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INDICE
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182 - 09 marzo 2016
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bienno47@gmail.com
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Secondo
incontro di Vivere Curno in vista delle elezioni amministrative del
2017. Tema “ Focus su Curno oggi e nei prossimi cinque anni”. La
sindaco Serra ha propinato agli incauti e poco numerosi presenti una
sbrodolata di banali informazioni statistiche sul Comune quasi
sempre male interpretate.
L'impressione è stata quella di avere di fronte una persona che non ha
una scala di valori nel leggere il proprio paese e non ha nemmeno la
capacità minima di sapere riconoscere quelli che sono i valori
positivi e quelli negativi del proprio territorio e del proprio comune.
L'esposizione è stata quella della massaia che fa l'inventario delle
cose di casa. Alla fine non si è riusciti a capire se la famiglia sia a
corto delle une piuttosto che delle altre. La sindaco Serra ha fato la
figura di quel direttore di museo che non sa distinguere un Moroni da
una crosta del Gioanì Mamalao ma ritiene che debbano stare entrambe
esposte in pubblico. Che poi è la stessa lettura del paese che ne fanno
un Pelizzoli (storico esponente del vecchio PCI) oppure dell'ex sindaco
Morelli, donna di abilissime capacità nel farsi inutilmente odiare dai
curnesi. Coppia – Morelli & Pelizzoli- che riuscì, assieme alla
sindaco Serra ed al vicesindaco Bellezza nella rara impresa di
RE-incollare insieme lega, fascisti e forza italia e far vincere la
destra. Un centrodestra dove si odiavano e si odiano a morte, per
merito di questi intelligenti politici, trovarono occasione e cemento
per fare una lista unitaria e vincere col più improbabile dei sindaci
possibili.
La lettura o interpretazione fatta del nostro paese da parte della
sindaco è quella superficiale nella quale contano soltanto le relazioni
per lo scambio politico elettorale. Lettura che si ritrova in un
Pelizzoli quando rievoca dopo mezzo secolo di rievocazioni la
questione dell'asilo, oppure di un Locatelli DC che rimette in campo la
polemica sulla biblioteca auditorium. Fino all'intervento della Morelli
che vorrebbe chiudere la bocca a qualche presente che OSI cantare fuori
dal coro. Oppure alla tremenda banalità dell'assessore Gamba la quale –
beata ingenuità!- asserisce che le mamme non avrebbero mai espresso
qualche dubbio sulla infelice posizione in mezzo al traffico della
scuola materna san Giovanni Bosco. Anzi!. Idem per un Pelizzoli,
titolare del maggiore bar della psuedo piazza pedonalizzata che a
fronte del suggerimento: decidete se pedonalizzare o consentire il
traffico,
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ha manifestato l'opinione “che va bene così” nel senso che si
pedonalizza laddove il suo bar può mettere i tavolini in strada mentre
ai negozi frontisti, si piazza il parcheggio delle auto. Una
insensibilità atroce.
La sindaco Serra s'è soffermata per un buon quarto d'ora sulla
questione stranieri presenti a Curno (con tutta una serie di inutili
considerazioni numeriche) e la micro polemica forza-leghista sulla
richiesta di realizzare una moschea (in uno spazio di loro proprietà)
al posto del centro culturale islamico, già presente a Curno dal 1996
in uno spazio affittato.
Già al tempo la presenza del centro fu oggetto di una feroce polemica
tra il sindaco Bianchi e il Pedretti, leader della Lega indigena.
Polemica sfociata col sindaco Bianchi e il Pedretti costretti a mettere la coda tra le zampe per un
intervento congiunto del prefetto e di alcuni parlamentari bergamaschi.
Questo lungo soffermarsi della Serra su un problema del tutto inutile
ha manifestato un nervo scoperto della sua incapacità di fare politica,
cioè di lasciarsi imporre un tema da delle minoranze consigliari che
fanno pena perfino nello scrivere le interpellanze. Magri risultati
della scolarizzazione….
L'unica novità è l'avviso di (serio e possibile) sfratto che
l'ala bersaniana del PD curnese, che fa capo all'ex segretario PCI
Pelizzoli (al secolo: Sighesù alias grande falcetto), ha dato
verbalmente all'autocandidata sindaco Serra. Conoscendo il Sighesù da
mezzo secolo, le sue parole gesti e mimica non sono facilmente
equivocabili: ha chiaramente avvertito la Serra che il candidato
sindaco è ancora tutto da decidere. Ed assieme a lui ci sarebbero
l'assessore Cavagna e pure Benedetti, la cui assenza dalle prime due
riunioni non è passata inosservata. Benedetti ha di suo costume il
basso profilo: fedele al Sighesù senza le sue asprezze.
Il tutto da parte del Sighesù senza particolari accentuazioni: che
rende anche più esplicito il messaggio dal momento che al dunque, nelle
segrete stanze, la Serra dovrà chiedere i voti degli ex del PCI ed a
chi chiederli se non a Pelizzoli?
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Insomma “la ditta” non accetta ne il disinvolto trasformismo del
segretario PD Massimo Conti passato senza colpo ferire da fans di
Bersani a Renzi e nemmeno quell' ibrido di “partito della nazione” in
cui s'è trasformata “Vivere Curno”, sicuramente peggiore come indirizzi
e risultati politici dell'omologa “arancione” che fa capo ad un Pisapia.
Non avessimo scritto fin dal primo anno che sostanzialmente Vivere
Curno –messa alla prova- era una sorta di Caritas laico-oratoriana e
non avessimo segnalato di volta in volta l'allargamento ad una miriade
di associazioni coinvolte in progetti molto carta patinata di una
precisa volontà di costruirsi una rete di supporters elettorali nello
spazio provinciale, dovremmo stupirci ed invece verifichiamo che pure
gli ex PCI sono sulla difensiva della “ditta”.
Del resto sono significative le assenze dalle riunioni di gran parte
dei primi fautori della lista arancione mentre sono presenti gli alani
schierati dal Sighesù.
Come accade esattamente da mezzo secolo il dibattito s'è
concentrato sulla infelice posizione (e definizione legale) della
scuola materna san Giovanni Bosco e sui bisogni degli anziani. Il tema
sostanzialmente è sempre quello dello scambio politico: parlare sempre
e solo delle cose da cui è possibile trarre consenso spendendo soldi
senza troppo badare alla qualità, efficacia, appropriatezza,
ragionevolezza (cos'è?!?!?...) della spesa.
Vedi i costi di mantenimento della costruenda scuola elementare….
Per dimenticare la spassosissima idea della pista ciclabile da Curno
(NON RIDETE…) verso l'ospedale, che credo sia qualcosa di unico
sotto la categoria del cretino al cubo.
Problemi posti dall'inquinamento indotto dal traffico (dei 25.000
veicoli pro-die) dalle semaforizzazioni sulla ex Briantea piuttosto che
l'impossibilità economica per la nostra comunità a mantenere due centri
sportivi ormai incapaci di reggere il confronto con quelli privati oppure l'assurdo
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del
blocco 1997-2016 dei lavori nella biblioteca auditorium fino alla
figuraccia di un comune che ormai resta l'unico lungo il fiume Brembo
tra Ponte san Pietro e la sua foce nell'Adda a non avere un percorso
pedonale manco se li pongono. L'idea stessa di sfruttare l'ampia zona a
destinazione pubblica –unica nel contesto regionale per dimensioni!-
che il paese possiede al suo interno per qualcosa di “produttivo” che
coniughi scuola cultura tempo libero qualità ambientale manco gli passa
per la testa.
L'idea che un paese finisce in un angolo non perché non regala il
panettone natalizio ai vecchietti ma perché tra la banalità di una
grassa spesa corrente e un investimento di lungo periodo a forte
contenuto, il secondo alla fine restituirà vantaggi economici e vitali
a tutta la comunità a questa gente non passa nemmeno per la testa. Che
è poi il modo classico di ragionare dei padroncini italiani, che è poi
il modo classico di ragionare del “partito della nazione”, che è poi
anche il classico modo di ragionare del PCI di Pelizzoli che domani
vorrebbe scalzare la concorrente Serra.
La sostanza è che ascoltando i “vecchi e vecchissimi” protagonisti
della politica curnese nonché dei cittadini presenti, in questi Curnesi
c'è la convinzione che la crisi economica passerà e torneranno i vecchi
tempi del bello spendere e indebitarsi; non tramonteranno i bei tempi
delle distribuzioni a pioggia di pubblico denaro ad ogni sorta di
associazione come scambio politico; ambiente e qualità della vita sono
slogan da spendere senza mai concretizzare nulla, sempre ottimo
lo scambio politico elettorale cogli anziani e giù botte ai neonati.
Gli anziani bene o male votano mentre chi frequenta l'asilo
sull'incrocio voterà quando 'sto vecchiume politico sarà defunto.
Brutale ma è così.
Di una cosa questi soggetti non si vogliono ancora rendere conto. Che
appartengono ad una classe politica che ha inchiodato l'Italia su 2.300
miliardi di debito, su 200 miliardi di PIL in nero e un centinaio di
miliardi di evasione fiscale e contributiva. Cioè nel loro piccolo
appartengono alla classe politica che ha contribuito alla crisi
economica del Paese.
Sarebbe meglio si ritirassero definitivamente a far la calza o compilare la Settimana Enigmistica anziché andare avanti
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La verità non ce l'hanno raccontata tutta.
Quando a fine novembre 2015 Ezio Mauro annunciò le
dimissioni dalla direzione di Repubblica (per il 14 gennaio 2016) e
informò della contestuale nomina di Calabresi a sostituirlo, nemmeno il
fondatore Eugenio Scalfari pare ne fosse stato informato dall'azionista
CIR-DeBenedetti e -narrano le cronache- che solo una visita di
cortesia di De Benedetti dal fondatore del quotidiano, chiuse la
polemica.
Difficile credere che in poco meno di tre mesi si
siano avviati concretizzati e definiti gli accordi tra gli Agnelli e i
DeBenedetti per la fusione dei due gruppi editoriali.
Difficile credere che De Benedetti non abbia
informato Scalfari e Mauro delle trattative in corso e del relativo
progetto.
Sicuramente da molti mesi gli Agnelli, seguendo il disegno impresso da
Marchionne di portare tutti gli interessi dei maggiori azionisti da un
contesto nazionale ad un contesto internazionale (vedi Fiat che diventa
FCA, vedi acquisto di The Economist ad agosto 2015 (di cui sono primi
azionisti), cercavano una soluzione sia al problema Stampa-Secolo
IXX che a quello del Corriere.
Ragionevole e poco pericoloso politicamente il
matrimonio Roma-To e improponibile per ragioni economiche e politiche
il matrimonio Roma-Milano.
Infatti gli Agnelli sbologneranno al meglio le proprie azioni in RCS
agli attuali azionisti (e bisognerà vedere quanti ci stanno oppure se
non dovranno trovare qualche cavaliere altrove) dopo averne alleggerito valore economico
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ed
editoriale (come scrive il CdR CorSera). Gli Agnelli non escono
dall'editoria perché stufi. È Fiat che deve uscire da Rcs perché non
può spiegare a investitori e banche cosa ci faccia una società
editoriale italiana indebitata e in perdita nelle partecipazioni di un
conglomerato automobilistico multinazionale con i suoi problemi di
debiti. L'altro braccio degli Agnelli, Exor, è pieno di soldi, di
liquidità, è una delle principali società di investimento europee,
frutto della visione strategica di Umberto Agnelli. Ha già fra le sue
partecipazioni un settimanale inglese, The Economist, molto prestigioso
e molto redditizio.
Quindi per tre mesi nessuno ha raccontato TUTTA
INTERA la verità. In effetti non ne avevano l'obbligo, ma
trattandosi di materiale delicato come la stampa, il paese ne aveva
qualche diritto non proprio piccolo.
Poi perché questo passaggio (fusione Roma-Torino) e
dismissioni (in tempi ragionevoli) delle azioni RCS dagli Agnelli non è
l'ultimo nemmeno a breve, cioè entro i prossimo 3-5 anni. Fiat si
libera per adesso delle sgradite partecipazioni editoriali italiane.
Gli effetti? Il gruppo Espresso si compra un nuovo
percorso di sviluppo senza sborsare un euro in contanti, mentre il
cerino dei concorrenti di Rcs resta in mano a Della Valle che corona il
sogno di diventare primo socio seguito da Mediobanca e Cairo.
Prima di tutto perché Carlo De Benedetti ha 81 anni
e quindi –dopo avere lasciato la CIR-Cofide nel 2012 ai tre figli- il
suo futuro sarà naturalmente corto. |
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Secondariamente
perché suo figlio Rodolfo non è un entusiasta sostenitore della stampa
e quindi la porta è già aperta a nuovi soggetti.
Terzo perché gli investimenti del gruppo DeBenedetti non sono di quelli
destinati a breve ad avere 2:3 un grande futuro: stampa (Gruppo
Editoriale Espresso), componenti auto (SOGEFI) in buona parte per
motori endotermici, sanità (KOS) per le residenze anziani.
In buona sostanza trattasi di una situazione di non
ampio e sicuro respiro in un contesto internazionale, che poi è l'unico
da cui ci si può attendere un qualche frutto positivo per il Paese nel
breve medio e lungo periodo.
Ma gli Agnelli stanno ponendo le basi per diventare
tra i più potenti editori in Europa. Innanzitutto, escono da un gruppo
che perdeva soldi (Rcs) e, conferendo la Stampa e Il Secolo XIX
(società anche loro in rosso), entrano invece in un gruppo editoriale
che di soldi ne guadagna (Espresso-Repubblica). Exor è la società di
investimento della famiglia Agnelli che, alla fine delle operazioni di
fusione (ci vorranno sei-otto mesi), avrà in mano il 5% del gruppo
Espresso. Un altro 5% sarà dell'amico editore Carlo Perrone, mentre il
6,3% è già ora nelle mani di Giacaranda Maria Caracciolo di Melito
Falck, figlia di Carlo Caracciolo, il fratello maggiore di Marella
Agnelli, nonna di John Elkann. Insomma, una di casa Agnelli. Senza
dimenticare il 2,8% di Edoardo Revelli e il 2,6% di Margherita Revelli,
anch'essi eredi di Carlo Caracciolo (figli naturali
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nati fuori dal matrimonio).
Inoltre Exor, attraverso una sua holding
lussemburghese, è già il principale azionista del settimanale inglese
The Economist (di cui controlla il 43,4%). Il pallino del nuovo mega
gruppo Espresso, ovviamente, resterà in mano alla Cir di Carlo De
Benedetti, che anche al termine delle fusioni manterrà il controllo col
43%. Un controllo che, però, non sarà più corroborato dalla maggioranza
assoluta (Cir adesso è al 53,6%), rendendo di fatto il gruppo
contendibile. Ma anche senza pensare a operazioni ostili, è piuttosto
pacifico che quando l'Ingegnere (che il prossimo 14 novembre compirà 82
anni) si farà da parte, i suoi figli (Rodolfo e Marco) non spingeranno
più di tanto per rimanere in un business, quello editoriale, che non
hanno mai amato troppo.
E dove potrebbe trasferirsi il controllo del mega
gruppo Espresso-Repubblica-Stampa-Secolo XIX? A Torino, in casa Exor.
Che, nel frattempo, potrebbe aver lavorato per creare un asse
pan-europeo con Le Monde in Francia e con El Pais in Spagna. Alla fine
di questo risiko, peraltro, sembra rimanere col cerino in mano il
gruppo Rcs: via la Fiat, via le banche, c'è una quota ben oltre il 30%
in cerca di un nuovo padrone.
Resta incognito il destino del Corriere. Forse hanno
ragione quelli che moromorano che tra qualche anno gli Agnelli avranno
in mano 5-6 dei maggiori giornali europei in Italia Francia Spagna
Inghilterra e Germania.
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«Abbiamo
assistito ad un vociare disordinato con punte di volgarità
insopportabili. Forse è il contrappasso sguaiato a 20 anni di silenzio
totale sui diritti civili, meritorie eccezioni a parte e quasi tutte
legate alla famiglia radicale». Emma Bonino era lontana
dall'Italia quando il Senato ha approvato, tra canguri mancati e scambi
di insulti, la legge sulle unioni civili. Ma non è solo per lo
spettacolo che si è evitata che non nasconde un certo fastidio.
Cos'è che non la convince?
«È stato fatto un passo avanti, una tardiva presa d'atto della realtà.
Come non ricordare i Dico del 2007? Mentre il Parlamento si perdeva in
giochini inenarrabili il Paese è andato avanti. Anzi, dirò di più: gli
italiani hanno interiorizzato la cultura del “mi arrangio da solo”.
Come se non si aspettassero più nulla dalle istituzioni… ».
Nel 2007, lo ha ricordato lei, non se ne fece nulla. Stavolta cosa è cambiato?
«I tempi erano così maturi… Vedo che c'è ancora chi si ostina a
combattere una battaglia in difesa solo della famiglia tradizionale,
che a ben vedere nessuno sa più definire esattamente».
C'è stato perfino un nuovo Family Day, per la verità.
«Io ho visto due manifestazioni. In una lo slogan era: siamo una
famiglia anche noi. Nell'altra, invece, era: la famiglia siamo solo
noi. La cultura proibizionista non muore mai, anche ora che non c'è più
l'alibi della Chiesa.
Ma il cardinal Bagnasco si è fatto sentire.
«Sì, ma l'interventismo del passato era ben altra cosa. E comunque è sempre uscito sconfitto»
Le ritornano in mente le antiche battaglie per il divorzio, l'aborto…
«Sì, ho visto tornare a galla parole d'ordine di trent'anni fa. In
realtà di fronte a problemi sociali nuovi o complessi ci sono due
strade possibili: regolamentare o proibire.
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E
in Italia si tende a scegliere sempre la seconda. Che poi il
proibizionismo non funzioni, e anzi dia luogo a fenomeni come costosi
turismi sanitari o altro, sembra non interessare a nessuno, meno che
mai al legislatore. La differenza è lampante. Da una parte chi si
sforza di regolamentare, scegliendo una strada forse più complessa ma
efficace. Dall'altra, chi risponde con il proibizionismo velleitario.
Infatti i radicali presentano con l'associazione Luca Coscioni una
proposta di regolamentazione della maternità per terzi, attingendo alle
pratiche ed esperienze di altri paesi, evitando il più possibile lo
sfruttamento. Altri si apprestano a farne un reato addirittura
mondiale».
I decenni sono passati invano, allora?
«In effetti rispetto ad una cultura legislativa liberale e rispettosa
delle scelte di vita dei cittadini è davvero cambiato poco. L'eventuale
“io non lo farei” diventa automaticamente “nessuno lo deve fare”,
magari rafforzato da una serie di volgari falsità, come era emerso
anche in occasione della drammatica vicenda di Eluana Englaro. C'è
veramente da augurarsi adesso che riprende il dibattito in Parlamento
su testamento biologico e eutanasia, anche in questo caso dopo tanti
anni, la politica sappia esprimersi in modo più rispettoso rispetto ai
tanti drammi umani che tutti conosciamo».
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Non si spengono le polemiche sulla maternità surrogata.
«Su tutte le materie di scelta di vita penso che debba prevalere la
scelta responsabile delle persone. Io sono per una legge che
regolamenti la gravidanza per terzi. L'associazione Luca Coscioni ha
pronta una proposta di legge. Qui si tratta di stabilire regole, non di
inventare nuovi reati. L'automatico furore proibizionista non solo non
funzionerà, ma provocherà altri guai. Come dimostra tutta la storia dei
proibizionismi dalla cannabis al divieto di procreazione assistita. Di
fronte alle scelte delle persone bisogna avere rispetto».
Nel mirino c'è Nichi Vendola.
«La contestualità del dibattito parlamentare con la nascita del figlio
ha fatto assumere alla vicenda un rilievo eccessivo. E anche in questo
caso, mi duole ripetermi, c'è chi ha dato fondo a tutta la sua
volgarità. Una signora in contatto con l'associazione Coscioni ha
chiesto un giorno: ma se è lecito donare un rene perché non posso
prestare l'utero a mia figlia?».
Nessuno scandalo, insomma, anche se pure tra alcune femministe storiche sono volate parole di condanna ?.
«Ho molti amici, omosessuali e no, che hanno cercato e cercano di avere
un figlio in questo modo. Alcuni si possono sentire a disagio o
disapprovare. Ma da qui a farlo divenire reato mondiale davvero ce ne
corre…».
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È
stato forse l'ultimo supremo aristocratico dell'interpretazione
musicale il direttore Nikolaus Harnoncourt, morto sabato a 86 anni
nella sua casa di St. Georgen, non lontano da Salisburgo. Aristocratico
non solo in quanto proveniente da una famiglia di nobiltà certificata
da un incredibile florilegio di cognomi (uno dei quali era
Harnoncourt), ma per lo spirito da indagatore e perfezionista, fanatico
del dettaglio e maestro di ricognizione filologica. Focalizzato,
soprattutto nella prima parte del suo itinerario, sulla ricerca
dell'autenticità nella musica barocca, della cui rinascita in epoca
recente viene considerato il padre. Respirava in lui un culto
dell'approfondimento che non s'addice alla concitazione odierna, e che
ha saputo innalzarne la produzione rispetto alla massa sterminata di
proposte musicali dell'ultima fetta di Novecento. Harnoncourt ci ha
consegnato un'eredità straordinaria sia in termini di patrimonio
discografico (nell'approccio a Bach ha creato nuovi paradigmi, non solo
grazie all'uso di strumenti originali), sia sul piano di un pensiero
musicale testimoniato dal suo scrupoloso lavoro musicologico e
saggistico (preziosi gli scritti che ha firmato su Monteverdi, Bach e
Mozart).
Prima di divenire uno dei massimi campioni del podio austriaci del
dopoguerra (insieme a Herbert von Karajan, Karl Böhm e Carlos Kleiber),
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Harnoncourt
inizia la carriera suonando il violoncello e la viola da gamba a
Vienna, dove fonda nel '53 il gruppo Concentus Musicus,suo fondamentale
approdo alle riletture filologiche delle partiture rinascimentali e
barocche. Agli anni '50 risale pure l'avvio delle sue esplorazioni di
Monteverdi, le cui opere dirige molto negli anni '70 (fra l'altro alla
Scala, a Edimburgo e all'Opera di Zurigo, teatro cui fu legatissimo).
Dagli anni '80 in poi guida le più prestigiose orchestre
internazionali, come il Concertgebouw di Amsterdam (con incisioni di
Mozart e Schubert), i Wiener Philharmoniker (rivelatorio il suo
Bruckner) e i Berliner (ai quali affida l'integrale delle sinfonie di
Brahms). Il che non gli impedisce di proseguire i suoi speciali viaggi
a ritroso nella “verità” esecutiva insieme al suo ensemble di sempre,
il Concentus Musicus, ampliato per dimensioni e repertorio. Anche
quando, con altre orchestre, Harnoncourt si avvale di strumenti
moderni, mantiene salda e vivida la cura dell'inquadramento storico nei
tempi e nelle dinamiche, mostrando l'assoluta originalità dell'antico.
Fertile è la sua attività di direttore operistico, fra Vienna, Zurigo,
Amsterdam e Salisburgo, con un'intensa frequentazione di titoli
mozartiani. Nel 2001 il suo disco della “Passione secondo Matteo” di
Bach gli vale un Grammy Award. Aveva deciso di ritirarsi in dicembre
per problemi di salute, e l'annuncio ebbe grande risonanza.
@
Loretta Bentivoglio | LaRepubblica | 07 marzo 2016
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Ha
ragione al 50% il vice-premier del governo di Tripoli, Ahmed Amhimid al
Hafar, è uno degli uomini più influenti della capitale, quando dice al
Corriere “«non mandateci 5.000 soldati ma armi e dottori». La metà
sbagliata sono le armi.
Nei giorni in cui la solita destra italiana invoca gli scarponi dei
fanti in terra libica e tre quarti degli italiani ne sono del tutto
contrari, probabilmente occorre uno di quegli scarti cui ci ha abituati
Renzi. Preso atto che americani francesi e inglesi stanno trafficando
di brutto nelle retrovie libiche senza nemmeno prendere in
considerazione che noi italiani dobbiamo far fronte e milioni di
immigrati clandestini, preso atto che non si riesce a creare un governo
unitario tra Tripoli e Tobruk, forse l'Italia può dare una scossa.
Dicendo agli alleati guerrafondai e furbacchioni: noi (italiani)
vogliamo dare una mano al popolo libico senza mettere
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naso
e pretendere e attendere che le due fazioni si mettano d'accordo.
Questo è un problema libico: se i due governi garantiscono ai nostri
medici, ingegneri, volontari di operare con un livello di accettabile
sicurezza, noi possiamo scendere a dare una mano per rimettere in piedi
ospedali acquedotti linee telefoniche strade. Niente armi. Niente pezzi
di ricambio.
Insomma applicare (in gran parte) la lezione di Medici senza Frontiere: l'uomo prima della bandiera.
Indubbiamente occorre del pelo sullo stomaco perché questa scelta
smaschera tutti i giochi multipli che le c.d. grandi potenze stanno
attuando in Libia e nel contempo obbliga le fazioni della Libia al
rispetto di chi li aiuta.
Non ci stanno? Aspettiamo.
Perché poi, l'ISIS e le cento fazioni libiche non si battono facilmente in un
territorio com'é il deserto,
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i pozzi di petrolio e gas, i ruderi delle città.
Se ad una popolazione dai pane pace lavoro salute sicurezza,
automaticamente cacciano ogni tipo di avventuriero. Se i governi si
rendono conto che non cacci armi e ricambi, o ti sbattono fuori oppure
si piegano.
Poi è evidente che digitare un articolo è assai più semplice che stare
in Libia, però la buona volontà e il pacifismo non possono dimenticare
che certi metodi oggi vanno comunque adottati senza troppe remore.
Le guerre attuali vanno combattute senza clamore anche con dei micro
comandi che individuano ed estirpano (leggi: ammazzano senza troppe
gentilezze) i padroni della guerra. Sul terreno come coi droni. Questo
vuol dire essere un “grande paese” cioè uno ingrado di darti
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grado di darti la mano per strapparti dal gorgo ma anche la botta per farti affogare se lo tirare dentro.
Questo perché le fazioni in guerra –dappertutto non solo in Libia,
soprattutto l'ISIS- sanno benissimo che i popoli non vogliono vedere
morire la propria gente per gli altri.
Queste cose le vogliono solo dei governanti irresponsabili al
soldo dei produttori d'armi. Questi criminali vogliono vedere morire la
propria gente per gli altri. Queste cose le vogliono solo dei
governanti irresponsabili al soldo dei produttori d'armi. Questi
criminali stanno approfittando del nostro modello di convivenza che
ripudia la guerra e per ricattarci e per approfittarne. In questo
casino le popolazioni locali si dividono tra una minoranza che
partecipa del crimine: foreign fighters, trafficanti di ogni cosa,
ladri e criminali comuni e una maggioranza che appena può fuggealtrove.
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Questi
criminali sanno benissimo che l'Europa con quasi mezzo miliardo di
persone in piena crisi economica non vuole e non ha il coraggio di
sopportare 2-3 milioni di profughi. I terroristi sanno benissimo
approfittare delle debolezze dell'Europa e della sua ottusità
nell'immaginare risposte diverse da quelle che non siano “gli scarponi
sul terreno”.
Ecco perché in Libia ci dobbiamo andare: ma non coi soldati bensì coi
medici, ingegneri, insegnanti. MsF ce lo sta insegnando da mezzo secolo
ma non abbiamo appreso la lezione.
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