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Cervelli
in fuga, rientri dei cervelli, successi dei ricercatori italiani
all'estero. Su questo fronte si scontrano due opposte retoriche, le
geremiadi sull'Italia matrigna che costringe all'emigrazione i migliori
e l'esultanza sul talento italiano che trionfa nel mondo. C'è del vero
in entrambe, ma una più quieta analisi rivela altri elementi. Il tasso
di emigrazione (a prescindere dal grado di istruzione) è raddoppiato
negli ultimi cinque anni, e intanto l'attrattività dell'Italia è
drammaticamente calata. Nel 2014 il saldo migratorio con l'estero
nell'età più produttiva registra una perdita di 45.000 residenti, dei
quali 12.000 laureati, che hanno trovato impiego in Europa, ma anche in
America e in Brasile. Dati preoccupanti, che accrescono l'età media di
un Paese già tra i più vecchi del mondo (157,7 ultra-65 per 100 minori
di 15 anni). Ma l'emigrazione di chi fa ricerca ha risvolti economici e
produttivi, non solo demografici. Prima di tutto, perché dalla ricerca
(anche da quella “pura”, le cui applicazioni vengono dopo anni) nasce
l'innovazione, che a sua volta genera produttività e occupazione. E poi
perché gli anni di formazione, dalle elementari ai dottorati, hanno per
il Paese un costo pro capite altissimo, ed è dissennato e antieconomico
“regalare” ad altri un ricercatore di prima qualità dopo averlo
allevato a caro prezzo.
C'è qui un equivoco da dissipare: da sempre chi fa ricerca si muove da
un Paese all'altro, anzi l'esistenza di clerici vagantes è un requisito
della libertà intellettuale. Niente di male se un biologo o un
archeologo italiano va a lavorare in Svizzera o in Canada.
A meno che questo flusso non sia unidirezionale, cioè in netta perdita. È
quel che accade in Italia, dove il saldo negativo è intorno a 10 a 1
(uno straniero che fa ricerca in Italia per ogni 10 italiani
all'estero). Ma il trend comincia già negli anni universitari, dove
l'Italia è sempre meno attrattiva per gli studenti di altri Paesi: nel
2014 quasi 50.000 italiani sono andati a studiare all'estero, solo
16.000 stranieri sono venuti in Italia (contro i 68.000 che sono andati in
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Germania o i 46.000 della Francia). Secondo l'Ocse, che ha diffuso
questi dati, lo squilibrio è dovuto ai bassi salari e alla difficoltà
di trovar lavoro in Italia, dove «nel 2014 solo il 65% dei laureati fra
25 e 34 anni hanno trovato impiego, ed è questo il livello più basso d'Europa (media 82 %)»
Un indice significativo è offerto dai
finanziamenti Erc (European Research Council) per i giovani (entro 12
anni dal dottorato): fino a 2 milioni per ogni progetto, che il
vincitore può spendere dove crede, scegliendo una host institution in
uno dei Paesi Ue. Colpisce, guardando le statistiche 2015 (oltre un
miliardo di euro di fondi distribuiti), il contrasto fra due dati: da
un lato, l'Italia è al secondo posto dopo la Germania, con 61 progetti
vincenti. Dall'altro lato, il numero degli italiani che portano in
altro Paese la propria “dote” è il più alto d'Europa: 31 su 61, il 50%.
Niente di male se un italiano preferisce un laboratorio inglese; ma nel
Regno Unito, se i vincitori sono 54 (meno degli italiani), a scegliervi
la host institution sono ben 115, con un saldo nettamente positivo (+
61).
Lo stesso vale per Germania, Francia, Olanda, e così via: l'Italia é il
fanalino di coda (é stata scelta da due soli stranieri,
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un portoghese e
una romena), con forte saldo negativo (- 30). Perché? La verità è che
ricercatori di alto livello e studenti alle prime armi tendono a
diffidare dell'Italia per le stesse ragioni, carenza delle strutture e
incertezza delle prospettive; per non dire degli stipendi universitari,
congelati da anni e non competitivi.
Davanti a questi dati, chi vuole o l'insulto o l'applauso è in
difficoltà. Bisogna esser contenti di quanto siamo bravi, o scontenti
perché spendiamo la nostra intelligenza altrove? Ma la maggiore urgenza
è fare un passo indietro, e domandarci: se i nostri studiosi hanno
tanto successo nel mondo, non sarà prima di tutto perché la nostra
vituperata scuola, a partire dal liceo classico di cui improvvisati
censori reclamano la morte, è molto ma molto migliore di quel che
amiamo credere, e abitua al pensiero creativo assai più di altri
sistemi educativi? E perché allora sottometterla al ripetuto
elettroshock di riforme ricche di codicilli ma prive di indirizzo
culturale? Seconda domanda: i ricercatori italiani tanto ricercati a
Harvard, a Berlino, a Oxford, a Parigi sono stati formati nelle
università italiane, che da Tremonti in qua vengono considerate (e a volte sono) la
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sentina di ogni vizio. Ma non avranno anche qualche virtù, se producono fior di studiosi ricercati dappertutto?
La scuola, l'università, la ricerca sono prove di futuro. A giudicare
dai risultati le nostre istituzioni, nonostante la disgregazione di
questi anni, hanno sfornato ottimi studiosi. Sapranno farlo ancora dopo
il dissanguamento di risorse umane e di finanziamenti? Come ha notato
l'Ocse, «l'Italia spende nell'educazione terziaria lo 0,9% del Pil, al
penultimo posto fra i Paesi Ocse, con un livello simile a Brasile e
Indonesia, mentre Paesi come il Canada, il Cile, la Danimarca, la
Corea, la Finlandia e gli Stati Uniti spendono nel settore oltre il 2%
del Pil». Micidiali nubi si addensano sul futuro: i Prin (“progetti di
ricerca di interesse nazionale”) sono stati finanziati nell'ultimo
bando (dicembre 2015) con la ridicola cifra di 91 milioni per tutta
Italia, per tutte le discipline (in Germania la sola
Exzellenzinitiative comporta fondi di ricerca per tre miliardi in
cinque anni).
Perdura il quasi-blocco delle assunzioni, che condanna a una perpetua
anticamera migliaia di docenti abilitati a cattedre di prima e seconda
fascia. La scuola pubblica viene definanziata in favore della scuola
privata, e riforma dopo riforma perde la natura di teatro della
conoscenza e della creatività e si fa addestramento a frammentarie
“competenze” di obbedienti esecutori. Perciò a ogni affermazione di
ricercatori italiani all'estero dovremmo pensare: oggi campiamo di
rendita, consolandoci coi successi di chi è stato formato da una scuola
e da un'università che, intanto, stiamo distruggendo. Ma domani? I
giovani migliori (se abbienti) dovranno formarsi all'estero, perché la
nostra scuola si immiserisce in microriforme senz'anima e le nostre
università mancano di docenti, laboratori, biblioteche? Gli italiani
che emigravano cent'anni fa erano padri, e mandavano le rimesse in
patria per il futuro dei figli. I nuovi emigranti sono per lo più
figli: quel che stiamo perdendo non sono solo le loro rimesse, ma la
ricchezza che essi stessi rappresentano.
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Piero Ignazi, La Repubblica 20 febbraio 2016
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Il massimalismo dei grillini
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IL
M5S ha perso una buona occasione. Poteva intestarsi il merito di aver
sbloccato l'iter della legge sulle unioni civili, incagliata per
l'opposizione dei cattodem del Partito democratico. Era chiaro a tutti
che il Pd non era in grado di superare l'ostacolo. Benché il partito
avesse deciso all'unanimità di votare questa legge così come era stata
proposta dalla relatrice Cirinnà, una quota consistente di suoi
parlamentari si era poi dichiarata contraria ad alcuni provvedimenti.
In realtà l'ostilità cade sull'idea stessa di unioni civili per persone
dello stesso sesso, perché questo è l'orientamento di gran parte del
mondo cattolico e delle gerarchie, al di là delle esternazioni
estemporanee del
Pontefice ("chi sono io per giudicare?").
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di
mantenere ancorata al partito quella componente moderata che lo ha
sostenuto alle ultime elezioni. Ovvio che un partito che raccoglie un
quarto dell'elettorato, e che non è ideologicamente connotato, prenda
voti da tutte le parti. Già all'indomani delle elezioni del 2013 Ilvo
Diamanti aveva sottolineato come il M5S fosse il primo partito
“nazionale” della nostra storia politica, perché distribuito
uniformemente su tutta Italia con pochissime variazioni da zona a zona,
e sostenuto, altrettanto uniformemente, da tutto l'arco destra-
sinistra. Ma nel blog, nei documenti e nel dibattito interno dei
5Stelle, le questioni etiche sono tutte riassunte nella morale
pubblica, mentre sono assenti temi di carattere religioso o
confessionale.
È poco plausibile pensare
ad una strategia di ammiccamento ai cattolici così come, a maggior
ragione, ritenere che la Chiesa si affidi ad un movimento ribellistico
e poco praticante come quello grillino. Molto più semplicemente, ancora
una volta, Beppe Grillo, di fronte ad una possibile svolta verso la
normalizzazione (e maturazione) del partito, è intervenuto per
mantenere vivo il connotato di alterità al sistema, corrotto, dei
partiti. Il fondatore ha imposto una logica “massimalista” e
movimentista per mantenere una purezza assoluta. Una politica della
convinzione vuota e senza prospettive.
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Il Family day non nasce dal nulla. Una manifestazione
così imponente necessita di strutture di supporto che solo la chiesa
può fornire. Poi, come ricordava Alberto Melloni su questo giornale, la
prudenza e la politica vaticana hanno avuto la meglio sulle nostalgie
interventiste di stampo ruiniano. Ma le difficoltà del partito
democratico non vengono dal pressing vaticano, bensì delle sue
contraddizioni politico- culturali che la leadership di Renzi ha acuito
in una direzione imprevista. È infatti paradossale che il Pd, guidato
per la prima volta da un politico di origine e filiera
cattolico-democratica, sia aggredito proprio da questa componente.
Forse il paradosso si scioglie se si ricorda l'insolito livello di laicità di Matteo
Renzi, ben più lontano dall'Oltretevere e
ben più attento a tener separate fede e
politica di tanti leader laici.
Comunque, il passaggio della legge era
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così impervio che per sormontarlo il Pd ha dovuto pietire palesemente i voti dei 5Stelle.
Per i grillini una soddisfazione non da poco. Finalmente veniva
riconosciuto un loro ruolo costruttivo ed essenziale per approvare un
provvedimento importante, quasi un simbolo dei diritti ancora negati,
sul quale, tra l'altro, si era concentrata l'attenzione dell'opinione
pubblica. E invece, con una tipica mossa da politici consumati, i
grillini hanno optato per uno sgambetto procedurale negando i propri
voti al cosidetto "cangura", cioè l'emendamento taglia- emendamenti. In
questo modo il M5S ha perso una occasione d'oro per accreditarsi come
una credibile forza di governo, pur alternativa nello stile e nei modi, oltre
che nei contenuti. Si è contentato di fare
lo sgambetto al PD mettendo così a
rischio l'approvazione della legge Cirinnà. certo, si vedrà in aula chi voterà
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a favore e chi
contro, come sostengono i grillini per giustificare la loro mossa. Ma
questo richiamo, formalmente corretto, in realtà non vale nulla. In
primo luogo, perché molte votazioni saranno a scrutinio segreto e
quindi l'attribuzione delle responsabilità sarà semplice come azzeccare
un terno al lotto; e in secondo luogo, perché la responsabilità
di un fallimento cadrà
inevitabilmente su chi non ha voluto togliere di mezzo migliaia di
emendamenti. Alla fine, se involontariamente o machiavellicamente
la
legge sarà affossata la colpa sarà attribuita ai pentastellati, non al
Pd. Così(dis)facendo il M5S ha sfregiato la sua immagine di estraneità
alle furbizie e ai giochetti parlamentari e mandato alle ortiche quella
di forza politica responsabile e attenta ai diritti civili.
La ratio di questo comportamento,
seconod alcuni, starebbe nel desiderio
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A proposito di esternalizzazioni e dintorni.
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Ecco cosa succede in 1190 comuni italiani
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Mapello uno dell'ultima mezza dozzina in bergamasca
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Leggendo
l'albo pretorio on line del Comune di Mapello nello scorso mese di
novembre ci siamo imbattuti nella delibera di consiglio n.36 del 20
ottobre 2015 nella quale veniva deliberata l'adesione del comune al
Consorzio Cev di Verona, diretto dall'imprenditore veronese Gaetano
Zoccatelli. La lettura di CEV-Verona mi ha fatto scattare un allarme
dal momento che ricordavo di avere letto su qualche quotidiano delle
notizie non proprio brillanti in merito e quindi mi sono riproposto di
prestare attenzione a recuperare altre notizie in merito. A suo tempo
avevo rintracciato queste notizie in rete:
http://www.consorziocev.it/word/ dove veniva pubblicizzata l'adesione
di ben 1190 enti pubblici per la prestazione di importanti forniture e
servizi agli stessi. Ci dovrebbero stare anche una dozzina di comuni
bergamaschi.
Che sono arrivate con la pubblicazione il 15 ottobre 2015 della
“sospensione, con effetto immediato, del Consorzio CEV dall'iscrizione
nell'elenco dei Soggetti Aggregatori di cui alla Delibera ANAC n. 58
fino a conclusione della procedura di verifica dei presupposti per
l'adozione di una possibile azione in via di autotutela per la
rivalutazione dell'iscrizione del Consorzio nel suddetto elenco” da
parte dell'Autorità Nazionale Anticorruzione.
Massima allerta 8anche per sola curiosità per vedere come andava a
finire) quindi davanti a questo fatto ed ecco gli sviluppi.
Dall'Autorità Anticorruzione alle indagini della GdF il passo è stato
breve e il 27 gennaio 2016 si legge su Il Fatto Quotidiano (ma tutti i
quotidiani ne hanno dato larga notizia):
“Appalti truccati per 1,3 miliardi di euro nelle forniture di gas ed elettricità agli enti pubblici.
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Una
“perfetta identità” tra il Consorzio Energia Veneto, che agiva come
stazione appaltante nelle gare per la fornitura di energia a più di
1000 comuni veneti, e le imprese che vincevano gli appalti. La Guardia
di finanza diVerona, coordinata dal pm Gennaro Ottaviano, ha eseguito 7
misure di custodia cautelare nei confronti di imprenditori e
professionisti veronesi accusati a vario titolo di associazione a
delinquere finalizzata alla turbativa d'asta e falso ideologico in atti
pubblici. Al centro dell'indagine il consorzio Cev di Verona, diretto
dall'imprenditore veronese Gaetano Zoccatelli, soggetto aggregatore cui
sono consorziati numerosi enti pubblici veneti e che agisce come player
sul mercato che dovrebbe recuperare energia e gas a prezzo vantaggioso
per i piccoli comuni e per altri enti pubblici e privati. Secondo le
accuse, il Cev sarebbe stato una “scatola vuota” senza una struttura
propria, senza personale, senza nemmeno un numero di telefono e avrebbe
coinciso quasi “perfettamente” con il gruppo imprenditoriale facente
capo a Zoccatelli, risultato vincitore delle gare. Nel dettaglio, le
indagini riguardano due gare per la fornitura di energia elettrica del
valore di 600 milioni l'una, e una gara per la fornitura di gas del
valore di 100 milioni.
Agli arresti domiciliari
sono finiti l'imprenditore Gaetano Zoccatelli, direttore del Cev e
presidente allo stesso tempo delle societàVittoria Srl, E-Global
Service e Global Power; Luciano Zerbaro, vicepresidente e consigliere
del Cev e sindaco della E-Global Service; Marco Libanora,
commercialista veronese, gli avvocati veronesi Francesco Monici e
Alessio Righetti.
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Obbligo
di dimora per l'udinese Flavio Bertoldi, consigliere del Cev e
commissario, al contempo, in due gare d'appalto; il veronese Luca
Riboli commissario in tre gare d'appalto che percepiva
contemporaneamente un reddito dalla Global Power. L'indagine, fa sapere
la Guardia di finanza, è ancora in pieno svolgimento, 11 persone sono
state denunciate e sono in corso 15 perquisizioniin Veneto, Lombardia e
Friuli Venezia Giulia. L'inchiesta, cui ha contribuito anche il nucleo
speciale Spesa pubblica e repressione frodi comunitarie delle Fiamme
gialle, comandato dal generaleBruno Bartoloni, è stata portata avanti
grazie alle intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, e
l'analisi dei documenti sequestrati presso la sede del consorzio
veronese.
L'associazione a
delinquere, secondo quanto ricostruito nell'ordinanza di custodia
cautelare firmata dal Gip di Verona,Giuliana Franciosi, si articolava
su quattro livelli: un livello di vertice, riconducibile
all'imprenditore Zoccatelli, un secondo livello occupato da soggetti
con un ruolo di gestori all'interno del consorzio e delle società, un
terzo livello formato da coloro che soggetti che predispongono e
organizzano le gare, un quarto livello di persone che che agevolavano e
supportavano l'alterazione della gare. La Global Power, azienda che di
fatto vinceva gli appalti, era controllata all'80% dalla E-Global
Service, entrambe riconducibili a Gaetano Zoccatelli. L'associazione si
appoggiava a commercialisti e avvocati, in particolare allo studio
legale veronese M&R dei legali Monici e Righetti, che avrebbe
predisposto le gare.
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Nel
2015 l'Anac presieduta da Raffaele Cantone aveva scoperto l'identità
tra la governance del consorzio e quella delle aziende private che si
aggiudicavano gli appalti, e aveva stabilito un'esclusione con riserva
del Cev, mandando una segnalazione al Nucleo speciale anticorruzione
della Guardia di finanza. “Di solito indaghiamo sulle aziende che si
aggiudicano gli appalti – ha spiegato il generale della Gdf Bartoloni –
questa volta siamo andati a vedere come lavorano le stazioni
appaltanti”. Il guadagno illecito garantito dall'operazione, stimano
gli investigatori, era pari a circa 7 milioni di euro.
A gennaio 2016 in un incontro casuale con tre assessori del Comune di
Mapello domando se tale delibera sia stata sospesa almeno fino alla
fine del procedimento e nella chiacchierata un assessore comunica che
l'adesione era in vigore, che semmai sarebbe stata sospesa in
caso di inadempienza da parte del CEV e che “c'erano state due gare
d'appalto tramite il portale nazionale andate a vuoto per le forniture
energetiche al comune”.
Del tutto casualmente – ci disse l'assessore al territorio- dopo due
gare andate a vuoto si presenta il CEV a proporre l'adesione a questo
consorzio di enti locali che consorzio non é.
Un bravo cittadino, dopo due “buchi nell'acqua” abbastanza sospetti
(Mapello è un comune in ottime condizioni economiche e quindi ben
appetibile per qualunque fornitore…) avrebbe spalancato quattro
orecchie e otto occhi dinanzi a tale apparizione, ma questo non è
accaduto a Mapello.
Intanto che nel Comune di Curno si parla di outsourcing della
manutenzione dei beni comunali, altrove sono ben più avanti. E si sono
aperte anche le porte delle patrie galere.
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Tutte le immagini provengono da internet. Alcune sono state da noi rielaborate.
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