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16 febbraio 2016
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Riflessioni verso un primo marzo di mobilitazioni europee. Lo spazio
europeo rischia di essere ridefinito in senso regressivo da retoriche
razziste ed escludenti. Ribaltiamo il piano. Non arrendiamoci al
presente.
Intorno alle politiche migratorie dei paesi europei si stanno
determinando delle accelerazioni foriere di conseguenze nefaste. Per
tutti. Quella che viene definita nel discorso mediatico “crisi dei
rifugiati”, infatti, sta contribuendo a ridefinire in senso regressivo
lo spazio europeo e i territori che lo circondano. E le responsabilità
non sono certo dei rifugiati.
Da un punto di vista geopolitico, la rotta migratoria orientale ha
conferito un'enorme importanza strategica alla Turchia di Erdogan.
L'Unione Europea sembra impotente di fronte al ricatto del presidente
turco. La strategia, a trazione tedesca, di puntare tutto sull'accordo
per trasformare il paese nel tappo che dovrebbe impedire ai rifugiati
di proseguire il viaggio verso l'Europa del Nord ha accresciuto
esponenzialmente il potere negoziale di Erdogan. Che è passato
all'incasso.
All'interno del paese conduce da oltre due mesi un'offensiva militare
contro la popolazione curda. Più che di guerra bisogna parlare di
pulizia etnica e di strage continua, perché in guerra ci sono due
eserciti che si affrontano. Qui c'è il secondo esercito della NATO che
attacca una popolazione civile con l'artiglieria pesante, bombardando
case, imponendo coprifuoco a città intere per lunghe settimane,
uccidendo ogni giorno bambini, donne, anziani e uomini, costringendo
migliaia di persone a lasciare la propria casa e la propria terra. E
tutto questo avviene in diretta, con le foto dei morti che circolano in
tempo reale su twitter, e in un paese che fa parte del Consiglio
d'Europa, che vorrebbe entrare nell'Unione, che dovrebbe essere
vincolato al rispetto dei diritti umani dai trattati internazionali che
ha firmato. E invece niente. I governi europei rimangono in silenzio
davanti ai crimini contro l'umanità dell'alleato turco.
Situazione simile in Siria. Qui, dopo aver sostenuto e finanziato lo
Stato Islamico, il governo turco si comporta in modo sempre più
spregiudicato, contribuendo a minare qualsiasi possibilità di un
effettivo processo di pace (comunque complicatissimo).
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Mentre continua a minacciare (o preparare?) un'invasione via
terra, ha messo il veto sulla partecipazione dei curdi alle trattative
di Ginevra. In altre parole: la componente politico-militare che ha
respinto l'ISIS, l'unica che è riuscita a pacificare la parte del paese
sotto il suo controllo, non è stata invitata al tavolo che dovrebbe
discutere come uscire dal conflitto siriano perché Erdogan non lo ha
voluto. Anche in questo caso nessuno dei governi europei ha opposto
alcuna obiezione. Eppure, senza risolvere la crisi siriana è chiaro che
nessun tappo potrà fermare la fuga di centinaia di migliaia di persone,
costrette dalla guerra ad abbandonare tutto. La situazione, inoltre,
sta rapidamente peggiorando a causa dei bombardamenti russi,
soprattutto quelli sulla città di Aleppo, assediata dalle truppe del
regime. Interi villaggi e quartieri si sono messi in marcia negli
ultimi giorni per raggiungere la Turchia, che nel frattempo ha chiuso
la frontiera. Del resto, è ovvio che anche Putin utilizza politicamente
i flussi migratori e punta a farli crescere per destabilizzare
ulteriormente lo stato dell'Unione. Infatti, per un verso l'opposizione
a Merkel nella campagna elettorale tedesca si giocherà sul tema
dell'accoglienza dei siriani, per un altro le forze dell'estrema
destra, finanziate lautamente dal presidente russo nell'ottica di una
disgregazione del progetto europeo, continuano a crescere speculando
sui rifugiati.
E ci sono almeno altri due aspetti della questione che bisogna
necessariamente considerare. Il primo è che le recenti decisioni di
alcuni paesi europei e l'incapacità complessiva di affrontare il
fenomeno delle migrazioni in un'ottica di medio-lungo periodo stanno
affossando definitivamente il patto sociale su cui si reggeva l'Unione
Europea. Mentre cinque anni di crisi e di misure neoliberali di
austerity hanno distrutto i residui diritti sociali e lavorativi,
adesso è la volta dei diritti civili e, perfino, di quelli proprietari.
L'attacco riguarda insomma gli elementi basilari che hanno plasmato i
sistemi politici e giuridici europei venuti fuori dalla seconda guerra
mondiale.
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Le persone che annegano nel Mediterraneo o quelle che muoiono congelate
lungo la rotta balcanica senza incidere minimamente nel dibattito
politico continentale, o tanto meno nel sentire comune, denunciano una
mutazione sociale e culturale già avanzatissima. Le leggi che
prescrivono la requisizione dei beni personali in base alla razza o al
nome del paese inciso sul passaporto alludono a un passato che si
affaccia dietro l'angolo. Quello che sta accadendo in questi mesi, e
nello specifico dopo la grande ondata di solidarietà verso i siriani
che ha attraversato e unito l'Europa e i territori circostanti durante
la scorsa estate, sta producendo precedenti pericolosissimi in ambiti
diversi. E sono nodi che verranno al pettine molto presto.
Per ultimo, non tutte le sparate dei leader europei si trasformano in
leggi. Non tutte le dichiarazioni altisonanti si concretizzano in nuove
norme. Tutte, però, nessuna esclusa, agiscono in maniera performativa
sul piano simbolico. Fissando dei punti di non ritorno. Quando vengono
annunciati treni per deportare decine di migliaia di persone in paesi
che vivono situazioni di guerra significa che i fantasmi degli anni più
bui del secolo scorso, che per lungo tempo hanno segnato il punto di
limite del dibattito, sono svaniti. Con il rischio che tornino a
permeare pratiche sociali, norme giuridiche, scelte politiche. Nelle
ultime settimane, in Germania si sono moltiplicati gli attacchi
neonazisti contro i rifugiati. Bombe nei centri di accoglienza,
aggressioni, accoltellamenti sono diventati pane quotidiano per il
paese che ha costruito il proprio ordinamento politico e culturale sul
rifiuto del nazismo. E lo stesso avviene in altri paesi europei: sul
tema dell'immigrazione si sono sdoganate numerose componenti
neofasciste, con tutti gli effetti che questo comporta.
I flussi di rifugiati che cercano riparo in Europa dovrebbero imporre
una trasformazione complessiva delle politiche di accoglienza e delle
relazioni internazionali rispetto ai regimi che circondano il
territorio europeo, nella direzione di garantire maggiori diritti e
sostenere ovunque le forze che lottano per la democrazia.
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Invece, ciò che accade è esattamente il contrario. Chi è così miope da
pensare che simili azioni non producano effetti decisivi anche nello
spazio europeo, dovrebbe iniziare a preoccuparsi seriamente di quello
che forse costituisce il motivo ultimo del cammino verso l'unione
mancata: la garanzia di uno spazio di pace. Elemento garantito fino ad
oggi dell'Unione Unione, ma certamente non dato per sempre e a priori.
Oggi la guerra circonda quello spazio da più lati, da sud a est. Muri
di filo spinato frastagliano Schengen, l'area di libera circolazione.
Forze politiche minacciose impongono un ordine del discorso che puzza
già di morte e devastazione.
Di fronte a tutto questo, è quanto mai necessario rivendicare un'Europa
senza confini, contro il progetto di confini senza Europache i governi
sembrano perseguire. Il Primo marzo avranno luogo mobilitazioni su
scala europea per rivendicare uno spazio libero di movimento,
svincolato da frontiere, luoghi di contenimento, detenzione
amministrativa e selezione. Animeremo le piazze di numerose città,
nominando i luoghi dello sfruttamento e della precarizzazione del
lavoro migrante e nativo, che producono forme gerarchizzate di
cittadinanza e di accesso al già eroso welfare universale. Non cadiamo
nella trappola delle retoriche emergenziali e securitarie, che, oltre a
costruire politiche criminali lesive delle libertà individuali, ci
vorrebbero chiusi in un fortino identitario costruito su narrazioni e
pratiche razziste ed escludenti. Attraverseremo con determinazione
questa data, perché il diritto a partire e restare, ad essere accolti
degnamente e a scegliere la propria traiettoria di vita, sia un diritto
di tutte e tutti.
Siamo consapevoli del fatto che qualsiasi data, seppur fortemente
simbolica ed importante per il significato che evoca, è di per sé
insufficiente. Tuttavia crediamo anche che ogni data, in questa fase,
se attraversata da questi temi, assuma un'importanza enorme per non
arrendersi al presente.
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Per capire cosa
rappresenta quel corpo, dobbiamo tornare da dove è partito il viaggio
che lo ha condotto alle porte della Roma storica. All'autunno del 1920.
Il luogo è piazza dei Martiri, la piazza principale di San Giovanni
Rotondo. Il paesino del Gargano, in provincia di Foggia, ancora non era
diventato il parco tematico religioso che conosciamo. La data è il 14
ottobre. Siamo nel bel mezzo del «biennio rosso» in uno dei punti caldi
del conflitto che ha seguito la fine della prima guerra mondiale.
Da una parte ci sono i contadini socialisti. Hanno più di un motivo di
essere contenti: hanno appena vinto le elezioni amministrative e
addirittura promettono, come fanno i loro compagni nel resto del paese,
che isseranno la bandiera rossa al posto di quella tricolore, dal
pennone che si affaccia sul municipio di San Giovanni. Ma il corteo dei
rossi è attaccato da un altro corteo, composto dagli ex combattenti,
che hanno già incassato il sostegno di liberali e cattolici. È il
«blocco d'ordine» sostenuto dagli agrari. Un'alleanza che di lì a
qualche anno costituirà la composizione sociale di riferimento del
fascismo. La polizia spara da una parte sola, ça va sans dire: sulla
manifestazione dei socialisti. Muoiono undici persone, altre
venticinque rimangono a terra ferite. È l'episodio più sanguinoso della
repressione al biennio rosso italiano.
Qualche giorno dopo, una giovane di nome Angela Serritelli va a
chiamare l'ex combattente Giuseppe Caradonna, che si trova in paese per
festeggiare la sconfitta dei socialisti. Il padre spirituale della
donna si chiama Padre Pio, e
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vuole
incontrarlo. Caradonna accetta. Angela lo porta dal monaco francescano.
Così avviene il primo incontro del ras del nascente fascismo foggiano
incontra il frate con le stigmate di cui tutti parlano tanto. Padre Pio
lo accoglie calorosamente e lo benedice con queste parole: «Dio ama i
forti e li suscita quando è necessario». I due siglano il patto tra
fascismo e monaci cappuccini sangiovannesi che durerà a lungo.
Padre Pio doveva in effetti disporre di doti profetiche: ancora ci
mancava qualche anno all'abbraccio di papa Pio XI a Benito Mussolini
come l'uomo della Provvidenza, ma lui si era portato avanti con il
lavoro. L'episodio della benedizione di padre Pio al massacro di San
Giovanni Rotondo è stato riesumato da Sergio Luzzatto nel saggio
«'Padre Pio. Miracoli e politica nellItalia del Novecento» uscito nel
2009 per i tipi di Einaudi. «I santi contano per come appaiono, non per
come sono», avverte Luzzatto. Per questo non servono rivelazioni
scandalistiche su miracoli o piaghe: Luzzatto attinge soprattutto alle
fonti degli archivi vaticani, molte delle quali per nulla benevole nei
confronti di San Pio, per indagare le vicende molto terrene del frate
di Pietrelcina. Attraverso le carte vaticane, Luzzatto ha composto un
ritratto dell'Italia del secolo scorso, a cavallo tra l'antropologia e
la storia sociale, le credenze popolari e la secolarizzazione. E indaga
il complesso rapporto tra Stato e Chiesa, cioè il conflitto tra etica
laica e morale religiosa e quello tra gerarchie ecclesiastiche e
religiosità popolare
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Padre
Pio è l'alter Christus del cattolicesimo novecentesco: le stigmate sul
suo corpo compaiono nel 1918, mentre la retorica della Grande Guerra
accosta esplicitamente i soldati a Cristo e le trincee alla Via Crucis.
La Prima Guerra Mondiale è la Passione, e i suoi apostoli in divisa ed
elmetto vivono nella dimensione esistenziale della «vita morte». C'è di
più. Il primo miracolo di Padre Pio, o almeno il primo che trova spazio
sulle pagine della grande stampa, sarebbe avvenuto a beneficio di tale
Antonio Colonnello, un «ragazzo del '99» che era rimasto ferito al
piede da una scheggia di una granata. Guardare un uomo che non si
sarebbe mai più spostato da un paesino della provincia pugliese,
diventa per Luzzatto un modo per comprendere il clerico-fascismo del
Ventennio: «Già prima del concordato – ricorda Luzzatto – i chierici si
avvicinarono ai fascisti sul terreno dell'ideologia intorno a una
varietà di obiettivi condivisi: la restaurazione dell'ordine sociale
dopo i sommovimenti della Grande Guerra, la lotta senza quartiere
contro il nemico 'rosso', la messa a punto di politiche demografiche
fataliste». E l'avvicinamento rappresentato da padre Pio riguarda anche
il terreno della liturgia: «campo impalpabile ma sensibile dei riti,
dei simboli dei carismi».
E ritrovare Padre Pio negli anni cinquanta e sessanta, «santo ormai da
rotocalco, divo con le stigmate, nuovo uomo della Provvidenza»,
significa, scrive sempre Luzzatto, «comprendere quanto sia rimasto in
Italia del clerico-fascismo dopo la fine del fascismo».
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Curiosamente,
sarà proprio il sacerdote-scienziato Agostino Gemelli, futuro fondatore
dell'Università Cattolica del Sacro cuore, e cioè dell'avamposto della
formazione vaticana al servizio della missione storica fascista, a
liquidare Padre Pio negli anni venti: «Chi ha pratica della medicina
legale e soprattutto dell'infinità varietà di piaghe che, durante la
guerra, hanno presentato i soldati autolesionisti, non può sottrarsi al
giudizio che si tratti di piaghe dovute all'erosione mediante caustici
– scrive Gemelli in una relazione alla Suprema Congregazione del
Sant'Uffizio – Il Padre Pio presenta le note caratteristiche di una
deficienza mentale di grado notevole con conseguente restringimento del
campo di coscienza».
Nel 1957, Padre Pio celebra un decennio che lo trasforma
definitivamente in un'icona pop. Dopo essersi impegnato assiduamente
nelle elezioni del 1948, aver ricevuto Coppi e Bartali, aver fatto pace
con le gerarchie vaticane, il monaco domanda e ottiene la dispensa dal
voto francescano di povertà. Quella deroga gli occorre per gestire le
ricchezze derivate dalla gestione della Casa del sollievo e della
sofferenza, l'ospedale da lui fondato a San Giovanni Rotondo. Morirà
nel 1968, mentre un'ondata di secolarizzazione investiva il mondo
occidentale. Nello stesso anno le piaghe dal corpo del frate erano
sparite. Ma i suoi superiori decisero di esporre il corpo con cui tutti
lo riconoscevano: coi guanti e calzettoni, che usava per nascondere il
sangue rappreso. Potenza del logo.
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Alcuni sacerdoti bergamaschi recentemente sono stati agli onori della stampa locale e nazionale.
La prima notizia è quella della messa agli arresti domiciliari (e poi
in una comunità) del prevosto di Solza per fatti di prostituzione
minorile assieme ad una mezza dozzina di altre persone, che non paiono
collegate esplicitamente tra di loro ma in quanto frequentatori dei
medesimi giovani 15-17enni, esperti chattatori e esseemmisti che
s'erano organizzati tramite badoo per guadagnarsi soldi dai “loro”
clienti.
L' inchiesta coinvolge in tutto 12 persone, accusate di prostituzione
minorile aggravata con adescamento di minori attraverso internet. C'è
un prete, un vigile, un allenatore di calcio, un presentatore tv
locale, un sieropositivo già noto per altra vicenda, un assicuratore,
un impiegato noto nell'ambiente del volontariato paesano. Ed altri:
persone di grande visibilità nelle rispettive comunità.
Di essi i giornali hanno scritto i nominativi e i paesi in
chiaro: è la prima volta che accade. Come è la prima volta che la Curia
bergamasca fa un comunicato “prima” che la news compaia sulla stampa.
Non sappiamo se siano stati i giornali a dare volontariamente i nomi o
sia stata la magistratura o i carabinieri a dare i nominativi. Quello
che stupisce è che degli evasori fiscali, inquinatori, lavoro nero ed
altre persone dal comportamento “poco commendevole" non si viene
mai a sapere il nominativo mentre stavolta hanno fornito pure il
numero di scarpe degli indagati.
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La seconda news viene da Telgate, amministrata dal sindaco leghista
Fabrizio Sala che ha sostituito gli originari cartelli all'ingresso del
paese che ricordavano il gemellaggio con la cittadina slovena di
Smartno pri Litiji con quelli “più identitari, legati alla nostra
tradizione” dedicati al “Paese del Santo Crocifisso”. Che non è dato
sapere chi fosse esattamente ma si raffigura col simbolo della
Santa Croce a cui i telgatesi sarebbero devotissimi, secondo una
tradizione che, in base ad alcune ricerche storiche, affonderebbe le
radici addirittura al 1400. La festa del Santo Crocifisso si celebra,
con grande partecipazione di fedeli anche dai paesi vicini, il 3 maggio
di ogni anno.
“E' stata una decisione pensata a lungo e concordata con don Alberto e
don Mario, parroco e curato di Telgate – precisa il sindaco Sala – una
quindicina di giorni fa abbiamo approvato la delibera, scegliendo di
scrivere sui cartelli qualcosa che ci rappresentasse: è l'anno del
Giubileo e qui c'è la chiesa giubilare.
La terza news –meno grave delle precedenti- viene anch'essa dall'Isola (territorio tra il Brembo, l'Adda e la Val San Martino).
Quattro sacerdoti di Ambivere, Mapello e Valtrighe hanno deciso di
prendere la Quaresima molto sul serio e non soltanto sul piano
personale: «In Quaresima noi sacerdoti abiteremo una tenda allestita
sul sagrato della chiesa di Ambivere. Un po' di cibo. Acqua da bere. Un
bagno per
lavarci. Un materasso per dormire. È più di quanto molti esseri umani
possono permettersi. Naturalmente non sarà facile.
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Abituati ad avere più del necessario, il semplice necessario sembrerà insufficiente».
Dicono i preti che è fondamentale la presa di coscienza. E la coerenza.
Hanno scritto nella loro lettera di spiegazioni: «Staremo in una tenda
per dire che non siamo disposti ad accettare un sistema che procura
benessere a noi provocando sofferenza a qualcun altro... con questo
gesto vogliamo dire che riconosciamo le nostre responsabilità di fronte
alla povertà del mondo. E che si può essere felici anche con meno».
Per un discorso di responsabilità, di presa di coscienza. Coscienza che
«se Europa e Stati Uniti dovessero pagare equamente le risorse
prelevate dal terzo mondo, i prezzi in casa nostra crescerebbero e
dovremmo rinunciare a buona parte delle nostre abitudini consumistiche».
Ovviamente la news peggiore è stata quella della prostituzione
minorile, con la messa ai domiciliari del prevosto della piccola
comunità di Solza (2000 abitanti, paese dove sarebbe nato tale
Bartolomeo Colleoni, dotato secondo l'iconografia ufficiale di ben tre
testicoli) governato da una rude sindaco piddina. Il prete disponeva di
un lussuoso suv Lexus nero coi vetri scuri da oltre 60mila euro e non
disdegnava di utilizzarla per le sue battute di “caccia” sessuale,
compreso nella veste di cacciatore e di preda.
Il bravuomo deve essere anche un disattento lettore del bugiardino
curiale perché qualche tempo fa, lo stesso (bugiardino) pubblicò a ripetizione ampi servizi sui luoghi di "battuage
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omosessuale” attorno alla città, indicando proprio i luoghi dove
sarebbero avvenuti gli incontri coi minori. Che di minore pare abbiano
solo l'età, la crapa e non l'intraprendenza.
I quattro minorenni che hanno avuto rapporti sessuali a pagamento
stabilivano i contatti attraverso social e chat. Ma varda mo!?.
“La nostra intenzione era quella di guadagnare soldi con i gay”. Questa
l'iniziale volontà del gruppo di ragazzini coinvolti. “La loro idea
originaria – si legge nell'ordinanza di custodia cautelare – era quella
di incontrare i soggetti, di chiedere il pagamento anticipato della
prestazione sessuale per poi scappare. Se il cliente non accettava la
condizione del pagamento anticipato l'incontro saltava. Ai propri
interlocutori non mentivano mai sulla loro reale età, del resto
direttamente percepibile al momento degli incontri”, scrive il gip.
Tra il prete che va a ragazzini
(e non è il primo in provincia negli ultimi tempi…), quelli che
vanno a vivere in tenda (sic…) e quelli che danno consulenza storico
religiosa al sindaco (leghista), forse sarebbe utile ci fosse qualcuno
che desse una “regolata” alla categoria. Non sarebbe una cattiva mossa.
Magari giornali magistrati e forze dell'ordine si ricordino di dare i nominativi anche dei protagonisti di altre nefandezze.
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Curno e Bergamo: i gggiovani dicci crescono.
Purtroppo sono del PD.
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Dunque il Bugiardino e il
suo controcanto BGnews ci informano di una lite nel pollaio giovani del
PD bergamasco. Fatto che coinvolge anche una autorevole ma inutile
consigliera comunale di Curno delegata alla “trasparenza, legalità e
politiche giovanili” . Veniamo anche a sapere che nel PD
bergamasco c'è nientemeno che un “responsabile saperi” che sarebbe tale
Marco Bonomelli laureato all'università di Città Alta (dove siede nel
CdA).
In vista del mega-congresso dei giovani piddini del 13.02.c.a. il
Bonomelli ed altri iscritti gggiovani hanno scritto su face book
che ““Abbiamo il sospetto, grazie a riscontri oggettivi, che ci siano
state delle irregolarità sul tesseramento ai GD Bergamo, in particolare
sul circolo Grande Bergamo, oltre che sulla gestione della fase
precongressuale – hanno reso noto i GD attraverso un post su Facebook
-. Pertanto, non certo a cuor leggero, ma dopo un'attenta riflessione,
abbiamo deciso di fare ricorso. La decisione è dovuta anche all'assenza
di risposte chiare da parte dell'Esecutivo uscente ai nostri dubbi e
perplessità. Non ci sottrarremmo al bibattito democratico,
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ma riteniamo importante andare fino in fondo per sgombrare ogni dubbio su falsità e irregolarità”.
In buona sostanza fanno intendere che la Colombo, segretaria
provinciale uscente, avrebbe gonfiato le iscrizioni per garantirsi i
numeri per la rielezione.
Ovviamente non è dato sapere ne dagli interessati (su face book) ne dai
due bugiardini provinciali di che orientamento siano (renziani?
civatiani? bersaniani? cattodem? arrampicamento sociale ? ) la Colombo
e il Bonomelli (la discrezione è l'arma dei due giornali). Del resto
è noto che la sindaco Serra ha messo la mordacchia a tutti i suoi
consiglieri sulla frequentazione dei media web.
Così come non sappiamo nemmeno che lavoro svolga la Colombo, visto che
è consigliera a Curno delegata alla “trasparenza” e di cui saremmo
curiosissimi sapere l'attività in merito.
Per concludere l'opera nel ridicolo (anzi anticiparla per far
capire a chi non voleva capirla…? ) nel luglio scorso la Colombo ebbe a
presentare nientemeno che in una seduta del consiglio comunale
l'avvenutaiscrizione di
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di ben due giovani
(curnesi) al PD giovanile, iscrizione poi riconfermata in un manifesto
nella bacheda piddina. Insomma par di capire che l'operazione di
aggregazione ai fini elettorali pro-Colombo sia iniziata da tempo e coi
debiti suoni di fanfara. 'ha 'da venì baffone!
Di questi giorni la conferma che la Clara Colombo– in carica dal 2014 –
alla guida della giovanile del PD con 36 voti a favore e 6 astenuti,
tra cui la stessa segretaria. La segretaria ha 25 anni, laureata in
Economia Aziendale ( a Bergamo?), dal 2012 al 2014 membro di segreteria
con delega alla comunicazione.
“Mi dispiace profondamente per la scelta di Marco di ritirare la
sua candidatura, ma non posso accettare le accuse che vengono mosse
nelle motivazioni – ha commentato la Colombo -. Il clima è avvelenato
e, non nascondiamocelo, sarà complicato superare tutto quello che è
successo, ma credo che sia necessario ripartire insieme. Sono a
disposizione per garantire la compattezza della giovanile e ricostruire
un dialogo, ma la volontà deve essere tale da entrambe le parti”.
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Un primo passo di
riappacificazione è già stato mosso. A Marco Bonomelli è stato infatti
proposto di coordinare i lavori e rappresentare all'esterno la
direzione provinciale. Una proposta al quale il Consigliere
d'Amministrazione dell'Università di Bergamo ha tuttavia risposto
picche: “Non abbiamo accettato la Presidenza della direzione perché non
abbiamo mai cercato poltrone. Abbiamo sempre cercato di portare la
discussione sulla politica e sulle idee, ma fino ad ora non si sono
verificate le condizioni perché questo potesse accadere. Sono
condizioni che non possono realizzarsi in un giorno (quello del
congresso, ndr) ma che hanno bisogno di più tempo. A tal proposito,
credo che la scelta di bloccare alcuni posti in direzione per una
valutazione futura sia un buon compromesso”.
Non passa nemmeno per la loro testolina che un congresso provinciale
con 42 partecipanti è una partita scapoli vs ammogliati nella
parrocchietta.
Insomma dei piccoli ma dei già scafati democristiani.
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