchi tempi del bello spendere e indebitarsi; non tramonteranno i bei tempi delle distribuzioni a pioggia di pubblico denaro ad ogni sorta di associazione come scambio politico; ambiente e qualità della vita sono slogan da spendere senza mai concretizzare nulla,  sempre ottimo lo scambio politico elettorale cogli anziani e giù botte ai neonati. Gli anziani bene o male votano mentre chi frequenta l'asilo sull'incrocio voterà quando 'sto vecchiume politico sarà defunto. Brutale ma è così.

Di una cosa questi soggetti non si vogliono ancora rendere conto. Che appartengono ad una classe politica che ha inchiodato l'Italia su 2.300 miliardi di debito, su 200 miliardi di PIL in nero e un centinaio di miliardi di evasione fiscale e contributiva. Cioè nel loro piccolo appartengono alla classe politica che ha contribuito alla crisi economica del Paese.
Sarebbe meglio si ritirassero definitivamente a far la calza o compilare la Settimana Enigmistica anziché andare avanti














La verità non ce l'hanno raccontata tutta.
    Quando a fine novembre 2015 Ezio Mauro annunciò le dimissioni dalla direzione di Repubblica (per il 14 gennaio 2016) e informò della contestuale nomina di Calabresi a sostituirlo, nemmeno il fondatore Eugenio Scalfari pare ne fosse stato informato dall'azionista CIR-DeBenedetti e  -narrano le cronache- che solo una visita di cortesia di De Benedetti dal fondatore del quotidiano, chiuse la polemica.
    Difficile credere che in poco meno di tre mesi si siano avviati concretizzati e definiti gli accordi tra gli Agnelli e i DeBenedetti per la fusione dei due gruppi editoriali.
    Difficile credere che De Benedetti non abbia informato Scalfari e Mauro delle trattative in corso e del relativo progetto.
Sicuramente da molti mesi gli Agnelli, seguendo il disegno impresso da Marchionne di portare tutti gli interessi dei maggiori azionisti da un contesto nazionale ad un contesto internazionale (vedi Fiat che diventa FCA, vedi acquisto di The Economist ad agosto 2015 (di cui sono primi azionisti),  cercavano una soluzione sia al problema Stampa-Secolo IXX che a quello del Corriere.
    Ragionevole e poco pericoloso politicamente il matrimonio Roma-To e improponibile per ragioni economiche e politiche il matrimonio Roma-Milano.
Infatti gli Agnelli sbologneranno al meglio le proprie azioni in RCS agli attuali azionisti (e bisognerà vedere quanti ci stanno oppure se non dovranno trovare qualche cavaliere altrove) dopo averne alleggerito valore economico



ed editoriale (come scrive il CdR CorSera). Gli Agnelli non escono dall'editoria perché stufi. È Fiat che deve uscire da Rcs perché non può spiegare a investitori e banche cosa ci faccia una società editoriale italiana indebitata e in perdita nelle partecipazioni di un conglomerato automobilistico multinazionale con i suoi problemi di debiti. L'altro braccio degli Agnelli, Exor, è pieno di soldi, di liquidità, è una delle principali società di investimento europee, frutto della visione strategica di Umberto Agnelli. Ha già fra le sue partecipazioni un settimanale inglese, The Economist, molto prestigioso e molto redditizio.
    Quindi per tre mesi nessuno ha raccontato TUTTA INTERA la verità.  In effetti non  ne avevano l'obbligo, ma trattandosi di materiale delicato come la stampa, il paese ne aveva qualche diritto non proprio piccolo.
    Poi perché questo passaggio (fusione Roma-Torino) e dismissioni (in tempi ragionevoli) delle azioni RCS dagli Agnelli non è l'ultimo nemmeno  a breve, cioè entro i prossimo 3-5 anni. Fiat si libera per adesso delle sgradite partecipazioni editoriali italiane.
    Gli effetti? Il gruppo Espresso si compra un nuovo percorso di sviluppo senza sborsare un euro in contanti, mentre il cerino dei concorrenti di Rcs resta in mano a Della Valle che corona il sogno di diventare primo socio seguito da Mediobanca e Cairo.
    Prima di tutto perché Carlo De Benedetti ha 81 anni e quindi –dopo avere lasciato la CIR-Cofide nel 2012 ai tre figli- il suo futuro sarà naturalmente corto.

Secondariamente perché suo figlio Rodolfo non è un entusiasta sostenitore della stampa e quindi la porta è già aperta a nuovi soggetti.
Terzo perché gli investimenti del gruppo DeBenedetti non sono di quelli destinati a breve ad avere 2:3 un grande futuro: stampa (Gruppo Editoriale Espresso), componenti auto (SOGEFI) in buona parte per motori endotermici, sanità (KOS) per le residenze  anziani.
    In buona sostanza trattasi di una situazione di non ampio e sicuro respiro in un contesto internazionale, che poi è l'unico da cui ci si può attendere un qualche frutto positivo per il Paese nel breve medio e lungo periodo.
    Ma gli Agnelli stanno ponendo le basi per diventare tra i più potenti editori in Europa. Innanzitutto, escono da un gruppo che perdeva soldi (Rcs) e, conferendo la Stampa e Il Secolo XIX (società anche loro in rosso), entrano invece in un gruppo editoriale che di soldi ne guadagna (Espresso-Repubblica). Exor è la società di investimento della famiglia Agnelli che, alla fine delle operazioni di fusione (ci vorranno sei-otto mesi), avrà in mano il 5% del gruppo Espresso. Un altro 5% sarà dell'amico editore Carlo Perrone, mentre il 6,3% è già ora nelle mani di Giacaranda Maria Caracciolo di Melito Falck, figlia di Carlo Caracciolo, il fratello maggiore di Marella Agnelli, nonna di John Elkann. Insomma, una di casa Agnelli. Senza dimenticare il 2,8% di Edoardo Revelli e il 2,6% di Margherita Revelli, anch'essi eredi di Carlo Caracciolo (figli naturali

nati fuori dal matrimonio).
    Inoltre Exor, attraverso una sua holding lussemburghese, è già il principale azionista del settimanale inglese The Economist (di cui controlla il 43,4%). Il pallino del nuovo mega gruppo Espresso, ovviamente, resterà in mano alla Cir di Carlo De Benedetti, che anche al termine delle fusioni manterrà il controllo col 43%. Un controllo che, però, non sarà più corroborato dalla maggioranza assoluta (Cir adesso è al 53,6%), rendendo di fatto il gruppo contendibile. Ma anche senza pensare a operazioni ostili, è piuttosto pacifico che quando l'Ingegnere (che il prossimo 14 novembre compirà 82 anni) si farà da parte, i suoi figli (Rodolfo e Marco) non spingeranno più di tanto per rimanere in un business, quello editoriale, che non hanno mai amato troppo.
    E dove potrebbe trasferirsi il controllo del mega gruppo Espresso-Repubblica-Stampa-Secolo XIX? A Torino, in casa Exor. Che, nel frattempo, potrebbe aver lavorato per creare un asse pan-europeo con Le Monde in Francia e con El Pais in Spagna. Alla fine di questo risiko, peraltro, sembra rimanere col cerino in mano il gruppo Rcs: via la Fiat, via le banche, c'è una quota ben oltre il 30% in cerca di un nuovo padrone.
    Resta incognito il destino del Corriere. Forse hanno ragione quelli che moromorano che tra qualche anno gli Agnelli avranno in mano 5-6 dei maggiori giornali europei in Italia Francia Spagna Inghilterra e Germania.












«Abbiamo assistito ad un vociare disordinato con punte di volgarità insopportabili. Forse è il contrappasso sguaiato a 20 anni di silenzio totale sui diritti civili, meritorie eccezioni a parte e quasi tutte legate alla famiglia radicale». Emma Bonino era lontana dall'Italia quando il Senato ha approvato, tra canguri mancati e scambi di insulti, la legge sulle unioni civili. Ma non è solo per lo spettacolo che si è evitata che non nasconde un certo fastidio.
Cos'è che non la convince?
«È stato fatto un passo avanti, una tardiva presa d'atto della realtà. Come non ricordare i Dico del 2007? Mentre il Parlamento si perdeva in giochini inenarrabili il Paese è andato avanti. Anzi, dirò di più: gli italiani hanno interiorizzato la cultura del “mi arrangio da solo”. Come se non si aspettassero più nulla dalle istituzioni… ».
Nel 2007, lo ha ricordato lei, non se ne fece nulla. Stavolta cosa è cambiato?
«I tempi erano così maturi… Vedo che c'è ancora chi si ostina a combattere una battaglia in difesa solo della famiglia tradizionale, che a ben vedere nessuno sa più definire esattamente».
C'è stato perfino un nuovo Family Day, per la verità.
«Io ho visto due manifestazioni. In una lo slogan era: siamo una famiglia anche noi. Nell'altra, invece, era: la famiglia siamo solo noi. La cultura proibizionista non muore mai, anche ora che non c'è più l'alibi della Chiesa.
Ma il cardinal Bagnasco si è fatto sentire.
«Sì, ma l'interventismo del passato era ben altra cosa. E comunque è sempre uscito sconfitto»
Le ritornano in mente le antiche battaglie per il divorzio, l'aborto…
«Sì, ho visto tornare a galla parole d'ordine di trent'anni fa. In realtà di fronte a problemi sociali nuovi o complessi ci sono due strade possibili: regolamentare o proibire.

E in Italia si tende a scegliere sempre la seconda. Che poi il proibizionismo non funzioni, e anzi dia luogo a fenomeni come costosi turismi sanitari o altro, sembra non interessare a nessuno, meno che mai al legislatore. La differenza è lampante. Da una parte chi si sforza di regolamentare, scegliendo una strada forse più complessa ma efficace. Dall'altra, chi risponde con il proibizionismo velleitario. Infatti i radicali presentano con l'associazione Luca Coscioni una proposta di regolamentazione della maternità per terzi, attingendo alle pratiche ed esperienze di altri paesi, evitando il più possibile lo sfruttamento. Altri si apprestano a farne un reato addirittura mondiale».
I decenni sono passati invano, allora?
«In effetti rispetto ad una cultura legislativa liberale e rispettosa delle scelte di vita dei cittadini è davvero cambiato poco. L'eventuale “io non lo farei” diventa automaticamente “nessuno lo deve fare”, magari rafforzato da una serie di volgari falsità, come era emerso anche in occasione della drammatica vicenda di Eluana Englaro. C'è veramente da augurarsi adesso che riprende il dibattito in Parlamento su testamento biologico e eutanasia, anche in questo caso dopo tanti anni, la politica sappia esprimersi in modo più rispettoso rispetto ai tanti drammi umani che tutti conosciamo».
Non si spengono le polemiche sulla maternità surrogata.
«Su tutte le materie di scelta di vita penso che debba prevalere la scelta responsabile delle persone. Io sono per una legge che regolamenti la gravidanza per terzi. L'associazione Luca Coscioni ha pronta una proposta di legge. Qui si tratta di stabilire regole, non di inventare nuovi reati. L'automatico furore proibizionista non solo non funzionerà, ma provocherà altri guai. Come dimostra tutta la storia dei proibizionismi dalla cannabis al divieto di procreazione assistita. Di fronte alle scelte delle persone bisogna avere rispetto».
Nel mirino c'è Nichi Vendola.
«La contestualità del dibattito parlamentare con la nascita del figlio ha fatto assumere alla vicenda un rilievo eccessivo. E anche in questo caso, mi duole ripetermi, c'è chi ha dato fondo a tutta la sua volgarità. Una signora in contatto con l'associazione Coscioni ha chiesto un giorno: ma se è lecito donare un rene perché non posso prestare l'utero a mia figlia?».
Nessuno scandalo, insomma, anche se pure tra alcune femministe storiche sono volate parole di condanna ?.
«Ho molti amici, omosessuali e no, che hanno cercato e cercano di avere un figlio in questo modo. Alcuni si possono sentire a disagio o disapprovare. Ma da qui a farlo divenire reato mondiale davvero ce ne corre…».


È stato forse l'ultimo supremo aristocratico dell'interpretazione musicale il direttore Nikolaus Harnoncourt, morto sabato a 86 anni nella sua casa di St. Georgen, non lontano da Salisburgo. Aristocratico non solo in quanto proveniente da una famiglia di nobiltà certificata da un incredibile florilegio di cognomi (uno dei quali era Harnoncourt), ma per lo spirito da indagatore e perfezionista, fanatico del dettaglio e maestro di ricognizione filologica. Focalizzato, soprattutto nella prima parte del suo itinerario, sulla ricerca dell'autenticità nella musica barocca, della cui rinascita in epoca recente viene considerato il padre. Respirava in lui un culto dell'approfondimento che non s'addice alla concitazione odierna, e che ha saputo innalzarne la produzione rispetto alla massa sterminata di proposte musicali dell'ultima fetta di Novecento. Harnoncourt ci ha consegnato un'eredità straordinaria sia in termini di patrimonio discografico (nell'approccio a Bach ha creato nuovi paradigmi, non solo grazie all'uso di strumenti originali), sia sul piano di un pensiero musicale testimoniato dal suo scrupoloso lavoro musicologico e saggistico (preziosi gli scritti che ha firmato su Monteverdi, Bach e Mozart).
Prima di divenire uno dei massimi campioni del podio austriaci del dopoguerra (insieme a Herbert von Karajan, Karl Böhm e Carlos Kleiber),

Harnoncourt inizia la carriera suonando il violoncello e la viola da gamba a Vienna, dove fonda nel '53 il gruppo Concentus Musicus,suo fondamentale approdo alle riletture filologiche delle partiture rinascimentali e barocche. Agli anni '50 risale pure l'avvio delle sue esplorazioni di Monteverdi, le cui opere dirige molto negli anni '70 (fra l'altro alla Scala, a Edimburgo e all'Opera di Zurigo, teatro cui fu legatissimo). Dagli anni '80 in poi guida le più prestigiose orchestre internazionali, come il Concertgebouw di Amsterdam (con incisioni di Mozart e Schubert), i Wiener Philharmoniker (rivelatorio il suo Bruckner) e i Berliner (ai quali affida l'integrale delle sinfonie di Brahms). Il che non gli impedisce di proseguire i suoi speciali viaggi a ritroso nella “verità” esecutiva insieme al suo ensemble di sempre, il Concentus Musicus, ampliato per dimensioni e repertorio. Anche quando, con altre orchestre, Harnoncourt si avvale di strumenti moderni, mantiene salda e vivida la cura dell'inquadramento storico nei tempi e nelle dinamiche, mostrando l'assoluta originalità dell'antico. Fertile è la sua attività di direttore operistico, fra Vienna, Zurigo, Amsterdam e Salisburgo, con un'intensa frequentazione di titoli mozartiani. Nel 2001 il suo disco della “Passione secondo Matteo” di Bach gli vale un Grammy Award. Aveva deciso di ritirarsi in dicembre per problemi di salute, e l'annuncio ebbe grande risonanza.
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Loretta Bentivoglio | LaRepubblica | 07 marzo 2016











Ha ragione al 50% il vice-premier del governo di Tripoli, Ahmed Amhimid al Hafar, è uno degli uomini più influenti della capitale, quando dice al Corriere “«non mandateci 5.000 soldati ma armi e dottori». La metà sbagliata sono le armi.
Nei giorni in cui la solita destra italiana invoca gli scarponi dei fanti in terra libica e tre quarti degli italiani ne sono del tutto contrari, probabilmente occorre uno di quegli scarti cui ci ha abituati Renzi. Preso atto che americani francesi e inglesi stanno trafficando di brutto nelle retrovie libiche senza nemmeno prendere in considerazione che noi italiani dobbiamo far fronte e milioni di immigrati clandestini, preso atto che non si riesce a creare un governo unitario tra Tripoli e Tobruk, forse l'Italia può dare una scossa. Dicendo agli alleati guerrafondai e furbacchioni: noi (italiani) vogliamo dare una mano al popolo libico senza mettere

naso e pretendere e attendere che le due fazioni si mettano d'accordo. Questo è un problema libico: se i due governi garantiscono ai nostri medici, ingegneri, volontari di operare con un livello di accettabile sicurezza, noi possiamo scendere a dare una mano per rimettere in piedi ospedali acquedotti linee telefoniche strade. Niente armi. Niente pezzi di ricambio.
Insomma applicare (in gran parte) la lezione di Medici senza Frontiere: l'uomo prima della bandiera.
Indubbiamente occorre del pelo sullo stomaco perché questa scelta smaschera tutti i giochi multipli che le c.d. grandi potenze stanno attuando in Libia e nel contempo obbliga le fazioni della Libia al rispetto di chi li aiuta.
Non ci stanno? Aspettiamo.
Perché poi, l'ISIS e le cento fazioni libiche non si battono facilmente in un
territorio com'é il deserto,

i pozzi di petrolio e gas, i ruderi delle città.
Se ad una popolazione dai pane pace lavoro salute sicurezza, automaticamente cacciano ogni tipo di avventuriero. Se i governi si rendono conto che non cacci armi e ricambi, o ti sbattono fuori oppure si piegano.
Poi è evidente che digitare un articolo è assai più semplice che stare in Libia, però la buona volontà e il pacifismo non possono dimenticare che certi metodi oggi vanno comunque adottati senza troppe remore.
Le guerre attuali vanno combattute senza clamore anche con dei micro comandi che individuano ed estirpano (leggi: ammazzano senza troppe gentilezze) i padroni della guerra. Sul terreno come coi droni. Questo vuol dire essere un “grande paese” cioè uno ingrado di darti

grado di darti la mano per strapparti dal gorgo ma anche la botta per farti affogare se lo tirare dentro.
Questo perché le fazioni in guerra –dappertutto non solo in Libia, soprattutto l'ISIS- sanno benissimo che i popoli non vogliono vedere morire la propria gente per gli altri.
Queste cose le vogliono solo dei governanti irresponsabili  al soldo dei produttori d'armi. Questi criminali vogliono vedere morire la propria gente per gli altri. Queste cose le vogliono solo dei governanti irresponsabili  al soldo dei produttori d'armi. Questi criminali stanno approfittando del nostro modello di convivenza che ripudia la guerra e per ricattarci e per approfittarne. In questo casino le popolazioni locali si dividono tra una minoranza che partecipa del crimine: foreign fighters, trafficanti di ogni cosa, ladri e criminali comuni e una maggioranza che appena può fuggealtrove.

Questi criminali sanno benissimo che l'Europa con quasi mezzo miliardo di persone in piena crisi economica non vuole e non ha il coraggio di sopportare 2-3 milioni di profughi. I terroristi  sanno benissimo approfittare delle debolezze dell'Europa e della sua ottusità nell'immaginare risposte diverse da quelle che non siano “gli scarponi sul terreno”.
Ecco perché in Libia ci dobbiamo andare: ma non coi soldati bensì coi medici, ingegneri, insegnanti. MsF ce lo sta insegnando da mezzo secolo ma non abbiamo appreso la lezione.