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Incontrandolo,
intervistando lo, leggendolo, non potevo sfuggire a una sorta di
rammarico. Proprio perché molto ne ammiravo l'intelligenza, la cultura,
lo stile, l'ironia, il savoir vivre, sentivo (e glielo dissi anche, una
volta, ricavandone un sorriso enigmatico), sentivo il dispiacere del
credente davanti a un uomo che ti parlava della sua «definitiva
apostasia» da ogni fede religiosa, a cominciare ovviamente da quella
cattolica. Un giovane che fu tra i dirigenti della Giac, la Gioventù di
Azione cattolica, che sino all'università si nutrì di credenti antichi
e moderni, un uomo da comunione quotidiana e da confessione settimanale
e che scelse san Tommaso per la sua tesi pensando alla fede da
difendere e non a una laurea da conquistare.
Ed ecco che invece dello straordinario apologeta del cattolicesimo,
dello scintillante polemista che i credenti avrebbero avuto in dono,
ecco che dall'ateneo torinese uscì l'Umberto liberal. Un Eco divenuto
sì apologeta, ma prima dell'agnosticismo e poi – come ammise – di un
relativismo ateo (nomina nuda tenemus), affermato con la consueta
leggerezza dall'apparenza svagata, ma in realtà non scalfibile. La
delusione, non mi ha impedito, per quanto mi riguarda, l'affetto
sincero e ora il dispiacere perché non avremo più battute come quella
che gli sentii dire nel nostro primo incontro : «Se Pascal abitasse nel
mio condominio ci saluteremmo con educazione ma non ci frequenteremmo proprio
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Se,
invece, sul mio pianerottolo ci fosse Tommaso d'Aquino, alla sera
giocheremmo a briscola, ma finiremmo per litigare e andare per
avvocati. E magari mi denuncerebbe alla Digos per sospetto di
terrorismo».
Per una mia Inchiesta sul cristianesimo (il titolo del libro che uscì
da molti dialoghi, soprattutto con ex credenti, per capire le loro
ragioni) passammo insieme un pomeriggio milanese di cui approfittai non
per parlare genericamente di cultura, ma di fede, di vita, di morte. A
lui che conduceva il discorso verso la filosofia, replicai di lasciare
le schermaglie verbali e di venire al concreto. La scommessa per Dio o
contro Dio nasce più dal vissuto esistenziale che dall' argomentare
teorico. Per quali motivi (ammesso che sia in grado di decifrarli) uno
che abbracciava il Vangelo — e con tanto fervore — come il giovane Eco,
decide di ritirare la sua speranza nel Cristo? Mi parve, con tutto il
rispetto, che gli argomenti della sua risposta non sfuggissero al
sospetto di essere stati elaboratipost factum, per razionalizzare un
ripudio venuto dal cuore e dalla vita più che dalla ragione. Glielo
dissi. Fu pronto a replicare, con sincerità: «Le concedo volentieri
che, qui, qualunque “prova” o ragionamento serve solo a convincerci di
ciò di cui già siamo convinti. È vero: l'aspetto razionale non basta a
spiegare la mia storia. Ma non basta neppure quello biografico.
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Altri
che hanno avuto vicende simili alla mia sono rimasti credenti. Mi è
parso che la perdita della fede sia stata come l'interruzione di un
circuito elettrico. Le cause vere, profonde? E chi può dirlo?».
Parlammo della morte: un dramma che, mi disse, viveva nella carne, da
quando suo padre morì in modo inaspettato. «Sono passati tanti anni da
allora, ma ci penso ogni giorno. Io non cerco, alla Freud, di
vendicarmi di mio padre, ma di vendicarlo. Anche da qui il mio darmi da
fare sul piano professionale. Io, un collezionista di onori, come
qualcuno dice? No, uno che vuol dare al suo genitore le soddisfazioni
che sperava di avere da suo figlio e che non ha avuto». Eco, gli
chiesi, dov'è suo padre? Dove sono tutti i morti? Dove saremo noi pure?
Rispose: «Al di là di quelle porte di bronzo c'è il caos, il buio.
Credo che potremmo giungere a patti ragionevoli.
Oppure c'è il Nulla o un deserto piatto e desolato, senza fine». La
morte, gli ricordai, è la scommessa per eccellenza, aperta a molti
esiti possibili. E se avessero ragione coloro che dicono che sarà Gesù
il Cristo a venirci incontro ? Non sembrò esitare, come chi ci ha più
volte pensato: «Senta, se per caso quel Nazareno c'è davvero e vuole
imbastirmi un processo, gli dico più o meno le cose che sto dicendo a
lei: ho ragionato così e così e sono giunto alla conclusione che non
eri tu ad aspettarci.
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Se
invece è il Dio crudele e vendicativo di certe sette protestanti,
allora meglio non avere a che fare con lui. Mi mandi pure all'inferno,
dove almeno c'è gente per bene». Una pausa e poi: «Ma guardi che sono
convinto che se davvero un Dio ci fosse, sarebbe quello di quel san
Tommaso con il quale in vita avrei litigato, ma che era un uomo col
quale, malgrado tutto, sulle cose che contano si poteva ragionare».
Ora, pure Umberto Eco «sa». E al rispetto che da parte di ognuno merita
una vita tanto operosa, i credenti, con discrezione pari alla
convinzione, aggiungeranno una preghiera davanti a una bara per la
quale — con coerenza, senza ipocrisie — non si è voluto una presenza
religiosa.
Vittorio Messori
21 febbraio 2016 |
Il Corriere della Sera.
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della sanità Fabio Rizzi, ha messo le mani in dieci anni su quasi tutti
gli appalti lombardi del settore per un valore di 500 milioni di euro.
L'a1tra differenza è che dopo la Baggina Baggina Craxi fu ricperto di
monetine da gente infuriata all'uscita dal sua hotel. Oggi nessuno
ha più voglia dl
tirare alcunché, tutti sembrano anestetizzati dai nostri scandali
quotidiani. Ciò che consente al presidente della Lombardia Roberto
Ernesto Maroni, detto Bobo, di proclamare “Avanti tutta", cioé che intende rimanere incollato alla sedia e che la mozione di sfiducia del PD gli la un baffo “Ben venga - ha demo - rafforzerà la maggioranza”.
Maroni, oltre che
governatore da tre anni, e assessore ad interim della Sanità, dopo
l'arresto nell'ottobre di Mario Mantovani, titolare di undici strutture
mediche per circa 850 posti letto e undici centri diurni per disabili,
tutti accreditati con la regione. Si calcola che negli anni l'uomo che i magistrati giudicano dotato di una
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“spiccata capacità criminale" abbia riscosso un centinaio di milioni dalla sua
attività privata.
Quando Maroni prese
l'interim confermò che la riforma della sanità era il punto
qualificante della sua giunta, che doveva far dimenticare i nefasti 18
anni fornigoniani. Naturale, visto che la sanità assorbe l7 miliardi di
euro all'anno, il 75% del bilancio. Se -come dice - su Rizzi avrebbe
messotutte e due le mani sul fuoco dandogli piena fiducia, che cosa ha fatto
lui finora nel doppio ruolo di presidente e di assessore, invece di
vigilare almeno sulla sanità ?
Bobo è un uomo timido, ma non basta a giustificare le nefandezze
lombarde dell'ultimo triennio, cerchio magico o non cerchio magico.
Sarà semmai, some diceva qualcuno, che l'acquisto della potenza si paga
a caro prezzo perché la potenza istupidisce.
Ma anche uno stupido può capire che la poltrona di Maroni non é affatto blindata di ferro.
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Tra
pochi giorni, il 3 marzo prossimo, si apre il processo che lo vede
imputato per “turbata libertà nel procedimento di scelta del
contraente" e “induzione indebita", per l'accusa di aver fatto
pressioni per favorire due sue ex collaboratrici, Mara Carlucico e
Maria Grazia Paturzo, soltanto uno dei casi clientelari gestiti
dall'agenzia di collocamento Bobo aperta in dal primo giorno in regione.
Il governatore ha scelto il giudizio immediato perché "via il dente,
via il dolore”. Ma in caso di condanna il problema non sarà
odontoiatrico,
sarà ortopedico perché cadrebbe dall'alto scranno lui con la giunta in
base alla legge Severino. Visto che l'ex vicepresidente Mantovani non
può sostituirlo per le note ragioni, tutti a casa e nuove elezioni.
a_statera@repubblica.com
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Dalla
tazza del gabinetto di Mario Chiesa alla Baggina fino al congelatore a
casa di Fabio Rizzi quasi un quarto di secolo è trascorso. Ma il
problema di imboscare le stecche fresche fresche di giornata rimane
irrisolto. Meglio il cesso, dove il cash rischi di perderlo, o il conge-
latore, dove anche il più imbranato dei poliziotti va subito a guardare? A parte le tecniche spicciole di occultamento, in questi 30
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anni
poco é cambiato, se non il perfezionamento del sistema misto fatto di
stecche in contanti e utilità varie e per l'ammontare del maltolto, che
prima si calcolava in milioni di lire adesso in milioni di euro.
Il sistema d'affari
costituito da 35 imprese del solo settore odontotecnico con azionisti
schermati che ha portato in carcere il consigliere regionale e
responsabile della riforma
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Ankara
e Mosca stanno usando i flussi migratori causati dalla guerra in Siria
per ricattare e mettere sotto pressione l'Unione Europea. 'Recep
Tayyip Erdoğangioca al rialzo e chiede non più tre miliardi, come da
accordi, ma sei miliardi a biennio allUnione per gestire il flusso
migratorio: ovvero per fermare i siriani che fuggono dalla guerra. La
Russia, poche ore dopo aver siglato i fragilissimi e già decaduti
accordi di Monaco, precisava che non fermerà i raid contro le fazioni
ostili al regime di Bashar Al Assad, continuando a bombardare Aleppo e
ad alimentare i movimenti di profughi diretti verso l'Europa. E
Bruxelles cosa fa? “Molte chiacchiere ma pochi fatti – commenta
Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell'Alta Scuola di Economia e
Relazioni Internazionali all'Università Cattolica di Milano – non sanno
che pesci prendere. Leader come Angela Merkel sono alla disperata
ricerca di un inutile accordo con la Turchia per togliersi il peso
della promessa di accogliere tutti i siriani”.
Migranti come merce di scambio: la Turchia chiede miliardi per fermarli
“In passato abbiamo fermato le persone alle porte dell'Europa – ha
dichiarato Erdogan durante i colloqui tra Ankara e Bruxelles conclusi a
fine novembre, dichiarazioni rese note l'11 febbraio – possiamo però
aprire le porte verso Grecia e Bulgaria in qualsiasi momento e mettere
i rifugiati sugli autobus”.
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Tradotto:
se non troviamo un accordo che rispetti le nostre esigenze, il flusso
di migranti continuerà. “La Turchia chiede soldi – continua Parsi –
Bruxelles le ha già accordato 3,2 miliardi, ma non è detto che poi
Ankara rispetti gli accordi. Il Paese vede ogni giorno aumentare il
numero di rifugiati, senza leggi, strutture e un'organizzazione
adeguate. Ma sfortunatamente questo è considerato un problema
secondario e non saranno tre o sei miliardi in due anni a cambiare la
situazione”.
Raid su Aleppo per aumentare il flusso: Mosca punta alla riduzione delle sanzioni
A rafforzare il ruolo di Ankara è anche la strategia russa in Siria. I
continui raid dell'aviazione di Vladmir Putin sulle città del Nord, in
particolare su Aleppo, così, fanno crescere il numero di cittadini
siriani in fuga dal Paese e diretti verso l'Europa. “Ѐ dalla Russia che
parte tutto il meccanismo – continua il professore – Mosca utilizza
questa situazione per raggiungere due obiettivi: lo stop o la
ridiscussione delle sanzioni sull'Ucraina e il consolidamento della sua
influenza nell'area con Assad al potere”. Così, la Russia sembra la
potenza meglio posizionata nello scacchiere siriano: “L'unica strategia
che ha ottenuto dei risultati è quella di Putin – dice Parsi – che è
riuscito ad assumere un ruolo centrale nella crisi.
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Se
poi, dopo l'importante accordo sulla produzione di petrolio con
l'Arabia Saudita, il Cremlino riuscisse a ottenere anche l'ok
dell'Iran, allora si troverebbe in una posizione veramente vantaggiosa”.
Europa divisa e troppo debole per negoziare
E l'Ue? Ha dimostrato di non saper reagire in maniera efficace, a causa
della scarsa unione di intenti tra i diversi Paesi che la compongono.
“Non siamo riusciti a gestire la questione come un'unione di Stati –
continua Parsi – ma abbiamo ceduto agli interessi dei singoli Paesi che
compongono l'Ue. Si devono recuperare e attuare gli accordi sul
ricollocamento (sono state redistribuite solo poche centinaia di
richiedenti asilo sui 40 mila promessi per il biennio 2015-2017, ndr),
creare leggi comuni, ministeri comuni, iniziare a reinterpretare i
trattati con uno sguardo paneuropeo. Insomma, un salto di qualità che
ci faccia allargare lo sguardo rispetto al nostro orticello”.
Operazioni di terra e “rischio di un allargamento del conflitto”
Nell'arco di 24 ore, quelle trascorse tra l'annuncio dell'accordo e la
Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera, si è passati dalla
prospettiva di una soluzione al conflitto a un clima da nuova Guerra
Fredda. “Ѐ veramente incredibile che politici, diplomatici e media
abbiano
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assistito
a una stretta di mano tra coloro che nel conflitto non sono impegnati
direttamente, con ribelli, russi e governo siriano che, invece, non
hanno alcuna intenzione di mettere fine agli scontri. Poi vediamo il
ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, e il Segretario di Stato Usa,
John Kerry, esultare perché lo Stato Islamico ha perso il 40% de
territori. Perché non guardano chi se li è presi? Adesso sono in mano
ad Assad e, viste le sue posizioni, questo allunga ulteriormente i
tempi per arrivare alla pace”.
Quello siriano diventa così il “fallimento” della strategia diplomatica
della coalizione occidentale. Ma 'lintervento di terra ipotizzato da
Arabia Saudita e Turchia, e ormai non più escluso nemmeno dagli Stati
Uniti, non sono la soluzione: “Spero veramente che alla Casa Bianca non
si siano bevuti il cervello – conclude Parsi – decidendo di appoggiare
un'eventuale azione militare di sauditi e turchi, corresponsabili
dell'ascesa di Isis. Un intervento Usa tirerebbe dentro anche Iran e,
successivamente,Israele, con un rischio altissimo di allargamento del
conflitto. Ma anche il solo intervento turco è pericoloso: immaginatevi
se la Russia o il governo siriano rispondessero all'azione militare di
Ankara. Immaginate le difficoltà nelle quali, a quel punto, si
troverebbe la Nato”.
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