16 febbraio 2016









Riflessioni verso un primo marzo di mobilitazioni europee. Lo spazio europeo rischia di essere ridefinito in senso regressivo da retoriche razziste ed escludenti. Ribaltiamo il piano. Non arrendiamoci al presente.
Intorno alle politiche migratorie dei paesi europei si stanno determinando delle accelerazioni foriere di conseguenze nefaste. Per tutti. Quella che viene definita nel discorso mediatico “crisi dei rifugiati”, infatti, sta contribuendo a ridefinire in senso regressivo lo spazio europeo e i territori che lo circondano. E le responsabilità non sono certo dei rifugiati.
Da un punto di vista geopolitico, la rotta migratoria orientale ha conferito un'enorme importanza strategica alla Turchia di Erdogan. L'Unione Europea sembra impotente di fronte al ricatto del presidente turco. La strategia, a trazione tedesca, di puntare tutto sull'accordo per trasformare il paese nel tappo che dovrebbe impedire ai rifugiati di proseguire il viaggio verso l'Europa del Nord ha accresciuto esponenzialmente il potere negoziale di Erdogan. Che è passato all'incasso.
All'interno del paese conduce da oltre due mesi un'offensiva militare contro la popolazione curda. Più che di guerra bisogna parlare di pulizia etnica e di strage continua, perché in guerra ci sono due eserciti che si affrontano. Qui c'è il secondo esercito della NATO che attacca una popolazione civile con l'artiglieria pesante, bombardando case, imponendo coprifuoco a città intere per lunghe settimane, uccidendo ogni giorno bambini, donne, anziani e uomini, costringendo migliaia di persone a lasciare la propria casa e la propria terra. E tutto questo avviene in diretta, con le foto dei morti che circolano in tempo reale su twitter, e in un paese che fa parte del Consiglio d'Europa, che vorrebbe entrare nell'Unione, che dovrebbe essere vincolato al rispetto dei diritti umani dai trattati internazionali che ha firmato. E invece niente. I governi europei rimangono in silenzio davanti ai crimini contro l'umanità dell'alleato turco.
Situazione simile in Siria. Qui, dopo aver sostenuto e finanziato lo Stato Islamico, il governo turco si comporta in modo sempre più spregiudicato, contribuendo a minare qualsiasi possibilità di un effettivo processo di pace (comunque complicatissimo).


 Mentre continua a minacciare (o preparare?) un'invasione via terra, ha messo il veto sulla partecipazione dei curdi alle trattative di Ginevra. In altre parole: la componente politico-militare che ha respinto l'ISIS, l'unica che è riuscita a pacificare la parte del paese sotto il suo controllo, non è stata invitata al tavolo che dovrebbe discutere come uscire dal conflitto siriano perché Erdogan non lo ha voluto. Anche in questo caso nessuno dei governi europei ha opposto alcuna obiezione. Eppure, senza risolvere la crisi siriana è chiaro che nessun tappo potrà fermare la fuga di centinaia di migliaia di persone, costrette dalla guerra ad abbandonare tutto. La situazione, inoltre, sta rapidamente peggiorando a causa dei bombardamenti russi, soprattutto quelli sulla città di Aleppo, assediata dalle truppe del regime. Interi villaggi e quartieri si sono messi in marcia negli ultimi giorni per raggiungere la Turchia, che nel frattempo ha chiuso la frontiera. Del resto, è ovvio che anche Putin utilizza politicamente i flussi migratori e punta a farli crescere per destabilizzare ulteriormente lo stato dell'Unione. Infatti, per un verso l'opposizione a Merkel nella campagna elettorale tedesca si giocherà sul tema dell'accoglienza dei siriani, per un altro le forze dell'estrema destra, finanziate lautamente dal presidente russo nell'ottica di una disgregazione del progetto europeo, continuano a crescere speculando sui rifugiati.
E ci sono almeno altri due aspetti della questione che bisogna necessariamente considerare. Il primo è che le recenti decisioni di alcuni paesi europei e l'incapacità complessiva di affrontare il fenomeno delle migrazioni in un'ottica di medio-lungo periodo stanno affossando definitivamente il patto sociale su cui si reggeva l'Unione Europea. Mentre cinque anni di crisi e di misure neoliberali di austerity hanno distrutto i residui diritti sociali e lavorativi, adesso è la volta dei diritti civili e, perfino, di quelli proprietari. L'attacco riguarda insomma gli elementi basilari che hanno plasmato i sistemi politici e giuridici europei venuti fuori dalla seconda guerra mondiale.


Le persone che annegano nel Mediterraneo o quelle che muoiono congelate lungo la rotta balcanica senza incidere minimamente nel dibattito politico continentale, o tanto meno nel sentire comune, denunciano una mutazione sociale e culturale già avanzatissima. Le leggi che prescrivono la requisizione dei beni personali in base alla razza o al nome del paese inciso sul passaporto alludono a un passato che si affaccia dietro l'angolo. Quello che sta accadendo in questi mesi, e nello specifico dopo la grande ondata di solidarietà verso i siriani che ha attraversato e unito l'Europa e i territori circostanti durante la scorsa estate, sta producendo precedenti pericolosissimi in ambiti diversi. E sono nodi che verranno al pettine molto presto.
Per ultimo, non tutte le sparate dei leader europei si trasformano in leggi. Non tutte le dichiarazioni altisonanti si concretizzano in nuove norme. Tutte, però, nessuna esclusa, agiscono in maniera performativa sul piano simbolico. Fissando dei punti di non ritorno. Quando vengono annunciati treni per deportare decine di migliaia di persone in paesi che vivono situazioni di guerra significa che i fantasmi degli anni più bui del secolo scorso, che per lungo tempo hanno segnato il punto di limite del dibattito, sono svaniti. Con il rischio che tornino a permeare pratiche sociali, norme giuridiche, scelte politiche. Nelle ultime settimane, in Germania si sono moltiplicati gli attacchi neonazisti contro i rifugiati. Bombe nei centri di accoglienza, aggressioni, accoltellamenti sono diventati pane quotidiano per il paese che ha costruito il proprio ordinamento politico e culturale sul rifiuto del nazismo. E lo stesso avviene in altri paesi europei: sul tema dell'immigrazione si sono sdoganate numerose componenti neofasciste, con tutti gli effetti che questo comporta.
I flussi di rifugiati che cercano riparo in Europa dovrebbero imporre una trasformazione complessiva delle politiche di accoglienza e delle relazioni internazionali rispetto ai regimi che circondano il territorio europeo, nella direzione di garantire maggiori diritti e sostenere ovunque le forze che lottano per la democrazia.


Invece, ciò che accade è esattamente il contrario. Chi è così miope da pensare che simili azioni non producano effetti decisivi anche nello spazio europeo, dovrebbe iniziare a preoccuparsi seriamente di quello che forse costituisce il motivo ultimo del cammino verso l'unione mancata: la garanzia di uno spazio di pace. Elemento garantito fino ad oggi dell'Unione Unione, ma certamente non dato per sempre e a priori. Oggi la guerra circonda quello spazio da più lati, da sud a est. Muri di filo spinato frastagliano Schengen, l'area di libera circolazione. Forze politiche minacciose impongono un ordine del discorso che puzza già di morte e devastazione.
Di fronte a tutto questo, è quanto mai necessario rivendicare un'Europa senza confini, contro il progetto di confini senza Europache i governi sembrano perseguire. Il Primo marzo avranno luogo mobilitazioni su scala europea per rivendicare uno spazio libero di movimento, svincolato da frontiere, luoghi di contenimento, detenzione amministrativa e selezione. Animeremo le piazze di numerose città, nominando i luoghi dello sfruttamento e della precarizzazione del lavoro migrante e nativo, che producono forme gerarchizzate di cittadinanza e di accesso al già eroso welfare universale. Non cadiamo nella trappola delle retoriche emergenziali e securitarie, che, oltre a costruire politiche criminali lesive delle libertà individuali, ci vorrebbero chiusi in un fortino identitario costruito su narrazioni e pratiche razziste ed escludenti. Attraverseremo con determinazione questa data, perché il diritto a partire e restare, ad essere accolti degnamente e a scegliere la propria traiettoria di vita, sia un diritto di tutte e tutti.
Siamo consapevoli del fatto che qualsiasi data, seppur fortemente simbolica ed importante per il significato che evoca, è di per sé insufficiente. Tuttavia crediamo anche che ogni data, in questa fase, se attraversata da questi temi, assuma un'importanza enorme per non arrendersi al presente.
































Per capire cosa rappresenta quel corpo, dobbiamo tornare da dove è partito il viaggio che lo ha condotto alle porte della Roma storica. All'autunno del 1920. Il luogo è piazza dei Martiri, la piazza principale di San Giovanni Rotondo. Il paesino del Gargano, in provincia di Foggia, ancora non era diventato il parco tematico religioso che conosciamo. La data è il 14 ottobre. Siamo nel bel mezzo del «biennio rosso» in uno dei punti caldi del conflitto che ha seguito la fine della prima guerra mondiale.
Da una parte ci sono i contadini socialisti. Hanno più di un motivo di essere contenti: hanno appena vinto le elezioni amministrative e addirittura promettono, come fanno i loro compagni nel resto del paese, che isseranno la bandiera rossa al posto di quella tricolore, dal pennone che si affaccia sul municipio di San Giovanni. Ma il corteo dei rossi è attaccato da un altro corteo, composto dagli ex combattenti, che hanno già incassato il sostegno di liberali e cattolici. È il «blocco d'ordine» sostenuto dagli agrari. Un'alleanza che di lì a qualche anno costituirà la composizione sociale di riferimento del fascismo. La polizia spara da una parte sola, ça va sans dire: sulla manifestazione dei socialisti. Muoiono undici persone, altre venticinque rimangono a terra ferite. È l'episodio più sanguinoso della repressione al biennio rosso italiano.
Qualche giorno dopo, una giovane di nome Angela Serritelli va a chiamare l'ex combattente Giuseppe Caradonna, che si trova in paese per festeggiare la sconfitta dei socialisti. Il padre spirituale della donna si chiama Padre Pio, e

vuole incontrarlo. Caradonna accetta. Angela lo porta dal monaco francescano. Così avviene il primo incontro del ras del nascente fascismo foggiano incontra il frate con le stigmate di cui tutti parlano tanto. Padre Pio lo accoglie calorosamente e lo benedice con queste parole: «Dio ama i forti e li suscita quando è necessario». I due siglano il patto tra fascismo e monaci cappuccini sangiovannesi che durerà a lungo.
Padre Pio doveva in effetti disporre di doti profetiche: ancora ci mancava qualche anno all'abbraccio di papa Pio XI a Benito Mussolini come l'uomo della Provvidenza, ma lui si era portato avanti con il lavoro. L'episodio della benedizione di padre Pio al massacro di San Giovanni Rotondo è stato riesumato da Sergio Luzzatto nel saggio «'Padre Pio. Miracoli e politica nellItalia del Novecento» uscito nel 2009 per i tipi di Einaudi. «I santi contano per come appaiono, non per come sono», avverte Luzzatto. Per questo non servono rivelazioni scandalistiche su miracoli o piaghe: Luzzatto attinge soprattutto alle fonti degli archivi vaticani, molte delle quali per nulla benevole nei confronti di San Pio, per indagare le vicende molto terrene del frate di Pietrelcina. Attraverso le carte vaticane, Luzzatto ha composto un ritratto dell'Italia del secolo scorso, a cavallo tra l'antropologia e la storia sociale, le credenze popolari e la secolarizzazione. E indaga il complesso rapporto tra Stato e Chiesa, cioè il conflitto tra etica laica e morale religiosa e quello tra gerarchie ecclesiastiche e religiosità popolare

Padre Pio è l'alter Christus del cattolicesimo novecentesco: le stigmate sul suo corpo compaiono nel 1918, mentre la retorica della Grande Guerra accosta esplicitamente i soldati a Cristo e le trincee alla Via Crucis. La Prima Guerra Mondiale è la Passione, e i suoi apostoli in divisa ed elmetto vivono nella dimensione esistenziale della «vita morte». C'è di più. Il primo miracolo di Padre Pio, o almeno il primo che trova spazio sulle pagine della grande stampa, sarebbe avvenuto a beneficio di tale Antonio Colonnello, un «ragazzo del '99» che era rimasto ferito al piede da una scheggia di una granata. Guardare un uomo che non si sarebbe mai più spostato da un paesino della provincia pugliese, diventa per Luzzatto un modo per comprendere il clerico-fascismo del Ventennio: «Già prima del concordato – ricorda Luzzatto – i chierici si avvicinarono ai fascisti sul terreno dell'ideologia intorno a una varietà di obiettivi condivisi: la restaurazione dell'ordine sociale dopo i sommovimenti della Grande Guerra, la lotta senza quartiere contro il nemico 'rosso', la messa a punto di politiche demografiche fataliste». E l'avvicinamento rappresentato da padre Pio riguarda anche il terreno della liturgia: «campo impalpabile ma sensibile dei riti, dei simboli dei carismi».
E ritrovare Padre Pio negli anni cinquanta e sessanta, «santo ormai da rotocalco, divo con le stigmate, nuovo uomo della Provvidenza», significa, scrive sempre Luzzatto, «comprendere quanto sia rimasto in Italia del clerico-fascismo dopo la fine del fascismo».

Curiosamente, sarà proprio il sacerdote-scienziato Agostino Gemelli, futuro fondatore dell'Università Cattolica del Sacro cuore, e cioè dell'avamposto della formazione vaticana al servizio della missione storica fascista, a liquidare Padre Pio negli anni venti: «Chi ha pratica della medicina legale e soprattutto dell'infinità varietà di piaghe che, durante la guerra, hanno presentato i soldati autolesionisti, non può sottrarsi al giudizio che si tratti di piaghe dovute all'erosione mediante caustici – scrive Gemelli in una relazione alla Suprema Congregazione del Sant'Uffizio – Il Padre Pio presenta le note caratteristiche di una deficienza mentale di grado notevole con conseguente restringimento del campo di coscienza».
Nel 1957, Padre Pio celebra un decennio che lo trasforma definitivamente in un'icona pop. Dopo essersi impegnato assiduamente nelle elezioni del 1948, aver ricevuto Coppi e Bartali, aver fatto pace con le gerarchie vaticane, il monaco domanda e ottiene la dispensa dal voto francescano di povertà. Quella deroga gli occorre per gestire le ricchezze derivate dalla gestione della Casa del sollievo e della sofferenza, l'ospedale da lui fondato a San Giovanni Rotondo. Morirà nel 1968, mentre un'ondata di secolarizzazione investiva il mondo occidentale. Nello stesso anno le piaghe dal corpo del frate erano sparite. Ma i suoi superiori decisero di esporre il corpo con cui tutti lo riconoscevano: coi guanti e calzettoni, che usava per nascondere il sangue rappreso. Potenza del logo.















Alcuni sacerdoti bergamaschi recentemente sono stati agli onori della stampa locale e nazionale.
La prima notizia è quella della messa agli arresti domiciliari (e poi in una comunità) del prevosto di Solza per fatti di prostituzione minorile assieme ad una mezza dozzina di altre persone, che non paiono collegate esplicitamente tra di loro ma in quanto frequentatori dei medesimi giovani 15-17enni, esperti chattatori e esseemmisti che s'erano organizzati tramite badoo per guadagnarsi soldi dai “loro” clienti.
L' inchiesta coinvolge in tutto 12 persone, accusate di prostituzione minorile aggravata con adescamento di minori attraverso internet. C'è un prete, un vigile, un allenatore di calcio, un presentatore tv locale, un sieropositivo già noto per altra vicenda, un assicuratore, un impiegato noto nell'ambiente del volontariato paesano. Ed altri: persone di grande visibilità nelle rispettive comunità.
Di essi i giornali hanno  scritto i nominativi e i paesi in chiaro: è la prima volta che accade. Come è la prima volta che la Curia bergamasca fa un comunicato “prima” che la news compaia sulla stampa.
Non sappiamo se siano stati i giornali a dare volontariamente i nomi o sia stata la magistratura o i carabinieri a dare i nominativi. Quello che stupisce è che degli evasori fiscali, inquinatori, lavoro nero ed altre persone dal comportamento “poco  commendevole" non si viene mai a sapere il nominativo mentre stavolta  hanno fornito pure il numero di scarpe degli indagati.


La seconda news viene da Telgate, amministrata dal sindaco leghista Fabrizio Sala che ha sostituito gli originari cartelli all'ingresso del paese che ricordavano il gemellaggio con la cittadina slovena di Smartno pri Litiji con quelli “più identitari, legati alla nostra tradizione” dedicati al “Paese del Santo Crocifisso”. Che non è dato sapere chi fosse esattamente ma si  raffigura col simbolo della Santa Croce a cui i telgatesi sarebbero devotissimi, secondo una tradizione che, in base ad alcune ricerche storiche, affonderebbe le radici addirittura al 1400. La festa del Santo Crocifisso si celebra, con grande partecipazione di fedeli anche dai paesi vicini, il 3 maggio di ogni anno.
“E' stata una decisione pensata a lungo e concordata con don Alberto e don Mario, parroco e curato di Telgate – precisa il sindaco Sala – una quindicina di giorni fa abbiamo approvato la delibera, scegliendo di scrivere sui cartelli qualcosa che ci rappresentasse: è l'anno del Giubileo e qui c'è la chiesa giubilare.
La terza news –meno grave delle precedenti- viene anch'essa dall'Isola (territorio tra il Brembo, l'Adda e la Val San Martino).
Quattro sacerdoti di Ambivere, Mapello e Valtrighe hanno deciso di prendere la Quaresima molto sul serio e non soltanto sul piano personale: «In Quaresima noi sacerdoti abiteremo una tenda allestita sul sagrato della chiesa di Ambivere. Un po' di cibo. Acqua da bere. Un bagno per lavarci. Un materasso per dormire. È più di quanto molti esseri umani possono permettersi. Naturalmente non sarà facile.


Abituati ad avere più del necessario, il semplice necessario sembrerà insufficiente».
Dicono i preti che è fondamentale la presa di coscienza. E la coerenza. Hanno scritto nella loro lettera di spiegazioni: «Staremo in una tenda per dire che non siamo disposti ad accettare un sistema che procura benessere a noi provocando sofferenza a qualcun altro... con questo gesto vogliamo dire che riconosciamo le nostre responsabilità di fronte alla povertà del mondo. E che si può essere felici anche con meno».
Per un discorso di responsabilità, di presa di coscienza. Coscienza che «se Europa e Stati Uniti dovessero pagare equamente le risorse prelevate dal terzo mondo, i prezzi in casa nostra crescerebbero e dovremmo rinunciare a buona parte delle nostre abitudini consumistiche».
Ovviamente la news peggiore è stata quella della prostituzione minorile, con la messa ai domiciliari del prevosto della piccola comunità di Solza (2000 abitanti, paese dove sarebbe nato tale Bartolomeo Colleoni, dotato secondo l'iconografia ufficiale di ben tre testicoli) governato da una rude sindaco piddina. Il prete disponeva di un lussuoso suv Lexus nero coi vetri scuri da oltre 60mila euro e non disdegnava di utilizzarla per le sue battute di “caccia” sessuale, compreso nella veste di cacciatore e di preda.
Il bravuomo deve essere anche un disattento lettore del bugiardino curiale  perché qualche tempo fa, lo stesso (bugiardino) pubblicò a ripetizione ampi servizi sui luoghi di "battuage


omosessuale” attorno alla città, indicando proprio i luoghi  dove sarebbero avvenuti gli incontri coi minori. Che di minore pare abbiano solo l'età, la crapa e non l'intraprendenza.
I quattro minorenni che hanno avuto rapporti sessuali a pagamento stabilivano i contatti attraverso social e chat. Ma varda mo!?.
“La nostra intenzione era quella di guadagnare soldi con i gay”. Questa l'iniziale volontà del gruppo di ragazzini coinvolti. “La loro idea originaria – si legge nell'ordinanza di custodia cautelare – era quella di incontrare i soggetti, di chiedere il pagamento anticipato della prestazione sessuale per poi scappare. Se il cliente non accettava la condizione del pagamento anticipato l'incontro saltava. Ai propri interlocutori non mentivano mai sulla loro reale età, del resto direttamente percepibile al momento degli incontri”, scrive il gip.

Tra il prete che va a ragazzini (e non è il primo  in provincia negli ultimi tempi…), quelli che vanno a vivere in tenda (sic…) e quelli che danno consulenza storico religiosa al sindaco (leghista), forse sarebbe utile ci fosse qualcuno che desse una “regolata” alla categoria. Non sarebbe una cattiva mossa.
Magari giornali magistrati e forze dell'ordine si ricordino di dare i nominativi anche dei protagonisti di altre nefandezze.








    Curno e Bergamo: i gggiovani dicci crescono.
    Purtroppo sono del PD.








Dunque il Bugiardino e il suo controcanto BGnews ci informano di una lite nel pollaio giovani del PD bergamasco. Fatto che coinvolge anche una autorevole ma inutile consigliera comunale di Curno delegata alla “trasparenza, legalità e politiche giovanili” . Veniamo anche a sapere che nel PD  bergamasco c'è nientemeno che un “responsabile saperi” che sarebbe tale Marco Bonomelli laureato all'università di Città Alta (dove siede nel CdA).
In vista del mega-congresso dei giovani piddini del 13.02.c.a. il Bonomelli ed altri iscritti gggiovani hanno  scritto su face book che ““Abbiamo il sospetto, grazie a riscontri oggettivi, che ci siano state delle irregolarità sul tesseramento ai GD Bergamo, in particolare sul circolo Grande Bergamo, oltre che sulla gestione della fase precongressuale – hanno reso noto i GD attraverso un post su Facebook -. Pertanto, non certo a cuor leggero, ma dopo un'attenta riflessione, abbiamo deciso di fare ricorso. La decisione è dovuta anche all'assenza di risposte chiare da parte dell'Esecutivo uscente ai nostri dubbi e perplessità. Non ci sottrarremmo al bibattito democratico,


ma riteniamo importante andare fino in fondo per sgombrare ogni dubbio su falsità e irregolarità”.
In buona sostanza fanno intendere che la Colombo, segretaria provinciale uscente, avrebbe gonfiato le iscrizioni per garantirsi i numeri per la rielezione.
Ovviamente non è dato sapere ne dagli interessati (su face book) ne dai due bugiardini provinciali di che orientamento siano (renziani? civatiani? bersaniani? cattodem? arrampicamento sociale ? ) la Colombo e il Bonomelli (la discrezione è l'arma dei due giornali). Del resto è  noto che la sindaco Serra ha messo la mordacchia a tutti i suoi consiglieri sulla frequentazione dei media web.
Così come non sappiamo nemmeno che lavoro svolga la Colombo, visto che è consigliera a Curno delegata alla “trasparenza” e di cui saremmo curiosissimi sapere l'attività in merito.
Per concludere l'opera  nel ridicolo (anzi anticiparla per far capire a chi non voleva capirla…? ) nel luglio scorso la Colombo ebbe a presentare nientemeno che in una seduta del consiglio comunale l'avvenutaiscrizione di


di ben due giovani (curnesi) al PD giovanile, iscrizione poi riconfermata in un manifesto nella bacheda piddina. Insomma par di capire che l'operazione di aggregazione ai fini elettorali pro-Colombo sia iniziata da tempo e coi debiti suoni di fanfara. 'ha 'da venì baffone!
Di questi giorni la conferma che la Clara Colombo– in carica dal 2014 – alla guida della giovanile del PD con 36 voti a favore e 6 astenuti, tra cui la stessa segretaria. La segretaria ha 25 anni, laureata in Economia Aziendale ( a Bergamo?), dal 2012 al 2014 membro di segreteria con delega alla comunicazione.
 “Mi dispiace profondamente per la scelta di Marco di ritirare la sua candidatura, ma non posso accettare le accuse che vengono mosse nelle motivazioni – ha commentato la Colombo -. Il clima è avvelenato e, non nascondiamocelo, sarà complicato superare tutto quello che è successo, ma credo che sia necessario ripartire insieme. Sono a disposizione per garantire la compattezza della giovanile e ricostruire un dialogo, ma la volontà deve essere tale da entrambe le parti”.


Un primo passo di riappacificazione è già stato mosso. A Marco Bonomelli è stato infatti proposto di coordinare i lavori e rappresentare all'esterno la direzione provinciale. Una proposta al quale il Consigliere d'Amministrazione dell'Università di Bergamo ha tuttavia risposto picche: “Non abbiamo accettato la Presidenza della direzione perché non abbiamo mai cercato poltrone. Abbiamo sempre cercato di portare la discussione sulla politica e sulle idee, ma fino ad ora non si sono verificate le condizioni perché questo potesse accadere. Sono condizioni che non possono realizzarsi in un giorno (quello del congresso, ndr) ma che hanno bisogno di più tempo. A tal proposito, credo che la scelta di bloccare alcuni posti in direzione per una valutazione futura sia un buon compromesso”.
Non passa nemmeno per la loro testolina che un congresso provinciale con 42 partecipanti è una partita scapoli vs ammogliati nella parrocchietta.
Insomma dei piccoli ma dei già scafati democristiani.